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Lazzaroni

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Il 2 giugno tutti a Savoia di Lucania per Passannante

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Quando Napoli non era capitale della monnezza

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Messaggio N°345
Uber die neapolitanische Sprache

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Messaggio N°359
Napoletanità

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Messaggio N°437
Nati sotto il segno del Capitone

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Messaggio N°440
Piedigrotta casereccia

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Messaggio N°440 06-09-2007 - 11:08
Tags: Identità

Piedigrotta casereccia

Riceviamo dal nostro amico Osvaldo Balestrieri personale invito ad una allegra "zingarata" di Piedigrotta che desideriamo estendere a tutti coloro i quali rifiutano eventi sponsorizzati, autentiche macchine di produzione soldi e appalti ai soliti noti e del tutto privi di autenticità e di quello spirito di socializzazione che caratterizza da millenni i partenopei! L'INFERNO HA LAMBITO IL PARADISO. SABATO 8 SETTEMBRE, DAL POMERIGGIO INOLTRATO A NOTTE FONDA E OLTRE PER CHI VUOLE, HO ORGANIZATO UNA NOSTRA FESTA DI PIEDIGROTTA.PIEDIGROTTA ALLA SOLFATARA MUSICA SPONTANEA, PREVALENTEMENTE NAPOLETANA,CANTI,SUONI ,BALLI,QUALCOSA DA MANGIARE ED ALTRO... LA FESTA PUBBLICA-PRIVATA PREVEDE LA PARTECIPATA PRESENZA DI AFFINITA'ELETTIVE ,QUALI VOI INVITATI SIETE. OGNI PARTECIPANTE POSSIBILMENTE SI DEVE PORTARE UN PIATTO E UN BICCHIERE UN PO' DI VINO ,SE BUONO,E QUALCOS'ALTRO SE VOLETE. PER RAGGIUNGERE IL LUOGO, PER CHI NON LO CONOSCE GIA', DOVETE ARRIVARE ALLA PIAZZETTA DELLA SOLFATARA (CHIEDETE!!), SALIRE LA STRADA CHE COSTEGGIA L'INGRESSO DELLA SOLFATARA, ARRIVARE IN CIMA( A CHI PUO' FAR PIACERE PARCHEGGIARE L'AUTO AD UN CERTO PUNTO E CONTINUARE A PIEDI FINO ALLA CIMA DELLA SALITA,SULLA SINISTA PASSERETE DAVANTI AD UN ALBERGO "GLI DEI" DOPO 50 METRI GIRATE A DESTRA CI SARA'UN CANCELLO ROSSO APERTO DI FRONTE UN ALTRO CANCELLO DOVE CHI NON SALE A PIEDI (SCELTA CHE CONSIGLIO)PUO' PARCHEGGIARE L'AUTO.CONTINUARE A PIEDI FINO IN FONDO,AUGURI!!! chi propie n'à capito mi chiama sul portatile 3334076430 P.S.: indossare scarpe comode. vi aspetto osvaldo-usva'ussa'

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Inviato da Beatrix_a.c
il 07/09/07 @ 07:49
Caspita! Peccato non abitare a Napoli..ci sarei venuta io!!! Buon divertimento comunque! Beatrix

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Inviato da Anonimo
il 08/09/07 @ 10:46
La vera Piedigrotta..., con tanto di fuochi di artificio..., dovremmo farla a Castelcapuano Intervista a Clemente Mestella http://it.youtube.com/watch?v=SuRBxo9mDUY
Intervista a Clemente Mastella (2) http://it.youtube.com/watch?v=hDr2pNGCkzc www.luigiiovino.it

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Messaggio N°437 05-09-2007 - 11:50
Tags: Identità

Nati sotto il segno del Capitone ovvero l'oroscopo dello scemo del villaggio globale
di Nando Dice'

Una scoperta sensazionale scuote il mondo degli astrologi; per anni, hanno ignorato la tredicesima costellazione (il Serpentario), ma oggi non possono negare la "scoperta" della quattordicesima. Il Capitone. La costellazione del Capitone raggruppa una serie di balle astrali che influenzeranno i nati fra il 1861 e il 2010, nelle terre comprese fra Civitella del Tronto e Lampedusa, ma con ripercussioni in tutt'Europa. Tale costellazione si caratterizza per la viscida storiografia, per l'inafferrabilità delle ipocrisie, per dei bellissimi luoghi comuni e quando la luna si mette di traverso, se non bastasse, pure per le rotture di coglioni. Con l'entrata del segno nella galassia "occidentale", l'etichette storiche diventano talmente false, truccate e taroccate, che non ci vuole il revisionismo storico, ci vogliono i N.A.S. Per i nati sotto questo segno si prevede un rapporto instabile con la Verità e i liberisti. Soprattutto per questi ultimi, i nati sotto il segno del capitone, vanno educati al disprezzo di se stessi, creando le condizioni di degrado tali che l'abbrutimento, l'ingresso di Marte nel Capricorno e la perdita di dignità, sono addebitate ad uno stato naturale delle cose (genetico?), più che ad una scelta personale o ad un condizionamento politico. Per coloro che non si faranno educare, nessun problema, alla fine, si vergogneranno dei propri simili e avranno due scelte: o scemi o nemici del proprio popolo. Questo stato di cose necessità di humus, di condizioni sociali favorevoli, in pratica di concime, ma se è vero quello che diceva Nietzsche che "ognuno diventa quello che è" se ti convincono che sei una merda., il concime è fatto! LAVORO. I Capitoni, grazie all'influenza dello stato italiano, si caratterizzano per le loro capacità di lavoro all'estero. Per quelli che restano, favoriti quelli nati fra il 3 e l'8 del mese di mai e quelli col cugino assessore. Prospettiva Cromatica: Infatti, in questo periodo, i nati nel Capitone ne faranno di tutti i colori, divenendo bianchi (come le morti?) e vedendola sempre più nera. Mentre per i liberisti e solo per loro, periodo fortunato, il buco nero del debito pubblico e l'usura bianca, gli permetteranno un arcobaleno d'opportunità. Come avrebbe parafrasato Marzullo: "Sogno di non lavorare o lavorare è un sogno?" Date le condizioni sul lavoro, si prevede per i giovani Capitoni un probabile rapporto col Cancro. Grattarsi o credere nella tecnologia medica ha lo stesso effetto e la stessa validità statistica, con una sola differenza, tutti i popoli del mondo hanno sempre creduto nella superstizione, pochi nel dio delle industrie farmaceutiche. I nati Capitoni, si sono caratterizzati per un ascendente straordinario, la Cassa del Mezzogiorno, detta anche cassa australiana. Infatti, era l'unica cassa ad effetto boomerang che superava le montagne, era gettata al sud e faceva arricchire il nord. La Cassa boomerang, era davvero eccezionale, infatti, era l'unica cosa straordinaria che non presupponeva l'esistenza dell'ordinario. AMORE: Agli esordi, i nati sotto il segno del Capitone, si caratterizzano per le loro capacità di farsi conquistare, ma subito dimostrano l'impossibilità di un rapporto serio e duraturo..... In mille conquistarono un regno in pochi mesi, 120 mila c'è ne vollero per tenerlo con 6 anni di guerra. I liberali rispondono che quei soldati sono serviti ad aiutare i nati con ascendente, camorra, povertà e disoccupazione. Gli astrologi rispondono concordi, "Quegli ascendenti sono entrati nel segno del Capitone solo nel 1861!" SALUTE: Tutto bene grazie! Perché i nati Capitone, si sa, sono ottimisti sempre. Su di loro si è sperimentato un sistema infallibile. Entrano in ospedale con l'influenza, li convincono che prima avevano il cancro, ed essi felici sono contenti di stare meglio. Tale sistema è stato ampiamente sperimentato nel campo storico. Oggi sono poveri, li convincono falsamente che prima del 1861 erano pezzenti, ed essi con un fantastico metodo placebo, si sentono "ricchi". VIAGGI: In questo i Capitoni sono rivoluzionari. Non spostano se stessi, spostano la geografia. Per quelli nati fra il 1956 ed il 1961 si prevede una voglia di turismo collettivo, verso climi migliori e presso popoli simpatici, aperti e accoglienti. Nel 1956 Torino conta 760 mila abitanti, nel 1961 un milione e trecentomila. Quindi Torino, con 540 mila meridionali nel 1961 è la terza città del Sud dopo Napoli e Palermo.

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Messaggio N°359 del 15-06-2007 - 11:25
Tags: Identità

Napoletanità
di Mario Carillo

Parlare di lingua o dialetto napoletano in una sede come il Goethe, l’Istituto di cultura tedesca della Riviera di Chiaja, lasciava perplessi politici e cultori del nostro idioma intervenuti numerosi alla tavola rotonda: Dibattito a più voci. Ragionamenti, dispute, curiosità, sopra il parlare e scrivere in dialetto napoletano, organizzata dall’Associazione Italiana Giovani Europa (Aige) e dal periodico Questanapoli. All’interessante incontro, introdotti dal giornalista Umberto Franzese, hanno preso parte l’avv. Renato de Falco napoletanista; Gennaro Borrelli storico dell’arte; l’arch. Franco Lista, ispettore ministero Pubblica Istruzione, Università e Ricerca; Runa Tonnies, docente di lingua tedesca; Roberto Vigliotti, dialettologo; Adriana Dragoni, storico dell’arte; Silvana Capuano scrittrice; Enzo Rivellino e Antonio Scala, membri della commissione cultura della Regione e Maurizio Ponticello scrittore. L’avvocato De Falco, autore di molte pubblicazioni e amabile conversatore, riferendosi alla proposta di legge, presentata dal consigliere Luigi Rispoli, approvata all’unanimità dal consiglio Provinciale e ora all’esame della Regione Campania, ha affermato “La tutela, la difesa e la rivalutazione di quell’autentico patrimonio storico e culturale del nostro dialetto, archivio vivente delle radici e del patrio costume della quasi trimillenaria civiltà di quella Napoli di cui resta il più sacrale emblema, è un principio irrinunciabile”. Gennaro Borrelli, a sua volta è risalito alle nobili origini della parlata napoletana. Interessanti le relazioni delle docenti, Adriana Dragoni e le scoperte, arrivando a Napoli da Dusseldorf della professoressa Runa Tonnies, componente il coro dei Cantori di Posillipo, la quale ha detto che nell’Università di Heidelberg esiste un corso di dialetto partenopeo. Gli scrittori non sono stati da meno, citando Basile, Viviani, Capurro, Bovio, De Filippo, Troisi. Il disegno di legge al centro della discussione, prevede in tredici articoli: “La Regione al fine di salvaguardare ed incrementare il patrimonio storico e culturale del proprio territorio, tutela, valorizza e promuove la lingua napoletana sia nella sua espressione orale sia nelle forme letterarie e di ogni altro tipo di espressione artistica”. Istituisce un’Accademia, punto di riferimento per la conservazione di elaborati, ricerca storica e linguistici, percorsi formativi, preparazione di una grammatica e un vocabolario, archivi sonori e videocinematografici”. “La lingua napoletana – ha dichiarato Rispoli – è una grande opportunità ed un grande patrimonio culturale che va salvaguardato, di là delle appartenenze politiche. Nella Regione Lazio sono stati più tempestivi di noi, approvando all’unanimità una legge per la tutela e la valorizzazione dei dialetti laziali con particolare riferimento al romanesco”. Altre Regioni, come quella siciliana, piemontese hanno richiesto “Lo studio della lingua, della letteratura e della civiltà nelle scuole regionali di ogni ordine e grado; introduzione del bilinguismo nella legislazione, nel linguaggio della pubblica amministrazione e nelle insegne rivolte al pubblico; istituzione di un servizio radiotelevisivo regionale che dedichi un numero minimo di ore di programmazione”. L’enclave di Greci, in provincia di Avellino e in molti paesi del Molise e della Calabria, dove popolazioni arbereshe, croati e albanesi, perseguitati dai turchi si rifugiarono, conservano lingua, costumi e tradizioni. Gli onorevoli Rivellino, Taglialatela e Scala di opposti schieramenti politici, si sono impegnati a sollecitare alla Giunta Regionale l’approvazione della legge. Un’indagine Istat, “I cittadini e il tempo libero”, rivela che si parla sempre più l’italiano, dovuto anche al livello scolastico; in famiglia, con amici e tra le nuove generazioni, però prevale il dialetto.

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Messaggio N°345 del 07-06-2007 - 19:03
Tags: Identità

Uber die neapolitanische Sprache
di Umberto Franzese

“Dalle imitazioni delle vesti si passò a quella del costume e delle maniere, indi all’imitazione delle lingue: si apprendeva il francese e l’inglese, mentre era più vergognoso il non sapere l’italiano. L’imitazione delle lingue portò seco finalmente quella delle opinioni. La mania per le nazioni estere prima avvilisce, indi immiserisce, finalmente ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cose sue”. Così il Cuoco in Saggio storico della rivoluzione di Napoli. Che l’imitazione dei costumi abbia portato anche al decadere, all’immiserirsi della lingua, è fuori dubbio. L’italiano regge a stento. E’ una lingua “arrepezzata”, rattoppata, lacera, fatta a pezzi, sciapita. Così “il giorno della famiglia” diventa family day; “interrogazione” diventa question time; “intimità”, “privatezza”, privacy; “aumento”, escalation; “RAI educativa”, RAI educational; “centro o punto di chiamata”, call center. Un’invasione di forestierismi. Un’intrusione di termini o modi dire di cui non riusciamo spesso a capire o addirittura a tradurre nel corrispettivo italiano. E come sia raffazzonato il linguaggio comune, basta l’esempio deleterio dei cosiddetti “messaggini” che scorrono in sottobanda nel corso di trasmissioni televisive. Uno scempio! Molti si vergognano di esprimersi in dialetto e non di usare termini stranieri o di maltrattare la propria lingua. E’ per questo che tessiamo l’elogio del napoletano. Non “lingua di comicità, di sguaiatezza e di versiciattoli per canzonette”. Non “basso napoletano, dialetto da riso e da oscenità, di lazzari e di facchini”. Invece lingua di nobili origini greco-latine. Ultimo baluardo di classi culturalmente e socialmente evolute che conservano il vezzo di mescolare parole dialettali in purissimi discorsi in lingua. Conservando, proteggendo il napoletano, ovvero la lingua dei padri, intendiamo salvaguardare la nostra identità, preservare, rivalutare il nostro patrimonio culturale. Parafrasando in parte Libero Bovio, ci va di affermare con lui: Il Napoletano è eterno: Gesù parlava in dialetto; San Gennaro predicava in dialetto; Dante scriveva in dialetto; noi torniamo a esprimerci in puro dialetto. E torniamo a riaffermare il nostro credo, la nostra fede. Questa volta riproponendo, in un dibattito a più voci al Goethe Institut, martedì 12 giugno, “Uber die neapolitanische Sprache”. Il perché di questa scelta a cui partecipano studiosi, specialisti, ricercatori come: Gennaro Borrelli, Silvana Capuano, Renato De Falco, Ettore Forestiere, Franco Lista, Maurizio Ponticello, Runa Toennies, Roberto Vigliotti, è presto detto. Negli studi sui dialetti meridionali e in particolare su quello napoletano, spiccano i nomi di Gerard Rohlfs, Leo Spitzer, Adolf Gaspary, Nacht, Subak, Wagner. Rohlfs, glottologo e filologo, pubblicò, tra l’altro, un “Dizionario dialettale delle tre Calabrie”; Adolf Gaspary uno studio sui dialetti napoletani (Das Studium des neapolitanischen Dialektes); Nacht “Das neapolitanische dialekt Theoretish und pratisch erlautert; Subak Die, Koniugation im neapolitanischen“. Saltando ai giorni nostri non scema l’interesse per il napoletano da parte di studiosi tedeschi. Un progetto per un “Atlante linguistico della Campania” guidato dal prof. Radtke del Romanisches Seminar dell ‘Università di Heidelberg, indaga la molteplicità delle varietà del napoletano con una ricerca sul campo condotta dalla dottoressa Ada Plazzo nella Scuola Media Giovanni Pascoli di Napoli diretta dalla prof. Teresa Incarnato. Molto approfonditi sono da parte di ricercatori tedeschi gli studi che riguardano la tradizione presepistica napoletana della quale si è occupato il prof. Borrelli, le cui opere sono state tradotte anche in Germania. Runa Toennies, docente di lingua tedesca presso il Goethe Institut di Napoli, innamoratissima delle melodie napoletane, appaga questa sua intensa passione nei Cantori di Posillipo. Questi sono motivi più che sufficienti per aver voluto il Cons. Luigi Rispoli scegliere, con i suoi attenti collaboratori, il Goethe Instut come sede ideale per riproporre ai napoletani amanti di sogni inimmaginabili, il nostro inimitabile patrimonio linguistico.

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Messaggio N°342 del 04-06-2007 - 10:34
Tags: Identità

Quando Napoli non era capitale della monnezza
di Pompeo De Chiara - Ass. Culturale Borbonica "Terra di Lavoro"

E’ con orgoglio e soddisfazione che annuncio la prossima pubblicazione del lavoro del dr. Iesu, al quale abbiamo collaborato, tramite l’umile e limitato apporto dello scrivente, sulla “ISTRUZIONE E SALUTE PUBBLICA IN PROVINCIA DI TERRA DI LAVORO DAL REGNO DI NAPOLI DEI BORBONE AL REGNO D’ITALIA” edito dalla EDITORE LAVIERI. Il dr.Iesu, ex Provveditore agli Studi di Caserta nonché dirigente del Ministero della Pubblica Istruzione in pensione è rimasto particolarmente colpito per la copiosa e significativa attività che i sovrani napoletani fecero nell’ambito dell’Istruzione popolare e della salute pubblica arrivando a livelli di eccellenza superiori e precedenti a quelli delle grandi Monarchie Europee dell’epoca. Il suo studio e la particolare meticolosità nella ricerca delle fonti storiche smentiscono una storiografia di massa che dipinge l’ex Casa Reale di Borbone Due Sicilie come governo inetto ed incapace di capire le esigenze del popolo. Il testo può essere richiesto direttamente alla casa editrice info@lavieri.it . L’autore si rende anche disponibile per conferenze sull’argomento. A lui, un anticipato ringraziamento per aver contribuito a ricostruire la nostra memoria storica evidenziandone gli aspetti concreti relativi ad una grande Civiltà. Crediamo che il recupero della dignità del Sud Italia per un riscatto sociale e culturale passi necessariamente attraverso la ripresa delle nostre radici storiche e con il recupero di una dinastia, quale quella Borbonica, la cui denigrazione doveva essere indispensabilmente lo strumento simulatore per la conquista e la colonizzazione della nostra amatissima Terra. Lo scempio e la devastazione territoriale cui stiamo continuando ad assistere in questi tragici giorni a Serre, ad Acerra e allo Uttaro in Caserta, la definitiva scomparsa del Banco di Napoli, ex Banco delle Due Sicilie (primo Banco d’Italia), il tentativo di distruggere la produzione e l’immagine della Mozzarella, sono ancora, purtroppo, alcuni dei segni di tale colonizzazione. Sono sempre più convinto che il giorno in cui abbatteremo le effigi reali e virtuali dei vari Garibaldi, Vittorio Emanuele o Cavour che imbrattano le piazze del Sud Italia, inizierà la vera rinascita culturale e sociale del Mezzogiorno d’Italia. Ed è per tutto ciò che l’invito all’acquisto di tale testo risulta essere un importante contributo alla dignità della nostra MEMORIA senza la quale difficilmente ci sarà capacità e sensibilità PROGETTUALE. pompeodechiara@virgilio.it

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Messaggio N°324 19-05-2007 - 11:36
Tags: Identità

Il 2 giugno tutti a Savoia di Lucania per Passannante
da www.uldericopesce.com

Era il 1984, ero appena arrivato a Roma dalla mia terra, la Basilicata, quando scoprii la vita di Giovanni Passannante, un mio corregionale che nel 1878 attentò alla vita del re Umberto I di Savoia e che per quest’atto “dimostrativo”, visto che aveva in mano un coltellino con una lama di quattro dita non adatto ad uccidere un uomo, era stato punito con atroci torture che lo portarono, dopo più di dieci anni di isolamento in una cella sotto il livello del mare sull’isola d’Elba, a mangiare le sue stesse feci. A Roma arrivai con la Maturità classica, avevo ancora nella testa i versi dell’Antigone di Sofocle, memorizzati a fatica e portati all’esame e mi misi a frequentare l’Università e avevo grandi difficoltà di inserimento: non conoscevo nessuno, pochissimi soldi in tasca che mi passavano i miei genitori per farmi “costruire un avvenire” e vivevo in una camera presa in affitto allo Scalo San Lorenzo, al secondo piano, la cui finestra si affacciava sulla tangenziale est, a cinque metri dalle macchine che non mi permettevano di dormire quasi mai. Per risparmiare 50.000 lire al mese, in aggiunta, dovevo “accudire” circa trecento canarini del proprietario dell’appartamento, tenerli puliti e farli mangiare e bere. Mi ritrovai nel Museo del Crimine in via del Gonfalone per puro caso. Mi ero mezzo fidanzato, in effetti mi illudevo di essermi fidanzato in realtà la corteggiavo e basta, con una ragazza che abitava nei pressi di Campo dei Fiori, vicino al museo, e lei faceva sempre ritardo negli appuntamenti. In realtà non era molto interessata a me e allora ero costretto ad aspettarla vagando intorno casa sua. I bar erano cari e non me li potevo permettere e un giorno che pioveva e lei era come sempre in ritardo, per ripararmi, entrai nel museo. In un corridoio scoprii la bacheca con un cranio e un cervello, su un fogliettino c’era scritto: Giovanni Passannante, nato a Salvia (PZ) il 19 febbraio 1849. Mi impressionò e mi fece rabbia quel (PZ) tra parentesi: Potenza. La mia stessa provincia. “Perché è qui in esposizione, non ha parenti che se lo vengono a riprendere?”, pensai e mi vennero in mente i versi di Antigone che avevo dovuto studiare a forza ma che ora diventavano attuali e utili: “La giustizia che riposa tra i morti non ha stabilito di lasciare insepolto un uomo, un figlio di mia madre, un fratello. Io lo seppellirò, e morirò, ma per me la morte sarà una cosa bella non una sofferenza.” Sempre più spesso andavo a visitare Giovanni e così partì la mia battaglia: seppellire Giovanni nel suo paese. Una battaglia che cominciai subito a portare avanti con rabbia anche perché avevo involontariamente e ingiustamente associato la triste vita di Giovanni, esposto in una terra che non gli apparteneva, nel Museo del Crimine, nell’indifferenza generale, alla mia stessa vita, che in quel momento sentivo assai infelice, la vita di un giovane meridionale emigrato a Roma per “formarsi” ma che si sente un “trapiantato” e gli manca il suo paese, gli amici, la campagna, la famiglia e i suoi due cani. La lotta per seppellire Giovanni, per dargli dignità, nasceva dal grido di un’ingiustizia che sentivo nelle mie stesse ossa: un Sud umiliato e offeso in passato, un ragazzo di oggi che deve lasciare le cose più belle che ha per “formarsi” altrove. L’ingiustizia dell’idea che per “formarsi” bisognava in parte “sformarsi”. Sono passati 23 anni da quella mattina nel museo. Mi sono “formato” cercando di non “sformarmi” troppo, cercando di conservare la memoria delle mie cose. Da questo punto di vista la scelta di fare l’attore narrando ciò che mi circonda mi ha aiutato molto. Negli anni ho costruito uno spettacolo che racconta la vita di Giovanni, l’ingiustizia di tenere i suoi resti esposti in un museo e la ferma volontà di restituirgli la dignità della sepoltura, cosa condivisa da circa 5 mila firmatari dell’appello sul mio sito internet. Quella ragazza che corteggiavo l’ho persa di vista, quando passo sulla tangenziale est guardo sempre quella finestra che è rimasta uguale, non hanno neppure cambiato le tapparelle. I miei due cani sono morti, e li ho seppelliti io stesso nell’orto sotto casa al paese. Ma la cosa bella è che oggi mi sento un po’ come Antigone: ho seppellito, con l’aiuto di tanti amici, Giovanni al suo paese. Certamente è stata una sepoltura di cui molti si sono vergognati e l’hanno voluta tenere “segreta” e questo ci ha negato la felicità di accompagnarlo al cimitero, ma bisogna perdonare, la cosa importante è che Giovanni non stia più in bacheca ad essere deriso e ad interpretare il ruolo del criminale senza aver ucciso nessuno. Il 2 giugno vi aspetto a Savoia di Lucania dove stiamo organizzando una festa in suo onore con ospiti e amici. Partiranno autobus da Roma, Napoli, Matera, Potenza, per informazioni chiamate Clotilde Recchia a questo numero: 338.3833.791. Siamo in attesa di ricevere da parte del sindaco di Savoia di Lucania l’autorizzazione ad occupare il suolo pubblico.
Ulderico Pesce

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Inviato da Anonimo
il 19/05/07 @ 12:57
se volete fare ancora qualcosa di più importante per Passannante, cambiate il nome al paese perchè continua ad essere un insulto a Passannante.
Lello

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Messaggio N°317 15-05-2007 - 22:46
Tags: Identità

Lazzaroni.
Napoli sono anche loro.

I lazzaroni sono i delinquenti, i disgraziati, i mascalzoni, i farabutti, le canaglie, i furfanti, i manigoldi, i lestofanti, i gaglioffi, i filibustieri; ma, anche, gli usurai, gli scippatori, i rapinatori, i borseggiatori, i contrabbandieri, i taccheggiatori, i falsari, i ladri d'auto, i topi d'appartamento, i "paccottisti", i tangentisti, i truffatori e, infine, i peggiori di tutti, i camorristi Sono trent'anni che Lamberti dice e scrive che per liberare Napoli dai lazzaroni non bastano, anche se sono necessari, poliziotti, carabinieri e magistrati. C'è bisogno di politiche di inclusione, seriamente intese, ben diverse dalle operazioni di assistenza o, peggio, di ammortizzazione sociale, magari a favore dei più violenti e facinorosi. Per trovare soluzioni adeguate, bisogna partire dal dato, irremovibile con artifici dialettici, di una spaccatura e di una separazione profonda nella popolazione napoletana tra chi è dentro e chi è fuori dalla società moderna e civile. Perché il problema di Napoli è quello di portare dentro la modernità tutti coloro che stanno fuori per una sorta di condanna che i responsabili continuano a negare, mentre continuano a comminarla. Per aprire un dibattito costruttivo, l'autore ha raccolto alcuni dei tanti interventi su quotidiani e riviste, o in occasione di dibattiti e convegni, fatti nel corso degli ultimi anni, sulla Napoli dei lazzaroni. Amato Lamberti è docente di Sociologia della devianza e della criminalità, presso la Facoltà di Sociologia dell'Università "Federico II" di Napoli. Ha fondato e diretto l'Osservatorio sulla Camorra della Fondazione Colasanto. È stato Assessore alla Normalità del Comune di Napoli, dal 1993 al 1995, e Presidente della Provincia di Napoli, dal 1995 al 2004. Giornalista pubblicista, è autore di libri, ricerche, studi, saggi su fenomeni di devianza e, in particolare, sulla camorra.

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Messaggio N°276 del 23-04-2007 - 11:05
Tags: Identità

Qualcuno la chiama MOBILITA'
di Emanuela Rullo, giovane emigrante dell'ultima generazione.

Lontano, ove il tempo tesse cinico la sua tela; lontano, estirpati dal proprio sistema sociale; lontano da casa, dagli affetti, dalla propria vita; lontano per un lavoro, per la possibilità di costruirsi un futuro - ma un futuro in bianco e nero - senza i colori del proprio mondo. Lontano, senza avere scelto, privati della possibilità di vivere in maniera completa la propria esistenza. Il fenomeno dell’emigrazione giovanile meridionale, un’emigrazione interna, silenziosa, continua ed ignorata, che ogni giorno trasferisce, dal sud al nord del paese, capitale umano e forza lavoro, alimenta il progressivo impoverimento del Mezzogiorno d’Italia esautorando lo stesso oltre che della possibilità di migliorare la propria condizione economica, della forza di combattere sentimenti come la rassegnazione e l’assuefazione allo stato attuale delle cose, sentimenti che sempre più costituiscono una seria minaccia alla sopravvivenza stessa del suo sistema sociale. Non sarà, difatti, il perpetrarsi di uno stato di arretratezza economica né il gozzovigliare di malavita organizzata, né la perdurante assenza dello stato e dei suoi rappresentanti a svilire e progressivamente ad uccidere la mia Terra, bensì la morte della speranza, la rassegnazione, l’assuefazione, il suo popolo che si arrende e progressivamente muore. Essere emigrante vuol dire vivere in un luogo che non è la propria Terra, tra strade e volti che per te non significano nulla, solo e smarrito nei vicoli di un’esistenza che diventa lento scorrere di ore e di giorni, spesso in attesa del ritorno a casa. Alcuni certo obietteranno come non sia corretto definire emigrazione il trasferimento per motivi di lavoro di un giovane meridionale nell’altra terra di lavoro, purtuttavia Io, Emanuela Rullo, nata ad Avellino il 10 ottobre del 1977 non sono altro che un "emigrante", e lo sono perché per ragioni estranee alla mia volontà ho trasferito la mia dimora in un luogo che non è la mia casa, che questo luogo sia a trecento, milleduecento o a svariate migliaia di chilometri di distanza, poco importa. Nel settembre 2003, a poco più di un mese dalla mia laurea in economia, ho abbandonato la mia Terra per entrare a far parte di quello che io definisco “Il popolo degli emigranti”. E come me, infatti, gran parte dei miei parenti e amici e conoscenti sono a tutt’oggi emigranti, ed in quanto tali ignari protagonisti di una piccola fetta di storia, che nessuno ritiene necessario raccontare. Ed è proprio per dare voce al loro ed al mio dolore, e insieme alla nostra indignazione e al nostro rimpianto, che nasce questa mia testimonianza, "...il mio bisogno di urlare al mondo che Io esisto e che esiste un fenomeno ovvero quello dell'emigrazione giovanile meridionale di cui nessuno parla, che nessuno denuncia come fosse nel corso normale delle cose, e che invece è ormai una valvola di sfogo fuori controllo che svilisce la mia Terra e incatena il futuro del mio popolo", parole che andrebbero scolpite nella roccia, tanto è amaro il ripetersi di qualuque voce ufficiale del potere, delle istituzioni, che afferma che l'emigrazione giovanile non esiste, che l'emigrazione è finita, che al limite si tratta di mobilità, e tu non sai che fare, sebbene sia talmente evidente che non è così (Alessio da Bruxelles). Ad ogni individuo dovrebbe essere riconosciuto il diritto di vivere la propria esistenza nel luogo ove più desidera ed essere privato di questa possibilità rappresenta una sorta di minaccia all’esistenza stessa dell’individuo (Luisa da Latina). Spesso, infatti, non ci si adatta mai alla nuova terra in cui ti è toccato emigrare e inoltre al ritorno a casa sei uno straniero in Patria, uno "che ha fatto la cosa giusta..." (dicono), uno che cammina nella SUA città come uno stonato ricordando cose, persone e luoghi che ormai esistono solo nella sua memoria. Uno che si incazza quando si sente dire "che è stato furbo", perché "ccà nun se pò campa’, ‘a fatica nun ce stà, ci arrangiamo come possiamo, ma tu no,’n 'copp fai ‘o signore..."... (salvatore di aversa) “perché è vero può essere doloroso affacciarsi alla finestra la mattina e vedere una città che non si sente propria... ma per una persona che è rimasta giù ve ne sono di molto più dolorose, perché Noi al sud sembra che ce la mettiamo tutta per non cambiare le cose, sembra che ce la mettiamo tutta affinché i nostri giovani continuino ad emigrare. Ce la mettiamo tutta affinché chi ha voglia di lottare si divida e non si unisca. E voi? ed i vostri figli? Bè, voi continuerete, in questo modo, a restare dove siete e noi continueremo a lottare.... inutilmente.” (antonio da napoli). Così accade che chi è emigrato e chi non s’invidia vicendevolmente poiché ognuno vede nella disponibilità dell’altro ciò cui ha rinunciato ed entrambi portano il peso di un’esistenza colma di rimpianto. A tutti loro, a chi è rimasto, a chi ha dato tutto, a chi ha preso troppi calci, a chi è andato troppo lontano e per troppo tempo e casa è meglio che se la dimentica perché non c’è più nessuno, ecco io dedico la mia testimonianza e la mia rabbia nella speranza che questa voce possa trovare finalmente ascolto e tutto questo dolore, finalmente, comprensione e rispetto, e tutto ciò nella speranza di trovare loro un condotto e veicolarli in primo luogo al mio popolo, perché possa ritrovare la forza di combattere, e in secondo luogo all’Italia, quest’Italia di brevi orizzonti, che sembra non comprendere che il conflitto tra Nord e Centro-Sud non esprime altro che la stupidità e la cecità di un popolo che non valorizza le proprie risorse e che non riconosce se stesso come appartenete ad un unico sistema chiamato a perseguire il medesimo fine e a condividere la medesima sorte.
(E.R. www.iocolibri.it)

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 2

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Inviato da vocedimegaride
il 23/04/07 @ 11:36
Dedicato ad Emanuela ed a tutti i giovani da lei citati, che si ritrovano "bastardi" e privi di identità, soprattutto quando ritornano sporadicamente a CASA con tanta emozione cui segue una più forte umiliazione e mortificazione, questo brano di repertorio, da chi è "emigrato" molto tempo prima.
http://www.vocedimegaride.it/html/Articoli/tornareeritornare.htm

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Inviato da Anonimo
il 23/04/07 @ 14:20
Per come funzionano le cose in questo schifoso Paese, i giovani meridionali dovrebbero andare in Albania, Libia o Tunisia, distruggere i propri documenti, fingere d'essere sordomuti o di parlare un dialetto incomprensibile, trasbordare su gommoni e barconi sulle coste del Sud Italia, farsi i due mesi di coatta restrizione in un centro immigrati clandestini, poi chiedere asilo politico nei comuni di provenienza e così accedere agli oboli, alla sanità, alle case popolari e...magari..anche ad un lavoro, come tutti gli extra-comunitari.
Lello

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Messaggio N°240 del 04-04-2007 - 18:19
Tags: Identità

Attualità Cristiana
di Nunziante Minichiello

I politici, i grandi, i potenti della Terra cammineranno davanti ai loro Popoli, di cui saranno i primi a sopportare i sacrifici e gli ultimi a godere i benefici.

Diceva Gesù: “non si può servire a Dio ed a satana” oppure: “un regno diviso in sé è destinato alla rovina”. Di conseguenza, lo stato e le istituzioni non sono efficienti quando quelli che li rappresentano devono servire grande sciagura per un popolo essere governato da governanti governati. stato ed istituzioni ed obbedire a forze a questi avversarie, ovvero: La divina saggezza diventa pratico e chiarissimo concetto politico: assumere degli impegni, suggeriti da valori e da esigenze, farne dei progetti, impegnare tutte le proprie energie alla loro realizzazione, sempre ricordando di essere creature umane, tutte fratelli e sorelle, di pari importanza e di pari diritti. Concetto di servizio che Gesù spiegò in modo che capissero i più semplici ed i più umili e significasse programma per i potenti. “Io sono uno che serve”. Non lo disse solamente, ma lo dimostrò, nella forma più pratica, lavando i piedi a tutti gli Apostoli, ossia facendo la cosa più umile per gli uomini, i quali, nonostante quell’insegnamento, ancora dividono terrenamente le attività in arti nobili e mestieri ignobili, ignorando che qualsiasi attività è vita e manifestazione di vita. Esempio simbolico quanto si vuole ma di eccezionale efficacia, quello di Cristo. La novità cristiana consiste nel prescrivere di giovare, ovunque e comunque, di migliorare, di elevare, di volere il bene dell’altro. Resta il messaggio cristiano, che agita il mondo da due millenni e più, a ricordare che il predominio è effimero perché crea differenze, contrasti e guerre e che il servizio armonizza, appiana differenze, concilia interessi, compone divergenze, insomma semina parità, giustizia e legalità e raccoglie concordia e pace. Quando i politici, i grandi, i potenti della Terra intenderanno e vorranno praticare il messaggio cristiano sacrifici e gli ultimi a godere i benefici. Proprio come insegnò Gesù: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Gesù continua ad avere seguito, ma più teoricamente che concretamente. Il pensiero cristiano pur essendo eccelso è ben riferito al mondo reale, di cui Gesù conosceva le scie di sangue, le violenze, le ingiustizie a volte, ma non sempre, nascoste dai bagliori dell’oro, dallo sfavillio dei diamanti e dallo sfarzo della ricchezza. cammineranno davanti ai loro popoli, di cui saranno i primi a sopportare i Certo è che alla concretezza latina Gesù diede quella spiritualità che le mancava. Il lungo elenco di martiri testimonia che quella spiritualità era attesa e perciò fu apprezzata ed amata al di sopra di ogni cosa, anche della vita, soprattutto della bella ed agiata vita. La buona novella di Gesù, pur essendo praticabile, fu bollata però come favola, come utopia, come religione di sognatori e comunque lontana dalla realtà, pur essendo di una saggezza politica che solo il genio latino poteva apprezzare. Il genio latino ha lasciato una eredità di cui l’umanità ha bisogno, come da secoli si va dicendo, e Gesù ha lasciato al mondo un messaggio, la cui divinità sta proprio nella sua estrema semplicità e chiarezza e che gli uomini di buona volontà possono realizzare. Abbattere gli steccati che l’egoismo erige è lavoro impossibile, almeno finora, della umanità, che, se non sempre riesce a rispettare le sue leggi, tanto meno può recepire la spiritualità cristiana. Questa umanità pur ammirando ed apprezzando la saggezza latina e la divinità cristiana ha sistemato nella storia quella saggezza ed affidato alla speranza quella divinità, cioè questa umanità rischia d’aver distrutto per sempre la pratica e la teoria della pace universale. Infatti sono molti gli storici che approfondiscono la lezione romana, ma pochi non addetti ai lavori sono disponibili a leggere la storia di Roma ed a conoscerne la lezione, a capirla ed a ritenerla eredità ancora valida per una umanità che voglia ritenersi civile, come , pur affascinando, forse anche perché di sicuro successo, scrittori, letterati, storici, cinematografari ed altri ancora, la favola cristiana è poco letta ed approfondita nei vangeli. Così la superba razza umana che insegue ogni genere di grandezza finisce per attaccarsi a grandezze transitorie e tanto lontane dalla grandezza della pace universale, cui, si può ben dire, posero chiare ed eterne fondamenta e terra, Roma, e cielo, Cristo: Roma suggerì saggezza e giustizia terrena, che ogni civis deve praticare per sé e per gli altri, e Cristo, vi aggiunse l’amore che dovrebbe tenere uniti ed in pace gli uomini:ancora del genio latino la coincidenza di diritto e morale, uguali per tutti gli esseri umani, pareggiati tutti dalla stessa qualifica civis e distinti solo temporaneamente dalle qualifiche e dalle funzioni di breve durata perché possibili a tutti a rotazione e,comunque, qualifiche e funzioni, da non ritenere mai fonti di arricchimenti personali, motivo di prestigio ed occasioni di appannaggi particolari, perché in contrasto con la morale, con la parità civile e soprattutto con la lex, unica autorità quest’ultima sempre pronta ad intervenire per ristabilire qualsiasi equilibrio alterato. www.minichiello.it di Nunziante Minichiello

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Inviato da Anonimo
il 05/04/07 @ 12:18
La lettura dei brani di Nunziante Minichiello è capace di scoprire oasi di pace.
Grazie! Claudia

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Messaggio N°239 del 03-04-2007 - 20:56
Tags: Identità

Un' ALTRA STORIA
da Ass. Culturale Borbonica Terra di Lavoro - Caserta

L’associazione culturale casertana Borbonica di Terra di Lavoro, presieduta dal dr.Pompeo De Chiara, ha compiuto un altro passo importante per la divulgazione di un’ “ALTRA STORIA” ovvero per la rivisitazione dell’epopea risorgimentale scritta, questa volta, non dai vincitori bensì dai vinti. Sabato 31 marzo u.s., presso l’Istituto Tecnico Industriale “F. Giordani” di Caserta, al cospetto di una numerosa scolaresca, il nostro responsabile ha rappresentato le ragioni dei vinti con una didattica espositiva che ha catturato l’attenzione dei ragazzi: si è partiti dalla proiezione del bellissimo cortometraggio “Napoli Capitale” di Mauro Caiano e Marina Salvadore e si è poi passati alla visione, tramite tecniche multimediali, delle ragioni storiche, culturali ed economiche, che portarono il Sud Italia ad una massiccia insorgenza contro quella che fu ritenuta, e non a torto, una vera e propria invasione e colonizzazione piemontese (furono impiegati circa 120.000 soldati del regno sabaudo) con il pretesto di unire l’Italia e, soprattutto, di sconfiggere dei malviventi briganti. Si sa, ormai, che ci furono molte influenze legittimiste in quelle insorgenze popolari con la presenza di personaggi fedeli non solo alla casata Borbone Due Sicilie ( Borjes, De Christen, Crocco…), defenestrata da un Regno con un’omogeneità culturale quasi millenaria, ma fedeli ad un' idea cattolica che doveva quanto meno illuminare il cammino dei regnanti dell’epoca. Contro il nostro Stato cattolico duosiciliano, tra i più importanti dell’Europa dell’800, lottarono per diverse ragioni la Massoneria inglese e quella italiana a cui apparteneva gran parte dello establishment piemontese, Garibaldi in testa. E che quest’ultimo fosse Massone, ormai, è provato anche dai suoi stessi adulatori. Definì il Papa Pio IX “un metro cubo di letame”... Giuseppe Garibaldi, (1807 – 1882) fu iniziato Massone, in Montevideo, nell'agosto del 1844, nella Loggia "Les Amis de la Patrie" dipendente della Gran Loggia della Francia, come da documenti che conserva la Gran Loggia della Massoneria dell'Uruguay nel suo Archivio Storico (www.masoneria-uruguay.org/garibaldi.htm) In Italia si è organizzato, addirittura, un concorso “scolastico” indetto dalla Massoneria di Palazzo Vitelleschi (Gran Loggia d'Italia - Massoneria universale di rito scozzese) sulla figura dell’eroe dei due mondi che culminerà con una premiazione a Genova il 28 aprile prossimo. www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Garibaldi06.htm ). Per una più recente biografia di Garibaldi vedasi: Luciano Salera: Garibaldi, Fauché e i Predatori del Regno del Sud – La vera storia dei piroscafi Piemonte e Lombardo nella spedizione dei Mille, Controcorrente edizioni, Napoli 2006, pp. 542 - “Gennaro De Crescenzo: Contro Garibaldi – Appunti per demolire il mito di un nemico del sud, Editoriale il giglio, Napoli 2006, pp. 103 - Gilberto Oneto: L’iperitaliano, Eroe o cialtrone? Biografia senza censure di Giuseppe Garibaldi, il Cerchio, Rimini 2006, pp. 324). «Primo Massone d‘Italia» (grado 33 ad personam per i grandi servigi resi a calderai, a carbonari e settarii simili, in sintesi alla Massoneria ( La Massoneria è antitetica alla dottrina clericale non solo perché ha sempre tramato contro ma fin dai primi documenti pontifici in materia, ed in particolare nella Enciclica «Humanum Genus» di Leone XIII (20 aprile 1884), il Magistero della Chiesa ha denunciato nella Massoneria idee filosofiche e concezioni morali opposte alla dottrina cattolica: «Ricordiamoci che il cristianesimo e la massoneria sono essenzialmente inconciliabili, così che iscriversi all’una significa separarsi dall’altra». Purtroppo sono state organizzate varie manifestazioni scolastiche, pagate con denaro pubblico, per “celebrare” la nascita di questo presunto eroe ma, fortunatamente, ci sono in atto altre manifestazioni, come la nostra (disponibile gratuitamente per le istituzioni scolastiche che la richiedano), che tendono a ripristinare una verità propagandata sempre incompletamente. Tornando alla manifestazione scolastica presso l’ ITIS “F. Giordani” di Caserta si può dire con soddisfazione che, grazie anche all’ausilio della prof. Silvana Virgilio ed al prof. Lorenzo De Simone, si sia potuta svolgere una “Contro Storia” al fine ultimo di dare ai discenti uno strumento aggiuntivo per una “autonoma e completa critica” di quella tragica epopea. Ha chiuso in bellezza, l’intervento dell’attento studioso dirigente scolastico dr. Villari Francesco che ha invitato nuovamente il dr. De Chiara per completare un confronto obiettivo con gli studenti su quegli argomenti risorgimentali oggetto sempre di vivaci discussioni ma necessario per la Conoscenza in genere e per quella della Storia in particolare.
Mario Mezzo segretario dell’Associazione Culturale Borbonica di Terra di Lavoro – Caserta www.associazioneborbonicaterradilavoro.eu/index.html

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Messaggio N°212 del 18-03-2007 - 11:18
Tags: Identità

W IL BACCALA'
Storie di ordinaria identità
di Nando Dicé

Antefatto.
A Napoli è una “tradizione”, il “pane” dei poveri, l’onnipresente pietanza, cucinata in ogni modo e maniera. Ed era lì, onnipresente, mentre si parlava sia dei “massimi sistemi” sia della Juve in serie B. Era lì a quel tavolo, proprio al centro. Come erano belli quei discorsi sulle tradizioni dei popoli, sulle loro storie, e si, sempre più nei particolari; perché la mucca è un’animale sacro?, da dove nasce il Gange nelle tradizioni indù? Perché i soliti alcuni non mangiano il maiale? Come si chiama quel tipo di cucina religiosa dove se uno è di un’altra religione non può toccarti le pentole...? Cibo e tradizioni, ma una domanda rompe il tono “intellettuale”, una domanda. E per noi? Cos’è questo cibo per noi? Per esempio questo vino che storia ha? E questo piatto di baccalà che significa per noi? Da dove viene…..? Già, da dove viene il baccalà a Napoli? Che significa? Perché lo stok-fish (lo stocca fisso) non si pesca nel mediterraneo!? No, non è un pesce dei nostri mari! No, è un pesce dei mari del nord. Del profondo nord. La cronaca storica. La storia del nostro baccalà non nasce nel mare, ma su un'isola; un’isola che nacque dal nulla. Era, secondo ogni diritto che regola il mare, un’isola nostra, non dei mari del nord, ma del mare nostro, di noi napulitani, ma l’Inghilterra la volle; noi resistemmo, combattemmo, perdemmo ma non morimmo e l’Inghilterra per punirci, sentite che novità, ci fece l’embargo economico, un bell'embargo in nome della loro libertà ad avere i nostri Zolfi. Si, proprio come quelli che fece durante il fascismo, proprio come quelli fatti a Cuba, in Afganistan, in Libia, in Siria, a Santo Domingo... in Iraq ed in Iran, “tali e quali”. Noi, resistemmo e grazie al baccalà, che era li sul quel tavolo, non morimmo subito, avemmo ancora il tempo, di fare almeno tre cose: la Napoli Portici, alla faccia delle industrie di tutto il continente, che la storia dei vincitori dirà essere migliori delle nostre; vedere quell’isola che dal nulla era venuta, come una beffa, nel nulla andare via; sapere che il nome dell’ultimo assassino, forse inconsapevole, della nostra libertà si chiamava Giuseppe Maria, nato più o meno in Italia, e che se non avessero inventato il nazionalismo, forse di Marsala si sarebbe solo ubriacato su una nave corsara. Questo lo sapemmo, visto che non c’erano ancora i cecchini dell’ “anonima omicidi” addetti al Killeraggio Economico + echelon , internet , la borsa di Tokio e via cantando. Maledetto progresso dei mezzi, sempre sproporzionato rispetto al progresso degli uomini.
Il fatto.
Vero, l’embargo c’era, ma la globalizzazione ancora non c’era stata, anzi era appena appena nata quindi non tutto il mondo viveva secondo uniche regole economiche, non tutto il mondo la pensava alla stessa maniera, non tutte le polpette schiacciate “sapevano 'e cartone”, ancora mezzo mondo non era stato svegliato dalle sirene antiaeree o dal Napalm, e Maradona non era ancora meglio 'e Pelè. Lo scontro era fra un sistema economico, dove più o meno l’economia era al servizio dei popoli ed un altro sistema economico, dove più o meno i popoli erano al servizio dell’economia. Dal punto di vista economico si partiva ad armi pari. La forza fece la differenza, la forza delle armi e degli equilibri geopolitici internazionali in aggiunta al fatto che i Borbone non si erano rincoglioniti del tutto con la droga massonica, non tutti i tele-parlanti erano nelle nostre case e non tutti scioperavano con la fame, per la fame nel mondo. Resistemmo perché avemmo la forza, la forza di produrre a modo nostro, di vendere a modo nostro, di essere a modo nostro. Avemmo la forza di sostenere il nostro modello economico e con un’arma potentissima e segreta vincemmo: la seta, qualità made in Sant Leucio, da non confondere con il made in Forcella del 1945, tutta un’altra storia.. Producemmo sete talmente belle e ricercate, che il loro sistema fece breccia, si aprì. Come quella di Porta Pia, si apri dall’interno. Vendemmo le sete alla Norvegia, la Norvegia le vendeva agli inglesi e alcuni inglesi lavorando per se stessi lavoravano per noi. Più o meno come fece il re d’Italia durante la 2° guerra mondiale, che finanziava l’industria bellica inglese detenendo azioni anche durante la guerra. O come fece il Camillo Benz (si come la Mercedes) ragionier Cavour. Durante il cosiddetto risorgimento. Contro noi meridionali, sicuramente, ma anche contro i suoi poverissimi con-polentoni. I banchieri si sa, non hanno patria. Ma a noi la Norvegia cosa dava? La Norvegia era povera, molto povera rispetto a noi, non poteva certo darci la Luna! Non c’era ancora neppure Hollywood. Certo se al posto dei Borbone ci fossero stati i socialisti o Berlusconi, a noi Napulitani, non sarebbe comunque arrivato nulla, ma visto che c’erano altri al potere, e che a quei tempi esistevano dei politici che ancora non era divenuti i “camerieri dei banchieri”, ed alcuni addirittura, credevano ancora nel senso del dovere e dello stato; allo stato arrivò l’oro, alle industrie il legno pregiato e, udite udite, a tutto il popolo il Baccalà. Il pane dei poveri, dirà qualcuno, ma del “pane” non “un milione di posti di lavoro”. Parole come quelle con cui dovevano “campare” chi quel pane non aveva. Leggasi il povero popolo piemontese che a fronte delle nostre sole 5 tasse dirette (da cui la Sicilia a volta era esclusa... ”sempre fortunati quelli del sud”) ne pagavano dalle 25 alle 32 più iva, inflazione e ritenuta d’acconto sui vivi fra dirette ed indirette ma anche sui morti, con l’invenzione della tassa di successione. Leggasi i poveri popoli Irlandese e Scozzese, schiavizzati per amor di progresso, nelle miniere di carbone al grido deCurtiano "...solo veleno pascà, solo veleno..." Epilogo. ll baccalà ci ricorda. Ci ricorda che esisteva un’alternativa al sistema economico liberista. Il baccalà ci mostra che vincemmo, che vincemmo spezzando l’embargo dei “liberatori” di ogni tempo. Il baccalà ci dimostra, che si può ben amministrare, senza mettere tasse sui Morti, sui vivi e, oggi, su quelli che dovranno nascere domani (e quelli perciò non nascono). Il baccalà dimostra, dimostra che nulla è perduto, se non si crede d'aver perso. Il baccalà è un simbolo perché ci unisce alla nostra storia di popolo fiero, alla nostra memoria di capacità economiche ed imprenditoriali, alla nostra dignità di popolo sovrano, alla nostra buona cucina, alla nostra visione geopolitica, alla nostra identità di popolo. Il baccalà ci unisce ed è ancora lì, sul nostro tavolo a dispetto di ogni hamburgher e di ogni “fast food” è ancora lì, si vede, esiste, toccalo! Ora tocca a noi ricordare tutto quello che hanno cercato di farci dimenticare. La morale. Si parla di identità, perché la si sta perdendo. La si ricerca all’ossesso, come colui che avendo dimenticato il ricordo dell’acqua, d’istinto beve anche il veleno e ne muore. O non la si ricerca per niente, come se, non avendo neppure più l’istinto, ci si lasci morire disidratati. Si perde l’identità perché la si rende una cosa astratta, lontana, un discorso da filosofi, persa di già, che è solo da cercare e mai da vivere. Ma essa è con noi, con i nostri padri e i nostri figli, nelle nostre menti, nelle nostre scelte, e nelle scelte di quelli intorno a noi. Essa è quella nelle nostre cucine, nelle nostre lingue, nei nostri modi di pensare. E' quel che mangiamo e beviamo. E' lì innanzi a noi; anzi, è "noi". La si può scrutare ai colli romani, a Stonehenge o sulle rive del Gange, di sfuggita trovi la sua ombra in qualche libro, la vedi riflessa in una corrente di pensiero o in articolo dotto. Sbiadita è nel sacro. Ma c’è un solo modo per viverla…
Chi vuole l’ultima "fella" di baccalà?

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 2

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Inviato da Anonimo
il 19/03/07 @ 18:43
Grazie! Mò capisco perchè noi meridionali siamo talmente fessi che ci chiamano baccalà!
Carmine

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Inviato da Anonimo
il 20/03/07 @ 14:34
Io, per non sbagliare, mi continuo a mangiare il baccala' (per la verita' mi piace molto anche lo stocco) e a sentirmi orgoglioso di essere Napulitano :) -
Ambro

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Messaggio N°209 del 15-03-2007 - 17:42
Tags: Identità

Caro Capodanno questa volta Megaride è dubbiosa
Mercato di Antignano: “ Sì alla chiusura “
denuncia-appello di Gennaro Capodanno pres. comitato valori collinari
intervento di Marina Salvadore

Il mercato di Antignano, retaggio di tempi arcaici quando il Vomero era considerato il “quartiere dei broccoli” e ad in quella zona, tra poche casupole e tanta campagna, vi era la stazione del dazio, è fuori dal tempo oltre che emblema di degrado ed illegalità. Oggi il Vomero è un quartiere residenziale con una densità di quasi 30mila abitanti a chilometro quadrato e circa duemila esercizi commerciali a posto fisso. Questo mercato non ha alcuna ragione di esistere, anzi è pericoloso perché la maggior parte dei prodotti venduti, alimentari, vanno ad imbandire quotidianamente le tavole dei napoletani, dopo essere rimasti esposti, per ore se non per giorni, agli agenti inquinanti che non da oggi appestano il quartiere collinare. Da quando ero presidente della Circoscrizione, negli anni ’80, portò avanti questa battaglia di civiltà per restituire un’area, costituita essenzialmente da strade che collegano piazza degli Artisti con la zona del polisportivo Collana, alla loro funzione originaria di arterie destinate alla viabilità, delle quali il quartiere ha urgente bisogno per decongestionare il traffico. Quelle strade non hanno peraltro nessuno dei requisiti richiesti dalle norme per diventare aree mercatali. Difatti, a parte l’esposizione delle merci sulla pubblica via, vietata anche da diverse ordinanze sindacali, l’ultima delle quali, la n. 1342 firmata il 10 agosto dell’anno scorso, che, non consentendo espressamente la commercializzazione di prodotti alimentari, nocivi per la salute, prevede il sequestro e la distruzione di alimenti posti in tali condizioni, mancano i servizi igienici, le bocche d’acqua per la pulizia ed i contenitori a scomparsa per la raccolta dei rifiuti solidi. In altre parole si opera in condizioni igienico-sanitarie di estremo degrado e pericolose per la pubblica salute. A riprova il dato che le numerose famiglie residenti della zona devono convivere da lustri con strutture arrugginite e precarie, lasciate perennemente per le strade interessate, molte delle quali a fianco di esercizi a posto fisso, che preferiscono utilizzare la pubblica via piuttosto che i locali commerciali retrostanti, devono districarsi tra montagne di rifiuti organici maleodoranti che peraltro costituiscono il tabulo della fauna cresciuta a dismisura in zona, formata essenzialmente da blatte e roditori. Un bubbone da eliminare dopo anni ed anni di battaglie che in passato hanno visto già l’intervento della Magistratura penale. Battaglie che si scontrano evidentemente contro i cosiddetti poteri forti che, presumibilmente, si annidano anche nelle istituzioni e che, in qualche caso, vengono sostenuti anche da campagne medianiche, tese ad enfatizzare la presunta volontà dei vomeresi a mantenere una bruttura che rappresenta, per come si manifesta, solo l’esistenza di una zona della città dove le leggi dello Stato non vengono rispettate e dove si mette a rischio la salute dei cittadini. Mi auguro che l’iniziativa della Procura della Repubblica partenopea vada avanti, e che l’area di Antignano, venga liberata al più presto, eliminando definitivamente questo assurdo ed anacronistico mercato anche al fine di poter porre mano ad un serio progetto di riqualificazione urbanistica nel rispetto dei valori storici dell’antico quartiere collinare della Città.

Una risposta umile e forse incompetente dalla redazione:
Carissimo Gennaro Capodanno, condivido molte delle tue civili battaglie, avendo ben chiara l’attuale mortificazione urbanistica, sociologica ed umanistica della mia adorata città ma, per favore, il mercato di Antignano lasciamelo stare! Non è cancellando con la gomma-pane un’antica – e non come dici tu, “anacronistica” – vestigia popolare che Napoli si rifà la faccia. Di chirurgia plastica, fatta di anonimi volti inespressivi e dalla pelle tirata a lucido come il popò di pesca di un bimbo, collocati su corpi sfasciati e vecchi, n’è già piena l’umanità che ci circonda. Le rughe danno espressività, scrivono sul volto – anche del quartiere di una città – capitoli di storia e di tradizioni, di belle usanze… e profumano, come nel caso del mercatino di Antignano, della via delle spezie e dei colori che noi napoletani-vomeresi emigrati al Nord veniamo, a Natale e d’estate, a respirare come fosse droga, per ritrovare noi stessi, la nostra serena infanzia. Non puoi capirlo, tu che hai avuto la fortuna di continuare a risiedere al Vomero quotidianamente e che, forse stressato dall’anarchia municipale, vorresti importare regolamenti da condominio milanese laddove non esiste la cultura stessa della disciplina. Prova a chiedere agli indigeni di cancellare il folkloristico mercato di Porta Capuana o della Pignasecca, ben più – come tu dici – “pericolosi per la salute pubblica” oppure, ai siciliani, di chiudere la Vuccirìa e Ballarò… Sarebbe come chiudere un libro di storia e buttarlo nella mondezza, quale cosa inutile. Il mercato di Antignano andrebbe regolato da interventi costanti dell’Annona, della ASL, della Nettezza Urbana, com’è d’uopo, quotidianamente, nelle municipalità del nord che pullulano di ridenti e pittoreschi mercati rionali che da circa trent’anni frequento. Sono queste, le istituzioni, che devono garantire gli ambulanti ed i cittadini! I supermercati, gli ipermercati, i discount mettono tristezza e…le loro mercanzie sono asettiche e prive di colore, di profumo, di storia. Sono nata e sono stata pasciuta, fino ad età adulta, con le primizie e le specialità di stagione degli ortolani, dei pescivendoli, dei panettieri, dei macellai, dei pollivendoli, degli acquaioli del mercato di Antignano, senza mai prendere neppure un raffreddore allergico, una tenia, il tifo: li conosco per nome, quegli ambulanti cresciuti appresso a me; mi riconoscono, ogni volta che torno, nostalgica, alla mia “via delle spezie”. Non puoi togliermi anche questi momenti meravigliosi di “amarcord” , dopo che ho perso patria, casa e cittadinanza! Io non so immaginarmi una Antignano senza il mercato, ridotto a deviazione di corsia di tangenziale. Preferirei che fosse, invece, come meriterebbe, un’isola pedonale, questo sì! Antignano è antichissima, come San Gennaro che passò proprio da via Case Puntellate, per qui, al “conte dell’Acerra, ora propriamente detta via San Gennaro ad Antignano… ed io amo immaginare San Gennaro salutato al suo passaggio dagli ambulanti di allora, con le ceste cariche di pani, di broccoli, uova, pesci e mummare d’acqua ferrata e vino dei campi flegrei. Le loro antiche voci si mescolano alle voci degli ambulanti del presente; sono le stesse! Un’osteria al Vomero, in via Luca Giordano,si affaccia con il suo giardino proprio in pieno mercatino d’Antignano: si chiama “Il Giardino del Pontano” e, da anni, il suo biglietto da visita alberga nel mio nostalgico portafogli napoletano. Il cartoncino così recita: “Nel 1501 Giovanni Pontano scrisse un poemetto intitolato De hortis Hesperidum, sive de cultu citriorum (Sul giardino delle Esperidi, ovvero sulla coltivazione degli agrumi), nel quale parla di tre specie di agrumi: l’arancio amaro (citrus aurantium), il limone (citrus limon) e il cedro (citrus medica). Pontano si era ispirato al mito delle Esperidi, figlie di Atlante e custodi di un leggendario giardino, dove cresceva l’albero delle mele d’oro.” Inutile ricordarti che fu proprio il giardinetto della sua residenza napoletana di Antignano ad ispirarlo… e che anche lui avrà aperto gli occhi in ogni nuovo giorno alle voci degli ambulanti sotto le sue finestre affacciate sulla mia antica via delle spezie!
marina salvadore

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 8

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 18:39
Ma stiamo dando i numeri? Perchè non vietate il traffico? quello è sporco e inquinante e fa venire il cancro ai polmoni! I generi alimentari, le persone civili, dopo averli scelti e comprati di norma li lavano e li cuociono. Il comune deve occuparsi dello smaltimento dei rifiuti! Mo' vuoi vedere che i torzi di scarola di antignano hanno creato l'emergenza rifiuti???? Jàteve cocca'!
Giuseppe

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 18:47
Di blatte, scarrafoni e zoccole è piena pure Parigi, Londra, Milano, Roma. I lavori fognari spettano alla municipalità e non ai commercianti. Vorrei vedere, lei, signor Capodanno, dalla mattina alla sera in piedi, ogni giorno, alla pioggia e al sole, a vendere al minuto per raccattare due euro per campare una famiglia!
Carmen Di Biase

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 20:05
ci vogliono le regole e il rispetto delle regole. La municipalità pretenda e incameri la relativa tassa per l'occupazione del suolo pubblico, la tosap e la tarsu ma assicuri agli ambulanti i servizi essenziali pre-pagati.Non è da sottovalutare, per i cittadini, la convenienza dell'acquisto di prodotti a prezzi più accessibili, quali quelli praticati nei mercatini rionali.

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Inviato da Anonimo
il 16/03/07 @ 00:18
Cara Marina, ciascuno di noi in cuor suo vorrebbe conservare vivi gli affetti ed i siti dell'infanzia, ma purtroppo ciò non è possibile.Come affermava il grande filosofo greco Eraclide "panta rei". Arriva il momento nel quale bisogna adeguare le situazioni alla storia. Il Vomero, descritto dal Celano, come il quartiere dove nei giorni festivi si recava la gioventù napoletana per fare una gara che vedeva vincitore colui che tracciava il solco più lungo e diritto, oggi, a distanza di quattro secoli, è un agglomrato informe di case e di negozi, di verde ne è rimasto ben poco e anche quel poco è scempiato quotidianamente, come è accaduto di recente ad un ultimo fazzoletto dell'antica dimora denominata villa Doria, cementificato per far sorgere l'ennesimo parcheggio privato.Questa è la realtà con la quale ci dobbiamo misurare. Afflitto, è lo confermato i dati diffusi anche oggi, dall'omai endemico problema dell'inquinamento dell'aria, con valori di agenti inquinanti superiori ai massimi fissati dalla norma. Anche i bambini sanno che la "pelle" della frutta e degli ortaggi e porosa e che assorbe avidamente la miscela velenosa di gas di scarico e di polveri di cui oggi è costituita essenzialmente l'aria vomerese. Consentire che questi alimenti, esposti 24 ore su 24 ai prodotti di combustione incompleta degli idrocarburi, continuino ad essere imbanditi sulle tavole dei vomeresi significa contribuire ad attentare alla loro salute. Se la Magistratura inquirente ritiene, dopo aver fatto eseguire i necessari controlli dagli uffici competenti, che la situazione di degrado igienico-ambientale esista, dobbiamo rispettare anche l'eventuale decisione, che a giorni potrebbe essere presa, di porre sotto sequestro questo mercato e, poi, di consentirne il trasferimento in un'area al coperto, nei nuovi locali in via dell'Erba, ad esempio, appositamente realizzati dall'amministrazione comunale. Sparirà un pezzo di storia del Vomero, come sono sparite le vecchie vetture della funicolare Centrale o i tanti esercizi commerciali di tradizione, Coppola, Lama, Aruta, Daniele, Stanzione, Marino e tanti altri, che costellavano le strade del quartiere collinare. E' il prezzo che si paga alla modernità, ma anche alla dissenata politica degli Enti locali, incapaci di programmare e di pianificare. E per queste ragioni che, a malincuore, con le immagini del ragazzo, quale sono stato, nato e cresciuto in via Luca Giordano, devo insistere: " Sì alla chiusura del mercato di Antignano ". Con l'affetto di sempre.
Gennaro Capodanno

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Inviato da Anonimo
il 16/03/07 @ 09:17
La "soluzione finale" attira sempre: sotto ogni latitudine! Il mercato rionale è un luogo di aggregazione dove la popolazione ritrova le proprie radici...Gennaro: non farti carico di problemi che tali sono solo per chi vuole cancellare ancora quel poco di buono che rimane! con affetto.
antimo ceparano

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Inviato da Anonimo
il 16/03/07 @ 09:48
Egregio dott. Capodanno, risiedo al quartiere Arenella e frequento il mercatino di Antignano. Perlomeno in orario di mercato mi risulta che lungo il percorso occupato dagli ambulanti non vi sia traffico automobilistico. Le auto passano infatti in via Recco in direzione piazza degli Artisti, per cui la zona del mercatino è un'isola pedonale. Del resto, trattasi di due viuzze anguste e di uno slargo che sarebbe impossibile percorrere in auto anche in assenza di banchi di vendita. Se poi la necessità degli amministrativi è quella di fare di Antignano un'altra piccola Bagnoli Futura, magari per rivalutare i bassi e le casette pittoresche d'epoca, per altro tipo di affari, allora è inutile trovare tante scuse. Tutta napoli è appestata dallo smog ed è piena, specie nella lunga e bella stagione di banchi per l'esposizione e vendita di generi alimentari e, addirittura, di tavoli e sedie per la consumazione di prodotti pasticcieri e pizzaioli. Ci sono molte altre porcherie che andrebbero abolite, come le numerosissime ed inopportune quanto strambe e costosissime opere d' "ARTE" moderne disseminate in tutta la città!
Bruno De Cesare

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Inviato da Anonimo
il 17/03/07 @ 13:32
Siamo o non siamo in democrazia? Allora perchè la municipalità non propone ai residenti un referendum, invece di gestire in maniera dittatoriale i propri esclusivi interessi?
Claudia

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Inviato da Anonimo
il 19/03/07 @ 18:32
siamo in democrazia? sorbole! da quando? non me n'ero accorto! ero intento a combattere un mulino a vento. scusate!
don CHI?SCIOTTE.

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Messaggio N°208 del 14-03-2007 - 13:46
Tags: Identità

I cristicchi e i cristiani acCATTOnINTELLETTUALOIDI
per la novella persecuzione ai Cristiani da redazione de "La Voce di Megaride"

Abbiamo rivolto ad alcuni lettori personale invito a voler giudicare il testo di una nota canzone del vincitore di Sanremo 2007, Simone Cristicchi, per aprire un dibattito sull’ampia tematica della novella persecuzione ai Cristiani che troppo spesso viene sordidamente addebitata ai conflitti interreligiosi con l’Islam. Siamo abbastanza adulti per ritenere che l’Islam non debba essere il capro espiatorio di questa sudicia tenzone ch’è invece strumentale ad altri “poteri” ed imperialismi che gestiscono, sfasciandolo, il mondo, poiché Islam e Cristianesimo sono entrambi vittime del diabolico gioco. Pubblichiamo di seguito il testo della canzone ed alcuni dei giudizi già pervenutici, con l’intesa di assommarne altri nell’opportuna sezione “commenti”, per arricchire una sorta di dossier che sia un autentico manifesto di protesta rivendicativa dei nostri originari valori identitari. M.S.


PRETE/di Simone Cristicchi
Mi ricordo da bambino mi portavano alla messa
ed io seguivo la funzione con un'aria un po' perplessa...
il prete stava in piedi sull'altare col microfono
spiegava i passi del Vangelo con tono monotono
col tempo e con la scusa di giocare all'oratorio
mi infilarono nel mucchio catechismo obbligatorio
perché non sta bene, non puoi essere diverso
emarginato come pecora smarrita
dentro a un bosco
al di fuori del contesto...
inginocchiati per bene, adesso dì le preghierine
non dubitare mai dell'esistenza del Signore
lascia stare le tue fantasie sessuali di bambino
quante volte ti sei masturbato il pistolino?
Il prete in molti casi è un uomo molto presuntuoso
nonostante l'apparenza di un sorriso zuccheroso
crede di essere il depositario di una verità assoluta
ad ogni tua obiezione, lui rigira la frittata!
Prete! Io non ho voglia di ascoltarti
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia.
La bugia più grande della storia
La storia della Chiesa è seminata di violenza, di soprusi
la Santa Inquisizione è prepotenza
e poi genuflessioni collettive dei politici
salvezza delle anime, la rendita degli immobili
ma quanti begli affari fate con il Giubileo
e quanti bei miliardi che sta alzando Padre Pio
Se Gesù Cristo fosse vivo si vergognerebbe
Delle tonnellate di oro e delle vostre banche
Prete! Io non ho voglia di ascoltarti
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia
La bugia più grande della storia
Perdonate questo sfogo troppo anti-clericale
in fondo ognuno è libero di scegliersi la sua prigione
libero di farsi abbindolare, ipnotizzare
dal papa, dal Guru, dal capo spirituale
ma la cosa deprimente e che mi butta giù
è vedere quella folla alla Giornata della Gioventù
la mia sola religione è vocazione per il dubbio , IO
non crederò a qualsiasi cosa dica un
Prete! Io non ho voglia di ascoltarti
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia
PRETE!


I commenti, di diverso carattere, emblematici, da noi selezionati e che aprono il dibattito:
a) don Giuseppe Bonomo, parroco di “Santa Marina vergine” – Casoli d’Atri (TE):
“Io non vedo Sanremo...Ma con un clima culturale così, mi immaginavo che a vincere sarebbe stato un anticattolico dichiarato. Ciò che bisogna capire bene è come vengono selezionati i cosiddetti "giovani"... Certo è che in parte questo testo è un autogol: l'ho fatto leggere ai miei alunni (liceo classico) e ne sono rimasti inorriditi. Non è tanto un anticattolicesimo che si respira, bensì l'abbandono della ragione per ogni forma di "emotivismo". L'emozione, ciò che sento, è andato al potere. Occorre riportare la ragione al centro dei nostri dibattiti. La ragione infatti non può essere nemica della fede. Testi di canzoni irrazionali come questo fanno pensare che l'epoca d'oro di un Gaber stia tramontando. Mi fermo qui. Ti saluto marina, Ciao don giuseppe bonomo, PRETE!"

b) Giuseppe Marchiori – impiegato– Roma.
“Ma è pazzesco! Questo presuntuoso si è mai chiesto il perchè di "quella folla alla Giornata della Gioventù" ed al Giubileo? Anche Maometto (sì. lo sò, è un po' una mia fissazione...) rispettava i Cristiani, perchè "tra i Cristiani vi sono sacerdoti e monaci che servono Dio in umiltà e la superbia non regna tra chi segue Gesù. figlio di Maria", ancora "tra i Cristiani troverai i più sicuri amici" (versetto 82 della Sura quinta "del Convito"). Invece arriva uno squallido individuo che, per farsi un po' di pubblicità e vendere qualche disco, fà dello scandalo fuori luogo! Gesù ci ha insegnato a perdonare, ma è veramente difficile farlo davanti a tale triste pochezza umana... Ribadisco: non facciamo caso a tali persone, la nostra risposta deve essere di spegnere la TV quando appaiono, cambiare la nostra strada se ci incrociano. Loro vivono della nostra attenzione: IGNORIAMOLI! Giuseppe"

c) Enzo Vitale da Pizzoferrato (l’aquila) segretario della pro-loco:
“Il povero (perché di un povero uomo parliamo) autore deve essere rimasto traumatizzato fin da bambino da qualcosa e da qualcuno. Colpa dei genitori? Colpa del prete che ha conosciuto? Egli è rimasto bambino, ma nel senso puerile , perché i bambini quelli veri, con la loro ingenuità, il loro candore, la loro purezza sono più vicini a Dio. A sua insaputa forse lo è anche l’autore, visto che si ostina a negarne l’esistenza. Perché tanto accanimento? Sembra un assurdo: un uomo che si dichiara ateo e che bestemmia Dio, dimostra invece che crede nella sua esistenza. Che la Chiesa e quindi i suoi ministri non sia perfetta è un’altra cosa. Non dimentichiamo che mentre Gesù si è fatto uomo, molti uomini si sono fatti Preti, e sono rimasti uomini con tutti i pregi e tutti haimè i loro moltissimi difetti.Ma la perfezione, sappiamo non è degli uomini. La Chiesa opulenta, con le sue banche, le sue ricchezze non mi ha mai convinto, ma non per questo nego l’esistenza di Dio. Gli alti prelati e…. gli altri pelati grassocci che sfoggiano a tavola la loro opulenza, prima di pranzare pregano davanti a portate da corte reale. Pregano forse che qualche boccone non vada loro storto o pregano per chi muore di fame? Sono a conoscenza di preti che: Negano la benedizione di un bambino colpevole di essere stato chiamato dal Signore dopo 10 giorni di vita terrena, solo perché non ancora battezzato. Negano la benedizione di un morto perché era divorziato e convivente. Negano la prima comunione ad un bambino perché frutto di una relazione fra due persone sposate solo con rito civile o conviventi. Negano la comunione ad una donna perché divorziata….ma, per fortuna, affiorano alla mia mente e nel mio cuore i sacrifici di tanti preti che accolgono i poveri non solo alla Mensa del Signore, ma anche alla loro mensa, preti che accolgono in Chiesa i peccatori invece di scacciarli, preti che gioiscono alle voci ed al chiasso dei bambini e giocano con loro. Preti che sono davvero preti, anzi, preferisco chiamarli sacerdoti, veri ministri di Dio. L’autore della canzone è un povero peccatore in mala fede e come tale va considerato. Non mi lascio sopraffare dalle ingiustizie, dai peccatori e dai miei peccati , non giudico e non condanno perché la giustizia appartiene a Dio. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Come gli altri anch’io ho da sempre una pietra in mano pronta a scagliarla, ma non potrò mai farlo, né potrò dire quando altrimenti peccherei di presunzione. Sono come l’autore, un povero peccatore e per questo spero nel perdono di Dio anche per quanto ho detto adesso anch’io sui preti.
enzo"

Il dibattito è aperto.
Vi invitiamo caldamente a partecipare. Grazie- la redazione

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 9

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Inviato da crocco57
il 14/03/07 @ 20:33
Da qualche tempo faccio molta fatica a scrivere...a parlare...a dire cosa penso...l'affetto che nutro verso le persone come voi mi spinge a dare una testimonianza di un semplice pensiero: E' un cantante e tale deve essere considerato...se voleva esprimere una valutazione su di un argomento non lo sa fare, non lo puo' fare: gli mancano gli strumenti culturali e si vede da come esprime il proprio pensiero. Parlare male dei preti era il mestiere preferito dagli anarchici e comunisti del secolo scorso e dvo dire che lo facevano bene...si nutrivano di cose che non conoscevano con la genuinità dei "cafoni" ed erano persino simpatici. Questo cantante ha l'aspetto di un depresso e di una persona smarrita...cerca notorietà: che l'abbia e che non rompa l'anima con cose serie! Saluti.
Antimo Ceparano

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Inviato da Anonimo
il 14/03/07 @ 22:41
Forse vi è scappato questo pensiero insito nel testo: " / ma la cosa deprimente e che mi butta giù / è vedere quella folla alla Giornata della Gioventù /" che sottolinea quasi un'invidia, una gelosia, un'impossibilità a far parte della parte buona della gioventù, dovuta ad un'autoemarginazione volontaria... Mi fa quasi pena 'sto ragazzo così logorroico e brontolone come un vecchio.
Claudia

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 00:39
Il prblema è che fa notizia un fesso blasfemo e non la moltitudine che seguiva Wojtyla. Il problema è che Wojtyla non c'è più ed i POVERI DIAVOLI ballano come i topi da quando non c'è il gatto!
Giuseppe De Rienzo- Napoli - commerciante

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 00:40
La storia della Chiesa è seminata di violenza, di soprusi la Santa Inquisizione è prepotenza e poi genuflessioni collettive dei politici salvezza delle anime, la rendita degli immobili ma quanti begli affari fate con il Giubileo e quanti bei miliardi che sta alzando Padre Pio Se Gesù Cristo fosse vivo si vergognerebbe Delle tonnellate di oro e delle vostre banche Prete! Io non ho voglia di ascoltarti Prete! Non hai il diritto di insegnarmi Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole Per addomesticare le paure della gente! Non ho bisogno più di credere a un Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia! Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi La bugia più grande della storia La bugia più grande della storia Perdonate questo sfogo troppo anti-clericale in fondo ognuno è libero di scegliersi la sua prigione libero di farsi abbindolare, ipnotizzare dal papa, dal Guru, dal capo spirituale ma la cosa deprimente e che mi butta giù è vedere quella folla alla Giornata della Gioventù la mia sola religione è vocazione per il dubbio , IO non crederò a qualsiasi cosa dica un Prete! Io non ho voglia di ascoltarti Prete! Non hai il diritto di insegnarmi Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole Per addomesticare le paure della gente! Non ho bisogno più di credere a un Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia! Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi La bugia più grande della storia PRETE Oggi siamo in piena contestazione dei DICO il Papa interviene quotidianamente per invitare i CATTOLICI a respingere l'approvazione della legge ... anni or sono fu censurata a Sanremo Jula de Palma per il brano "TUA TRA LE BRACCIA TUE etc ..." ... oggi il CHIRICHETTO PIPPO BAUDO consente che si offendano i preti, dai quali non si può apprenderenulla, la chiesa che attraverso Padre PIO mira all'arricchimento... ma le opere realizzate non hanno nessun valore? Allora caro CRISTICCHI mostra la TUA "PUREZZA" e comincia da ieri a donare a coloro che sono privi dell'indispensabile i TUOI PROVENTI del festival ... solo allora, forse, sarai credibile nella TUA MISSIONE di giudice della CHIESA
Mauro

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 00:55
Sono fiero di essere cristiano e cattolico ed in quanto tale condivido tutte le sofferenze dei miei fratelli dell'Islam, perchè sono fiero di essere meridionale, TERRONE, invaso e occupato come i miei fratelli Palestinesi! Non dimentichiamo che l'antico popolo di Palestina è musulmano ma anche cristiano. C'è un potere, è vero, come dice Megaride, che va al di là di ogni insospettabile nazismo e razzismo e che vuole imporre l'imperialismo del DIO DANARO. Si comincia con le patatine, la Coca Cola e i Mac Donald's, per finire alle banche, alla stampa, alla borsa mondiali!
Caterina D'Ambrosio - insegnante - Battipaglia

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 14:43
Mi è piaciuto l'intervento di Don Giuseppe, in particolare cito due frasi: "Non è tanto un anticattolicesimo che si respira, bensì l'abbandono della ragione per ogni forma di "emotivismo"." e "Occorre riportare la ragione al centro dei nostri dibattiti". Io fondamentalmente non dissento dalla linea seguita dai commenti precedenti; questo poveretto, non riesco a definirlo in altro modo, fa solo parte di una generazione molto sfortunata (che è anche la mia). Sfortunata perchè segnata da tre tratti fondamentali: l'incapacità di ragionare, la mancanza di morale e una grossa superficialità. Se avesse avuto un minimo di capacità intellettiva si sarebbe reso conto di portare un testo indifendibile da qualunque punto di vista (i ragazzi del liceo se sono accorti!). Se avesse avuto un minimo di moralità e ragione si sarebbe reso conto che portare in giro questo messaggio avrebbe potuto influenzare in maniera negativa le generazioni più giovani e inoltre avrebbe pensato che una generalizzazione di questo tipo è offensiva e palesemente falsa. Se non fosse stato superficiale non avrebbe portato quella canzone, lucrando su temi che meritano un tipo di attenzione e dibattito di stampo diverso. D'altro canto però la nostra generazione sta vivendo un periodo durissimo. Stiamo assistendo ad una de-moralizzazione generalizzata (nel senso di perdita di moralità), anche nelle generazioni che ci precedono. Porto ad esempio storie come recenti scandali finanziari, intercettazioni illegali, leggi ad personam... ma anche più banalmente l'esempio che ci viene proposto giornalmente come: prepotenze nella circolazione sulle strade, stereotipi di donna-oggetto, successo economico come unica strada di realizzazione personale... potrei continuare per ore... Certo questo non scusa la canzone... Ma vorrei anche cercare di analizzare razionalmente (appunto!) l'argomento Chiesa per come viene visto e vissuto dalla mia generazione. Il mio parere è che in Italia per troppo tempo la gente sia andata in chiesa per "facciata" ("col tempo e con la scusa di giocare all'oratorio, mi infilarono nel mucchio catechismo obbligatorio") e i giovani ormai si ribellano a quello che è percepito come un dovere, specialmente se da piccoli non gli si danno gli strumenti per comprendere il messaggio e l'importanza del messaggio di Cristo. In più la Chiesa non aiuta se stessa in questo campo; una delle critiche a cui io mi associo è la mancanza di modernità, l'aggrapparsi a precetti che devono necessariamente essere aggiornati. Come può un marito in crisi con la moglie chiedere aiuto ad un prete che non è mai stato sposato? Ed una madre con un figlio? Di recente i preti sono stati invitati a riprendere l'uso del latino durante la messa. Vorrei ricordare che l'uso della lingua "volgare" era stato deciso per rendere i fedeli più partecipi ai sacramenti. Vogliamo tornare al Medioevo? E che dire del capitolo aborto o divorzio? Una persona che sposa un divorziato non può più prendere la comunione... Oltre ad essere discriminatorio è palesemente controproducente! Il numero di divorziati aumenta e continuerà a farlo, tra poco una persona su due non potrà più prendere la comunione! E non entrerò nella questione dei DICO, non vorrei allontanarmi troppo dal tracciato... Riconosco comunque, come già detto in questo forum, le indiscutibili opere di Bene che sono state fatte dalla Chiesa. Ma perchè accontentarsi? L'uomo può sempre migliorarsi e a questo dovrebbe tendere... Purtroppo non mi sembra si stia andando in questa direzione e questo, più di tante altre cose, mi intristisce.
Gianmichele.

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 16:21
Ci piacerebbe, Gianmichele, avendo molto apprezzato il tuo intervento, saperne qualcosa di più sul tuo conto. Puoi scriverci all'indirizzo redazione@vocedimegaride.it declinando i tuoi recapiti. La partecipazione dei giovani ai dibattiti che possono scaturire dalle tematiche da noi sviluppate è molto ambita. Intanto, complimenti per la tua lucida analisi!
la redazione

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 20:14
Se non fosse esistita la Chiesa con i suoi frati, suore e preti non ci sarebbe stato il Rinascimento e neppure la diffusione della Cultura, della Scienza e delle Arti. Soprattutto, non esisterebbero le opere missionarie e molti piccoli popoli sarebbero già stati cancellati dalla faccia del pianeta!

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Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 20:20
Concordo perfettamente col precedente anonimo lettore. Aggiungo, però, che la Chiesa dovrebbe essere sempre quella dell'Amore ovvero Chiesa di Gesù Cristo e non Chiesa delle Leggi ovvero Chiesa di Pietro.Purtroppo, la contraddizione impera ed in questa società sregolata, alcune Leggi deve mantenerle in essere proprio la Chiesa!
marina

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Inviato da Anonimo
il 28/03/07 @ 12:07
Ci sono Preti e preti. Ci piace qui ricordare i famosi "Preti Coraggio" degli anni 90 a Napoli dai quali la Curia cittadina prese le debite distanze. Allora, purtroppo, non c'era Crescenzio Sepe alla guida della Diocesi partenopea e molti preti erano più vicini allo scudo crociato che alla croce di Cristo. Vi invito pertanto a voler prendere visione di un eccellente dossier sui Preti Coraggio, sul sito dell'associazione La Mano sulla Roccia il cui leader carismatico è don Antonio Maione, Prete Coraggio superstite. http://www.lamanosullaroccia.it/ANTONIO/RaccoltaA/tabid/74/Default.aspx
marina salvadore

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Messaggio N°197 del 08-03-2007 - 21:51
Tags: Identità

Evviva quel Sud capace di sfatare i luoghi comuni della menzogna unitaria!
segnalatoci dal lettore Gianfranco Nassisi www.ilfrizzo.it

L’istruzione scolastica? Fu organizzata già nel Regno delle Due Sicilie da Ferdinando IV di Borbone. Un documento del 1778, conservato tra le deliberazioni dell’Università di Lucera, rivela l’obbligo, per gli enti ecclesiastici della città, di dar vita a scuole pubbliche per l’insegnamento gratuito Lucera, marzo 2007 Tra le deliberazioni dell’Università di Lucera, conservate presso la locale biblioteca, vi è quella inerente la copia di un dispaccio, non privo di interesse, emanato da Ferdinando IV di Borbone e relativo alla organizzazione scolastica da attuare nell’intero Regno. Il dispaccio in questione prevedeva, per Lucera, l’ordine di istituire, da parte dei religiosi, pubbliche scuole dove «…coloro che vorranno concorrervidi qualsiasi ceto, senza distinzione alcuna, e specialmente quelli della più infima plebe, siano gratuitamenteistruiti nel leggere, scrivere e far di aritmetica, nei primi erudimenti della grammatica, e nel catechismo…». E pensare che l’atto di nascita della legislazione scolastica risalente al costituendo Stato italiano conla L. 13 novembre 1859 sottolineava la «…gratuità scolastica» quasi come un fatto nuovo ed esclusivo. Nel censimento del 1871, poi, si accerta che dopo 10 anni di scuola obbligatoria, l’analfabetismo, invece di diminuire, era notevolmente aumentato. Nel 1907 F.S. Nitti, in un discorso pronunciato in Parlamento, dichiara: «In Italia la popolazione scolastica è così scarsa dopo 50 anni di unità e dopo 30 anni di istruzione obbligatoria, che si può dire che lo scopo della legge del 1877 non fu mai realizzato. Vi sono almeno 4 milioni e mezzo di bambini che avrebbero l’obbligo di seguire le scuole, ma sono appena 2 milioni e settecento mila che la frequentano…». Se si pensa ancora che la stessa legge Orlando del 1904 imponeva ai comuni di istituire scuole fino alla 4ª classe, nonché di assistere gli alunni più poveri, allora sì che c’è da riflettere.



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Inviato da vocedimegaride
il 08/03/07 @ 22:12

Testo del documento originale pubblicato in corpo di articolo: «Ferdinando IV, Dei grace Rex utriusque Sicilie, et Hyerusalem, Infan Hispaniaru, DuxParme, Placentie, Castri, ac Magnu, Princeps Hereditariu Hetrurie. D. Stefano Antonelli Brigadiere nei Reali Eserciti, Preside, Governatore delle armi, e Commissario Generaledella campagna in queste due Provincie di Capitanata, e Contado di Molise. Mag.ci Governatori e Luogotenenti delle Corti, tanto Reggie, quanto Baronali, e mag.ci amministratori delle Università di questa Provincia di Capitanata vi significhiamo come colla posta di questa settimanaè pervenuto il seguente R.Dispaccio…
Se bene il Re colla sua paterna cura abbia disposto, e nella Capitale, e nel Regno, che vi siano dei Convitti, e delle scuole per la pubblica educazione, nommenodella nobiltà, che degli altri ceti, e anche della più povera gente; considerando nondimeno, che non potrà mai corrispondere all’eccessiva popolazione qualunque stabilimento; ha perciò risoluto e vuole, checoncorrano ad un’oggetto si vantaggioso al ben pubblico, e necessario allo stato ,anche i Regolari, iquali, essendo parte della società civile, devono rendersi alla medesima; non solo colla preghiera, ecoll’opera spirituale, ma in qualunque altra maniera ancora, che per essi si possa, insegnando egualmentela pietà, che le lettere. Vuole dunque Sua Maestà, che si ordini con dispaccio circolare, che non solamente nella Capitale, ma anche in tutti gli altri luoghi del Regno Demaniali, o Baronali, ed anche neiluoghi di campagna ove siano Conventi di frati delle religioni mendicandi, si obblighino, colla comminazione ancora di pene, tutti i superiori di tali Conventi ad introdurre nei rispettivi chiostri lePubbliche Scuole, dove coloro che vorranno concorrervi di qualche ceto senza distinzione alcuna, e specialmente quelli della più infime Plebe, siano gratuitamente istruiti nel leggere, scrivere ed aritmetica, nei primi erudimenti della grammatica, e nel Catechismo, destinando a tal uopo i Religiosi più abili; ben’inteso, che riguardo al Catechismo debbano di quello, di cui si servono gli ordinari nelle rispettive Diocesi.
Nel Regal nome partecipo pertanto a sv. Illustrissima questa Real Risoluzione percomunicarla ai superiori Regolari della sua Provincia per l’adempimento.
Napoli 5 dicembre 1778, Carlo Demarco, Sig. Preside di Lucera.
In pronto esecuzione dunque del preinserto Real Dispaccio a voi su.di mag.ci Governatori così Reggi, come Baronali dicemo, ed ordinamo, che in ricevere il presente immediatamente per mezzo dei rispettivi Mastrodatti delle vostre Corti in presenza del prossimo Governatore dell’Università, e di due testi letterati dovessivo comunicare tal Sovrana deliberazione di S.M. a superiori Regolari di tutti i Conventi esistenti nella vostra giurisdizione, imponendoli nel Real nome e prontamente eseguirla sotto pena di docati trecento per controveniente in beneficio del Regio Fisco, ed altre ad arbitrio della M.S. ed indi da Mastrodatti ritersi dovessivo in piè del presente ordine far formare un certificato continente la notificazione già detta, il nome del superiore del Convento, del Sindaco, dei testimoni presenti, ed il giorno, in cui è seguito. Finalmente ordiniamo a rispettivi mag.ci cancellieri delle Università di dovere il presente ordine registrare nel solito libro delle Università istesse, perché la corte e le future età esaltino la somma clemenza del Re’ Nostro Signore dichiarando anch’essi Cancellieri in piè del presente ordine di avere così adempito. E li mag.ci del Governo delle sotto Università paghino subito al presente corriere il suo giusto pedatico di accesso, e ricesso de loco ad locum a norma delle ultime Regali disposizioni, atteso si manda per servigio Reggio. E così in Lucera li 8 dicembre 1778. Stefano Antonetti, Vincentiu Villani Secretariu, loco sigilli, ordine circolare come sopra… Certifico io qui sotto ordinario Mastrodatti della Regia Corte di questa Città di Lucera, come oggi sotto giorno, essendo stati chiamati avanti del Sig. D. Giacopao Monteroli Governatore e giudice di questa Città di Lucera, il D. Paolo Brescia Priore del Venerabile Convento del Carmine, P. Gio. Donato da Cerignola Guardiano del Convento dei PP. Riformati di S. Francesco sotto il titolo del SS. Salvatore, P. Pasquale de Monti Guardiano del Convento del Padri osservanti sotto il titolo della Pietà, P.Giuseppe Ricci dell’ordine Eremitano di S. Agostino in luogo del P. Nicola Rizzi Priore, P. Antonio la Scala Presidente del Convento dei Padri Conventuali di S. Francesco, P. Domenico da Francavilla Guardiano del Convento dei Cappuccini, P. Lettore F. Vincenzo Maria del Pesce in luogo al P. lettore Maestro F. Vincenzo Negri dell’ordine dei Predicatori, tutti residenti nei loro rispettivi Conventi di questa suddetta Città, alle quali è stato letto il retrotto Real Dispaccio parola per parola ad alta, ed intelligibile voce ad ordine di esso Sig. Governatore per me certificante, ed è stata loro ordinata, sotto la pena di docati trecento per ciascun controvente la puntuale, ed esatta osservanza di tutto, e questo si contiene nel sopra del Real Dispaccio. Essendo stato presente all’atto di tal notificante il Sig. D. Giuseppe Scassa primo eletto del ceto dei nobili al magistero di questa Città ce sono stati i seguenti testimoni letterati della medesima città D. Francisco Ciaburri, D. Nunzio Lombardi, e D. Michelangelo de Grazia; onde in fede del vero ne ho formato il presente scritto, e sotto di mia propria mano, Lucera li 3 marzo 1779. Antonio Caiazzo Mastrodatti della Regia Corte di Lucera in fede. Lucera il dì quattro marzo 1779. Fo fede io infra scritto regio Notaio Cancelliere di questa Illustrissima e Fedelissima Città di Lucera S. Maria, che non solo dall’ordinario Giurato della medesima Andrea Gentile si è pubblicato il retrotto bando per i luoghi soliti di questa Città medesima oggi sopradetto giorno; ma ancora da me l’intiero retrotto ordinande si è trascritto, e registrato nel solito libro di questa istessa Città in esecuzione dell’ordinato nell’ordine mesedimo, onde,
Notaio Giuseppe de Palma Cancelliere in fede».

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Messaggio N°134 del 26-01-2007 - 23:55
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Autorevole convegno sulla "Napoli-Portici"
di Mauro Caiano e Mario Carillo

Oggi venerdi, alle 10,30 nella Sala consiliare della Provincia di Napoli, nel chiostro di Santa Maria La Nova, si è tenuto il convegno sul tema "La strada di ferro Napoli-Portici", voluta da Ferdinando II di Borbone nel 1839. All'incontro, suddiviso in due sezioni, hanno preso parte l'architetto Mario De Cunzo, l'assessore all'edilizia del comune di Napoli Felice Laudadio, l'architetto Franco Lista e l'urbanista Aldo Loris Rossi, il sindaco di Portici Vincenzo Cuomo, per la tematica concernente il progetto "Traguardo Restauro". Quindi, per la sezione prettamente storica, intitolata " La Storia Inesausta", hanno preso la parola, descrivendo le nostre glorie trascorse e raccontando episodi salienti della Civiltà che ci ha partoriti nonchè gustosissimi aneddoti legati alla inaugurazione della storica ferrovia, importanti storici meridionalisti quali Antonio Formicola, Antonio Gamboni, Gabriele Marzocco e Luciano Salera. Interessantissimo e vivace, frizzante e senza cali di tono, il convegno coordinato da Umberto Franzese, si inserisce a meraviglia nel progetto identitario, di gran levatura culturale, che il dinamico consigliere provinciale Luigi Rispoli sta costruendo da tempo, come un enorme puzzle, per sensibilizzare in particolare le nuove generazioni di napoletani alla riacquisizione di quelle radici patrie occultate dalla menzogna risorgimentale. Il consigliere Rispoli ha infatti presentato il convegno e gli autorevoli relatori ad una numerosa platea di cultori ed amanti appassionati della AUTENTICA CIVILTA' PARTENOPEA. Tra i presenti, con piacere abbiamo osservato una folta ed attenta rappresentanza di studenti del Suor Orsola Benincasa che, oggi, si sono illuminati di qualche bagliore di positiva napoletanità, scevra delle solite iconografie e folklori e molto... molto distante dalle cronache quotidiane del presente. Intanto, il percorso culturale intrapreso da Luigi Rispoli prosegue in fase di accelerazione e ben presto altre perle si aggiungeranno alla collana preziosa di Partenope. Ma addentriamoci nei lavori del convegno... Luigi Rispoli, ha evidenziato lo stato di fatiscenza di quello che rimane del primo tratto di ferrovia d’Italia, inaugurato nel 1839 da re Ferdinando II di Borbone. Il sindaco di Portici, Vincenzo Cuomo, ricordando le potenzialità di un recupero dell’antica ferrovia, si è soffermato sulla possibilità di creare un collegamento dal Granatello, vecchia stazione della gloriosa ferrovia, al Vesuvio. Anche l’assessore all’edilizia del Comune di Napoli, Felice Laudadio, ha auspicato interventi su quello che rimane della stazione Nolana, struttura ridotta a poco più di un rudere, sostenuta all’interno da un albero di fico e all’esterno da tabelloni pubblicitari, tubi di ferro e circondata da venditori di prodotti di infima qualità. Gli architetti Mario De Cunzo e Franco Lista, si sono soffermati su “Traguardo recupero”; l’urbanista prof. Aldo Loris Rossi, da par suo ha spiegato lo sviluppo abnorme della città. Per la Storia Inesausta i relatori Antonio Formicola, Antonio Gamboni, Gabriele Marzocco Luciano Salera hanno, ognuno, contribuito a ricostruire l’affascinante storia di uno dei primati dell’Italia pre-unitaria. La ferrovia, costruita in soli tre anni, su unico binario, si snodava lungo il sobborgo di Santa Maria di Loreto, sui ponti dell’Arenaccia, del fiume Sebeto per poi proseguire verso la strada Regia delle Calabrie, costeggiando la spiaggia, lungo il miglio d’oro, dove l’aristocrazia napoletana iniziava a costruire lussuose ville per le vacanze.Testimonianza della lungimiranza di Re Ferdinando, il Regio Opificio Pirotecnico e della locomotiva, che arrivò a contare fino a 700 dipendenti, oggi Museo di Pietrarsa, unico nel suo genere e momentaneamente chiuso. Si estendeva su 45.000 metri quadrati e comprendeva fonderie, officine meccaniche e scuole per carpentieri e rimase in funzione sino al 1975. Tra i modelli esposti la locomotiva del 1839, quattro vagoni del viaggio inaugurale, caldaie termiche, lanterne, magli, tronconi di binari.
nelle foto di Mauro Caiano:i relatori ed il Consigliere Luigi Rispoli

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Messaggio N°126 del 21-01-2007 - 20:22
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PARTENOGENESI
Elucubrazioni semiserie
di Marina Salvadore

Io credo nel destino ch’è racchiuso nei nomi. I nomi non sono altro che dei mantra, formule divinatorie evocative ed invocative che se declamate con intenzione dagli occultisti di turno - nel bene e nel male - suggellano incantesimi e sortilegi. Gli operatori della “magia”, infatti, si premurano di presentarsi alla collettività con uno pseudonimo, mantenendo ben segreto il proprio nome, per non cadere vittime delle temute malìe altrui, così com’é sempre valida per loro, da millenni, la regola aurea del VOLERE – OSARE – POTERE e… TACERE. Nei nomi c’è un’energia sottile, un’intelligenza autonoma… uno spiritello elementale che fornisce una sorta di imprimatur alla personalità del “nomato”… perché un nome non è altro che un suono, una vibrazione e nel Kibalion di Ermete Trismegisto - tra i principi ermetici sui quali si basa la vita dell’Universo - il terzo principio enunciato è proprio quello della vibrazione: “Tutto si muove, tutto vibra e niente è in quiete. … chi comprende questa grande regola ha in mano lo scettro della potenza.” Il potere del suono del nome è nel riattivarsi delle sue primitive vibrazioni. In innumerevoli casi, quando poi ci mette lo zampino pure l’invidia degli Dei, alla sfiga del battesimo celeste si aggiunge la rogna totale, com'è nel caso di Napoli. Le Moire della tradizione greca presiedevano al destino dei terrestri; venivano chiamate anche Fatae - dalla parola Fato - già in epoca romana quando le medesime Moire furono appellate (nella mitologia) Parche… Stranamente, il termine “parco” in italiano è anche un’aggettivazione e sta ad intendere moderato, sobrio, frugale… parsimonioso… molto contenuto… ovvero anche TIRCHIO… Insomma le Parche sarebbero “fini a se stesse” nel distribuire doni ai mortali: taccagne! Se il nome di Napoli è quello della creatura mortale Parthénos (vergine), una sirena bellissima, dolcissima, femminilissima ma…ahinoi!… inviolabile, asessuata e non prolifica, per giunta oppressa dal fato drammatico e triste che la condusse alla morte… praticamente, uno spietato caso di “nomen omen”… i dettagli per comprendere il destino di Napoli sono a questo punto lampanti! Paradossalmente, il popolo napoletano ch’è figlio della Sirena, si sarebbe riprodotto – nomen omen – per PARTENO-GENESI, tenuto presente che in natura la partenogenesi è un modo di riproduzione in cui lo sviluppo dell’uovo avviene senza che questo sia stato fecondato… già li vedo, i napoletani, gloriarsi in proposito, convinti d’essere “razza eletta” ovvero il prodotto di un’altra mistica “Betlemme” in terra, anche loro di origine divina… ma devo assolutamente frenare l’ingiustificato entusiasmo, aggiungendo subito che la modalità della partenogenesi è comune solo – testualmente - a “piante e animali INFERIORI”. Soprattutto osservando il prodotto del ripetersi delle clonazioni nelle ultime generazioni napoletane, in particolare la sua classe dirigente, non v’è ombra di dubbio circa la partenogenesi napoletana. Se foste ancora ostili o alquanto increduli, aggiungerò un altro elemento a favore della tesi della moltiplicazione dei napoletani per partenogenesi: cosa nascose Virgilio “mago” nelle fondamenta di Castel dell’Ovo?… lo dice il nome stesso del luogo; un UOVO!… Ebbene, è il famoso uovo di un animale inferiore, non fecondato, dal quale per PARTHENOS-genesis si sarebbero clonati all’infinito esemplari quali, tanto per fare qualche nome: TORE 'e CRESCIENZO.... LIBORIO ROMANO... quindi i contemporanei, tanto per citare qualche nomen omen: POMICINO… BASSOLINO… eccetera... Non ci resta che sperare nell’avverarsi della profezia virgiliana ovvero nel frittatone finale di quell’uovo ormai marcio!

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Inviato da Anonimo
il 24/01/07 @ 18:23
Grandeee! Che fantasia che cultura che dialettica! Complimenti!
Laura Ruocco.

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Messaggio N°125 del 20-01-2007 - 10:29
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Parlami e ti dirò chi sei
di Mario Carillo

La presidente del Consiglio regionale Sandra Lonardo e il vicepresidente Salvatore Ronghi in un incontro con il consigliere provinciale Luigi Rispoli e con docenti, storici e cultori della lingua napoletana, si sono impegnati a sollecitare la VI commissione cultura del Consiglio, "affinché venga approvata, in tempi brevi, la legge per l'insegnamento della lingua napoletana nelle scuole medie". L'iniziativa, partita del capogruppo di Alleanza Nazionale, Luigi Rispoli fu presentata il 22 marzo scorso al Consiglio Provinciale ottenendo il massimo consenso dell'assemblea. Dal mese di maggio è ferma a Palazzo di Santa Lucia. "La lingua napoletana - ha dichiarato Rispoli - è una grande opportunità ed un grande patrimonio culturale che va salvaguardato, al di là delle appartenenze politiche. Nella Regione Lazio sono stati più tempestivi di noi, approvando all'unanimità una legge per la tutela e la valorizzazione dei dialetti laziali con particolare riferimento al romanesco". I convenuti hanno rappresentato alla Presidente "che, al pari dello studio di lingue 'morte' come il latino ed il greco, di cui giustamente nessuno contesta la validità dell'impegno perché rappresenta un modo per avvicinarsi alle civiltà di cui quei sistemi linguistici erano espressione e di cui noi oggi siamo eredi, allo stesso modo lo studio della lingua napoletana può rappresentare un modo per fare riscoprire, soprattutto ai nostri giovani, le nostre radici". La Presidente Lonardo si è impegnata, come accennato all'inizio, a portare l'argomento all'attenzione della Conferenza dei Capigruppo al fine di far giungere il provvedimento all'esame dell'aula sin dalle prossime riunioni del Consiglio Regionale. Nel convegno svoltosi nell'autunno scorso a Santa Maria La Nova, il presidente della Provincia Dino Di Palma, ricordò come "i nostri emigranti, con tutte le contaminazioni dei vari casi specifici, continuano a parlare in dialetto napoletano e non italiano, conservandone la musicalità". Nel cordiale incontro la delegazione formata da Silvana Capuano, Umberto Franzese, Franco Lista, Carlo Iandolo, Maurizio Cuzzolin, Mario Carillo la presidente Lonardo non ha escluso un seminario con la partecipazione di una nobile napoletana trasferitasi negli Stati Uniti dove ha costituito un'Accademia del dialetto napoletano. L'editore Cuzzolin, ha rilevato come i libri sulla napoletanità, rispetto a quelli di altre regioni, sono i più venduti a livello nazionale. Iandolo, autore della grammatica napoletana ha ricordato che in molte università italiane esistono cattedre di lingua partenopea. Nel progetto di legge è prevista l'istituzione dell'Accademia della Vicaria Vecchia, punto di riferimento per la conservazione di elaborati, ricerca storica e linguistica, percorsi formativi, preparazione di una grammatica e un vocabolario, archivi sonori e videocinematografici. La Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici, per il quarto anno consecutivo, ha approvato un piano d'interventi e di finanziamenti per la realizzazione di progetti nazionali e locali nel campo dello studio, delle lingue e delle tradizioni culturali. Rientrano in questo piano, la lingua sarda, friulana, arbereshe, croata, ladina, slovena, germanica, francese-occidentale-franco/provenzale, un ricco patrimonio a rischio estinzione. L'auspicio degli intervenuti, come per la lingua arabesche che si parla a Greci in provincia di Avellino e molti paesi del Molise, anche per la lingua napoletana la Regione Campania, approvi al più presto, una legge per la difesa dell'idioma partenopeo.
nella foto: il consigliere provinciale Luigi Rispoli

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Messaggio N°121 del 17-01-2007 - 23:25
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Eccezionale ritrovamento
da agenzia-stampa www.teleradionews.altervista.org

Caiazzo-Santo Stefano Menecillo Rinvenuto sarcofago dell’anno 1023
Importante scoperta archeologica presso la Cattedrale di Caiazzo dove, mentre erano in corso lavori per il risanamento di alcune macchie di umidità provenienti dalla pavimentazione, è emerso il sarcofago che ha custodito il corpo di Santo Stefano Menecillo, Vescovo e Patrono della Città di Caiazzo. Lungo due metri e largo ottanta centimetri, il sarcofago scavato in un unico blocco di tufo fu portato alla luce per la prima volta nell’anno 1512 ad opera del Vescovo Vincio Maffa il quale, dopo vari tentativi, ritrovò il corpo del Santo che era rimasto nascosto per circa 500 anni. Stefano Menecillo, consacrato Vescovo il 1 novembre del 979 nella Chiesa Metropolitana di Capua governò la Chiesa Caiatina per 44 anni e morì il 20 ottobre dell’anno 1023; da allora il culto e la devozione dei caiatini per il santo protettore non si è mai interrotto. «Un’eccezionale scoperta -ha dichiarato monsignor Antonio Chichierchia, parroco della cattedrale- sia dal punto di vista archeologico che religioso. Una grossa emozione quando, in seguito al cedimento di una volta, è emerso il sarcofago che ha custodito il corpo di Santo Stefano; quello stesso sarcofago che il vescovo Vincio Maffa ritrovò nell’anno 1512. Sulla sommità del blocco di tufo vi è la lapide che lo stesso Vescovo fece apporre a seguito del ritrovamento del corpo del Santo e che reca la seguente scritta:
“DIVI STEPHANI CAPUT ED OSSA HINC EXUMATA VINCIUS SALERNITANUS, TUNC CALATINUS EPISCOPUS CUM POPOLI APPLAUSU, PULPITO RECONDI CURAVIT ANNO DNI MDXII – XXVIII MAJI”.
Questa scoperta consente di affermare con esattezza che il primo ritrovamento avvenne nell’anno 1512, il giorno 28 di maggio e non il 24 o addirittura il 2 maggio come veniva finora riportato dagli storici. Dell’importante evento, avvenuto nel corso di lavori regolarmente autorizzati, ho dato subito comunicazione a Sua Eccellenza il Vescovo Pietro Farina ed alla Soprintendenza affinché gli organi superiori possano disporre nel merito per una degna valorizzazione del sacro luogo dove, com’è scritto nei libri di storia, nel passato avvennero diversi miracoli ad opera e per intercessione di Santo Stefano. Tra poco il sarcofago sarà visitabile per i fedeli i quali potranno ancora di più avvicinarsi a Colui che per il popolo di Caiazzo rappresenta la guida, la fortezza e la roccia di fede». Grande entusiasmo per il ritrovamento della tomba del Santo si è registrato anche presso la comunità di Macerata Campania che ha dato i natali a Santo Stefano Menecillo.
foto teleradionews

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Messaggio N°111 del 07-01-2007 - 22:27
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Bandiera arlecchina per il Paese di Pulcinella
di Marina Salvadore

La matematica è un’opinione? L’uomo della strada si chiede: L’Italia UNA non ha neppure 150 anni eppure la sua bandiera, oggi, festeggia il 210.mo compleanno. Qualcosa non torna. Viene spontaneo pensare agli ignari sovrani degli italici stati pre-unitari che di certo, nel 1797, manco nella lettura della palla di cristallo e delle profezie del Ragno Nero avrebbero lontanamente immaginato, all’apice della “sovranità”, di dover smammare dalla Storia con le singole identità e geopolitiche, per svanire sotto un drappo tricolore, nonostante, qui e là, qualche intemperanza di qualche isolato reazionario quasi sempre filo-massone. Che il nostro variegato popolo italico si sentisse italiano e tricolore già nel 1797 è fantascienza a bordo della macchina del tempo! Umilmente dichiarando tutta la nostra ignoranza invochiamo lumi in proposito ai dotti professoroni di storia patria, se avranno la bontà di dedicarci un po' della loro scienza umanistica. Altro dilemma curioso riguarda l'ultimo Plebiscito italiano che vide trionfare la Repubblica sulla monarchia sabauda; ancora oggi, la Repubblica si ammanta delle vestigia e dei simboli sabaudi: l'inno di Mameli ed i corazzieri, per citarne qualcuno. La retorica regge difficilmente in equilibrio le motivazioni ed i metodi che si spesero per fondare alla chetichella l'Italia UNA e alla "carlona" si arrabatta monocorde tra una "botta" di Risorgimento ed una "botta" di Resistenza, ammannite fino alla nausea per tener desto lo spirito nazionale ed un'italianità che a distanza di centocinquant'anni è ancora evanescente. Se qualcuno avesse l'intelligenza di spiegare agli "italiani" tutti i misteri ed i peccati che concorsero alla Unità fatta di indiscutibili pregi (per pochi eletti) ma di eclatanti difetti, finalmente ci si potrebbe intingere nell'italianità e non sentirci più terra di conquista; forse, cesserebbero anche tanti "razzismi" tra le etnìe italiche del "sù" e del "giù". Finchè perdurerà il dogma ovvero questo tabù, prolificheranno le contraddizioni, gli inganni, i comportamenti illeciti, le esterofilie alla ricerca di bandiere più consone. Errare è umano, la Storia ritorna spesso sui suoi errori, così come è in grado di rivendicare se stessa. Dai "padri" della Patria abbiamo ereditato il peggio: capita l'antifona, da sempre ci sforziamo di emularli, soprattutto nella contraddizione. Questo è, infatti, quello strano Paese dove qualcuno fa lo sciopero della fame e della sete contro la Pena di Morte, mentre due settimane prima aveva combattuto contro la Pena di Vita. Che differenza c'è tra una sentenza capitale e l'eutanasia... o... ad esempio, l'aborto? Non è comunque pratica di morte provocata da mano umana?... Perchè tutta questa caritatevole pietà per Saddam e non anche per le migliaia di sudditi condannati a morte ogni anno in Cina? Perchè invocare i diritti umani per Saddam e calpestarli e rinnegarli nei confronti dei cinesi, degli americani stipati nei bracci della morte, delle donne in chador lapidate ogni anno? Per loro, chi scende in piazza, chi chiede moratorie, chi sciopera?... Eppoi, gli italiani, glistessi che aiutarono l'America a fabbricare Saddam ed a stringere, poi, la mano a Bush per averlo buttato via... gli stessi che praticano, oggi, il buonismo pro-Saddam, dimentichi della vergogna di piazzale Loreto! Gli italiani che combatterono la Mafia la rivollero poi a curare lo sbarco alleato in Sicilia ed il buon Lucky Luciano si cambiò d'abito come un trasformista: da bandito a istruttore dei partigiani, paracadutato come l'eroe Nembo Kid in montagna. I vandeani del Mezzogiorno, invece, nel risorgimento, ce li cambiarono da partigiani in banditi... Altre contraddizioni, sintomo del costume italiano? Pagare i ricercatori ottocento euri al mese con contratto a tempo determinato ed i calciatori e le veline milioni di milioni. Pagare le forze dell'ordine con stipendi da fame, fargli rischiare la vita per assicurare criminali alla Giustizia che vengono poi rimessi in libera circolazione, carichi dell'opportuno spirito di vendetta verso chi li aveva arrestati.... "Lavorare" appena 35 mesi, i deputati (anche quelli già ricchi che fanno la "spesa proletaria" dove noi paghiamo anche i sacchetti con il logo pubblicitario dell'esercizio) per assicurarsi una super-pensione a vita e mandare in pensione i veri lavoratori solo quando sono all'ultimo stadio della mummificazione... Promulgare una legge Finanziaria durissima ed iniqua per la gente comune, con la scusa di riparare ai disastri economici degli anni precedenti, darle lo "start" al primo di gennaio, per poi confessare, il tre di gennaio, che quei disastri non c'erano e che... anzi... si sono avuti risultati economici impensabili!... Dichiarare di voler, per onestà, eliminare le spese ministeriali superflue ed inutili, per riossigenare le casse e magari destinare fondi alla ricerca, alla sanità, alle dame di san vincenzo, agli orfanelli... eppoi organizzare i conclave ministeriali fuori delle sedi deputate, in località prestigiose, muovendo migliaia di poliziotti, carabinieri, vigili urbani, giornalisti e giornalai, Tv, elicotteri, automobili, mezzi corazzati, camerieri e maggiordomi, autisti, segretarie... spendendo e spandendo per ogni starnuto che a questi "cesari " gli capiterà di fare in un conclave peraltro non di emergenza. Meno male che hanno inventato le teleconferenze... forse, le usano solo per chattare su Yahoo!... Altre contraddizioni?... Pagare un canone alla RaiTV per vedere repliche delle repliche ad ogni ora di ogni giorno ed imbottirci di demagogia e pubblicità pro-consumismo, come dei masochisti!... Ed ancora... dichiararsi padano, anti-italiano, anti-tricolorico e sedere nel Parlamento Italiano... Se non è questo il Paese di Pulcinella, fate voi... ma per rimanere sudditi di questa Commedia dell'Arte allora non basta un tricolore sotto cui identificarci: ci vuole una bandiera multicolore, arlecchina! Arlecchino, servo di più padroni!

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Inviato da Anonimo
il 07/01/07 @ 22:38
C'è tanta malinconia nelle tue parole! Tutte vere! oh serva Italia di dolore ostello, nave sanza nocchier in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello! (Dante) Noi la vorremmo diversa: gloriosa come l'antica Roma non imperiale ma dal cuore generoso come i tanti eroi che l'hanno innalzata dal fango e che ora questi ominidi di fine impero del male la vogliono riportare: Viva l'Italia, mia sirena e mio crudo dio dei colori zumati viva l'Italia una ed indivisibile con il cuore rosso di passione, verde di speranza e bianco come il candore del giglio napoletano. ad majore Megaride sirena dalla voce sempre limpida e generosa, ad majora mio caro dio delle zumate che con le tue immagini freni il colare del sangue partenopeo.
suddalcuorealzato

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Inviato da Anonimo
il 08/01/07 @ 00:49
da "Breve storia del nome Italia" Il nome Italia inizia ad essere usato nel sesto secolo avanti Cristo e si riferisce solo alla regione che oggi chiamiamo Calabria.
Alla fine del '700 si manifestano i primi segni del Risorgimento Italiano. Nel 1797 a Reggio Emilia uno degli Stati satelliti creati in Italia da Napoleone, la Repubblica Cispadana, adotta la bandiera tricolore, che poi diventerà la bandiera d'Italia. Vengono considerati primi segni del Risorgimento Italiano anche la Repubblica Romana (1798) e la Repubblica Partenopea (1799). Nel 1802 Napoleone si proclama Presidente d’Italia, e poi Re nel 1805. Ma il suo Regno d'Italia comprende solo il Nord e dura pochi anni. Nel 1814 lo stesso Napoleone, prigioniero all'isola d'Elba, dichiarerà di voler riunificare l'Italia Nel 1814 Gioacchino Murat, Re di Napoli e cognato di Napoleone, nel "Proclama di Rimini” inneggia all'unificazione e all'indipendenza d'Italia (v. punti 140 e 141). Ma pochi mesi dopo, la Restaurazione ad opera del Congresso di Vienna riporta tutto come prima. Il ministro austriaco Metternich spegne le speranze dei patrioti italiani con un'affermazione che oggi viene spesso abbreviata in questi termini: "L'Italia è solo un'espressione geografica". In realtà l’affermazione originale di Metternich è più completa e meno drastica. Redazione

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Messaggio N°94 del 26-12-2006 - 15:06
Tags: Identità

Il Mercato del Tempo Andato
di Marina Salvadore

… Scandisce il tempo l’orologio della Storia… di quell'antica Storia chetroppo spesso obliata, diventa leggenda…e ch’è tuttavia viva sin da quando, ben prima degli orologi, il sole e la luna, albe e tramonti…eppoi le stagioni… eppoi i frutti ed i pesci, le semine e le messi, le erbe e i fiori…e le voci del “mercato” scandivano l’inesorabile, perfetto, trascorrere del tempo, su i gesti del passato e le attese del futuro…quando – viaggiatori del tempo e dello spazio, nella luce del varco d’uscita da un buco nero tra le galassie – in ogni era ritrovavamo puntualmente sui banchi del Mercato del Tempo Andato immagini di noi, così quali eravamo… Il Turismo privilegia esclusivamente città italiane del centro-nord intese quali Città d’Arte relegando ingiustamente Napoli – ch’è una città che rivela la sua storia attraverso vestigia plurimillenarie – nei bassifondi del folklore, nell’iconografia stereotipata di “pizza e mandolino” nonostante sia Culla della Civiltà. E' vero che la microcriminalità locale è un forte deterrente ma il problema di fondo è che i napoletani medesimi non hanno consapevolezza della loro Storia; occultata quindi dimenticata e ciò equivale ad immensa mancanza di rispetto verso se stessi, verso le proprie radici ed anche verso le future generazioni. I napoletani dovrebbero imparare a camminare, metabolizzandole, attraverso le vestigia, le fonti ancora riconoscibili del loro Passato, ch’è molto più remoto di quello di altre città italiane, perché Napoli può offrire al mondo intero un panorama artistico che va dall’arte antica alla moderna, in traboccante profusione. A Napoli le pietre “cantano” e “raccontano”, sfogliando l’infinito libro di pietra e tufo che non consentirà mai alla nostra città di globalizzarsi negli usi, costumi e tradizioni e meno che mai nello spirito identitario di questa meravigliosa patria. Anche i napoletani più informati continuano a credere che la magnifica San Lorenzo sia la Chiesa più antica della metropoli e quasi non conoscono – se non, forse, qualche vecchio abitante dello storico quartiere Mercato-Pendino – una delle più antiche Chiese della città: S.Eligio Maggiore… Eppure, la celebre erma di fattura greco-arcaica della sirena Parthenia – conosciuta quale “Marianna ‘a Capa ‘e Napule”, il cui originale manufatto è ora visibile a Palazzo San Giacomo, costretto tra lapidi inneggianti ai martiri dell’effimera repubblica partenopea eppoi a Garibaldi e all’Italia UNA - trionfava in tempi remotissimi, alla stregua di una golena sulla prora della città ad accogliere le genti dal mare che nell’antico quartiere del Mercato, porta di accesso alla città, sbarcavano. Probabilmente, ornava un tempio dedicato alla sirena Parthenia. Nel medesimo quartiere, la popolarità assunta dal culto della Madonna Bruna nel tempo ha favorito sempre più il “primato” (se così si può dire) della vicina Chiesa del Carmine, togliendo smalto e afflusso di fedeli alle splendide chiese, architettonicamente UNICHE, di S.Eligio (angioina) e della ancor più antica San Giovanni a Mare (aragonese, così detta perchè il mare la lambiva), vittime per anni anche dell’incuria che segue all’oblio. Esempio eclatante dell’incuria è anche la Chiesa di Santa Croce al Mercato, oggi chiusa per restauri…lenti… ed ormai dimentica dell’icona simbolica che provvide ad ispirare la sua fabbrica: la stele in pietra sormontata da una croce, a ricordo del supplizio di Corradino di Svevia nella pubblica piazza… Addirittura, questo tempio - restaurato religiosamente dai Borbone quando andò distrutto a causa di un incendio sviluppatosi in seguito allo spettacolo pirotecnico del falò del vicino campanile del Carmine - fino a qualche anno fa, veniva impropriamente utilizzato quale deposito di giocattoli… Nella piazza, le due antiche fontane settecentesche che servivano per abbeverare il bestiame, nonostante siano state restaurate, sono state ancora derubate dei glifi e dei leoni che ornavano di ognuna le quattro vasche e trionfano, come obelischi, sulle montagne di rifiuti, dalle quali - specialmente durante ogni "alta marea" di "emergenza monnezza" - spuntano per un terzo della loro altezza, come gli "zen" dalle cuspidi delle piramidi d'Egitto. Nel medesimo quartiere la Storia e le Vestigia ad essa connesse sono state orribilmente accerchiate e sommerse dalla speculazione edilizia, mediante la costruzione di mostruosi condomini da squallida periferia…l’antico “mercato” del bestiame che vi si teneva e le botteghe artigiane e le corporazioni che vi pullulavano sono state sostituite da altri tipi di commerci….La Storia, con i suoi Corradino, Masaniello e fra’ Diavolo, emblemi della nostra Identità, giace appassita e incolore solo in polverosi tomi e volumi addormentati sugli scaffali delle biblioteche, scritti in maggior parte da stranieri conoscitori e amanti della nostra Civiltà. Ma la Storia non può morire: non avremmo un futuro senza cognizione del passato! La Storia è come una rosa del deserto; basta una sola goccia di rugiada, per rianimarla. Celebrare i nostri trascorsi significa anche sottolineare l’indistruttibile connubio tra Fede e Civiltà che ha caratterizzato, nei secoli, la Tradizione del popolo napoletano, il suo stesso humus. E’ bene ricordare che il solo centro storico di Napoli conta più chiese dell’antica città di Barcellona nella cattolicissima Spagna. Ed è estremamente importante, in questa cruenta epoca di confusione e declino morale, riproporre alle anime senzienti ma distratte quell’inscindibile connubio, anche solo attraverso semplici informazioni, senza scomodare gli accademici di solito impegnati in vetusti salotti d’elite, che finirebbero col distogliere la già scarsa attenzione che lo stress della vita moderna è in grado di concedere ai comuni mortali. Le antiche pietre riprendono a “cantare” ed a raccontare le storie della nostra Storia, tra le cui pagine poter ritrovare qualcosa di bello e di buono che stimoli positivamente la consapevolezza del presente mediante la cognizione del passato, perché sia possibile intravedere un possibile futuro per la nostra Civiltà. Necessita più che mai offrire Napoli ai napoletani, perché se ne riapproprino consapevolmente. Perché la amino e la rispettino... Perchè non si può amare ciò che non si conosce!

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Messaggio N°86 del 18-12-2006 - 20:44
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Bandiera identitaria
dagli appunti di Angelo Manna

... La lingua è corpo, non è testa, è sangue, non è cervello. Le sue chiavi sono magiche ed è il popolo a custodirle. Una parola pronunciata da un popolano ha un senso e un sapore che non sempre possono essere colti, compresi dal letterato che è abituato a starsene comodamente dietro una pila di libri, dietro una scrivania nel suo studio isolato, panoramico, privilegiato da una grande quantità di lauree e diplomi, luccicante di coppe e di medaglie. E così un modo di dire racchiude a volte un’esperienza storica che il popolano non conosce ma che ripetendo fa rivivere, e che il dotto, il letterato,perfino l’esegeta non riescono a penetrare, se non si calano in esso con umiltà.La lingua di una nazione non è quella che parlano i suoi reggitori, ma è quella che parla il suo popolo, perché è il popolo il suo “inventore” continuo, il suo sacerdote, il custode delle sue ortografie e delle sue fonazioni. I letterati la forzano, la violentano, anticipano abusivamente evoluzioni che non è detto che naturalmente si verificherebbero, e che, semmai dovessero verificarsi, si verificherebbero secondo natura, e cioè per gradi, rispecchiando l’evoluzione sociale del popolo: perché popolo e lingua hanno sempre lo stesso identico destino.
La lingua è il termometro della civiltà di un popolo, il popolo è una vicenda narrata dalla propria lingua.

Nella lingua di Napoli tutte le sofferenze del popolo di Napoli, tutte le felicità, i sentimenti, i moti dell’anima e della testa. Un letterato che violenti il linguaggio del popolo e in TV faccia dire ad uno dei suoi personaggi inventati da lui “ me so’ comprato dudece ova” tradisce il popolo il quale ha sempre detto “ m’aggio accattato na dozzina d’ova” , inventa, abusa, tradisce Napoli per una manciata di milioni: e la scusa che il suo lavoro traditore deve essere compreso anche a Pordenone e a Pinerolo è un’aggravante. E’ corpo la lingua di un popolo, non è mai testa, è sangue, non è cervello. E le sue chiavi sono magiche, ed è il popolo, soltanto il popolo a custodirle.

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Messaggio N°82 del 15-12-2006 - 17:55
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Il silenzio di Megaride
di Marina Salvadore

Lei era solare, flessuosa, appassionata e ciarliera. Viveva attaccata alla sponda di Partenope, portandosi dietro l’oltraggio della sua coda pescina che non le consentiva di toccare terra, di camminare, correre, saltare sulla terraferma. Viveva perennemente attaccata allo scoglio, per illudersi di condividere con i pescatori di sotto il Castel dell’Ovo un vivo spirito di condominio, per sentirsi parte di quel popolo del quale ascoltava, rapita, i suoni onomatopeici della lingua, i canti struggenti, gli accordi di chitarra, le parole d’amore, la passione di una lite tra innamorati… i passi di una danza popolare e il suono della tammorra… il profumo dei fiori d’arancio di una “pastiera” o di un corteo nuziale… Non si rendeva conto di quanto fosse stata fortunata a nascere sirena e non donna, a godere di quel gran privilegio datole dal suo punto naturale di osservazione del mondo…
poiché ignorava quanto Napoli fosse maledettamente bella… ma solo se vista dal mare e dal cielo.
Cantava Megaride, nelle notti di luna piena sul golfo, intrecciando le sue note argentine ai bagliori tremuli di stelle d’argento sul pelo dell’acqua. Cantava le storie, i volti, le voci di secoli e secoli di umanità, splendori e rovine di uomini e donne passati su quella sponda. Cantava del bene e del male di generazioni sempre appassionate, vitali, comunque sollecite nel bene quanto nel male… scolpite nella luce o nelle tenebre, comunque dotate di “carnalità”, di Passione; quel sentimento instillato nei cuori delle genti marinare proprio dall’umoralità scatenata del Mare Nostrum, esasperato dall’elemento del fuoco vesuvino ma assente del tutto, assurdamente, nei cuori puri delle creature marine che vivono di puro amore.
E la gente - gli indigeni ed i turisti - in ogni epoca volgendo lo sguardo all’orizzonte, spaziando estasiati nel surreale giro di giostra intorno al golfo… dal Castello al Vesuvio, lungo la corona dei comuni vesuviani, fino a Sorrento…quindi su Capri a fermare lo sguardo… sempre esclamava, rapita :”Dio! Quant’è bella questa Napoli!” senza mai rendersi conto che Napoli è quella che incombe alle spalle; non quella riflessa nella baia azzurra di Megaride, confinante da Napoli attraverso la linea segnata dai frangionde, dalle calette delle imbarcazioni dei pescatori, dalle terrazze delle taverne affacciate sul mare e dagli abbracci delle coppiette innamorate incollate ai muretti. Lei, avrebbe voluto gridarlo, ogni volta, che Napoli era solo lo specchio deformante in cui il suo regno si rifletteva nel fuoco e nel tufo, trattenendo nella “cartolina” i sentimenti, gli umori, la libertà e la potenza del dio del Mare, che tanto aveva influito sul carattere dei napoletani con il proprio carattere…fino a quando la divinità e Megaride e le altre creature acquatiche ancora avevano il piacere di parlare e di insegnare ai napoletani i misteri divini.
Megaride cantava le leggende del mare ai napoletani e dei napoletani raccontava le storie incredibili al Mare. Per millenni, un’armonia perfetta, una musica celestiale, un canto accorato si erano levati nel cielo su Napoli. Anche nelle epoche infami delle ferite procurate dagli stranieri invasori a Napoli, Megaride curava col sale del mare e quello delle sue lacrime materne le ferite, ninnando soavemente sul suo seno e con dolci melodie i vinti, i disperati, gli affranti figli suoi. E quel canto risanava e rigenerava… e lo spirito del popolo di Napoli riemergeva dagli inferi,ogni volta, con nuovi progetti e gioiose speranze.

Poi, lei vide nello specchio in cui si rifletteva il suo regno, tempo dopo tempo, sfarinarsi lentamente quel presepe di tufo e di fuoco, di case e di genti, si avvide che il sole baciava sempre più raramente quella città non più intrisa dell'aura azzurra del mare e che il grigiore del decadimento abbrutiva i suoi figli che avevano preso a concorrere alla distruzione della città, avendo smarrito oltrechè tutti i doni del mare, speranze ed attese, amore e passione… Megaride non cantò più.
Di lei si raccontò solo la triste leggenda del bugiardo e misogino Odisseo.
Non canta più, Megaride. Punisce con la peggiore delle vendette i suoi figli ingrati e traditori: con il Silenzio inquietante e terribile; unica potente arma di lotta ad uso delle generose ma implacabili Sirene!

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Inviato da kayfakayfa
il 16/12/06 @ 06:45
L'attualità del Mito, sapientemente impastata dalla fantasia dell'autrice con la realtà urbana di oggi, alimenta nel lettore nostalgiche rimembranze di un passato lontano ma tuttora vivo nella memoria di quanti sanno che Napoli non è solo la violenza e il disordine che purtroppo conosciamo, bensì una città dove Magia, sentimento, passione, genuina voglia di vivere si mescolano tra loro come affluenti di un Grande fiume in cui purtroppo convergono anche gli scarichi inquinanti di una società cosi tesa all'accaparramento di danaro e potere tanto da avere influito con la sua forza convincente a persuadere i napoletani a non fermarsi un attimo ad ascoltare la suadente voce della Sirena cantare la Vita, l'Amore. Perché Megaride non ha deciso di tacere; la sirena non ha mai smesso di cantare, sono i napoletani che hanno smesso da tempo di ascoltarla...
Bellissimo il tuo post!!!!

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Inviato da vocedimegaride
il 16/12/06 @ 10:45
Intanto, grazie per aver manifestato apprezzamento per il mio scritto. Trovo originale anche la "variabile" che hai offerto, dalla quale potrebbe scaturire un bel dibattito, posto l'amletico quesito: "E' muta la sirena o è sordo il napoletano?"

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Inviato da kayfakayfa
il 16/12/06 @ 14:52
Davvero molto stimolante l'idea di alimentare un dibatitto che abbia come spunto il dilemma "è muta la Sirena o è sordo il popolo napoletanto?" Se ti riesce di organizzare qualcosa del genere, tienimi presente, vi presenzierò molto volentieri! Buona domenica, Enzo

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Inviato da Anonimo
il 16/12/06 @ 15:58
Non resterebbe che tentare immergersi nello stesso Mare ove nacquero «i sentimenti, gli umori, la libertà e la potenza del dio del Mare, che tanto aveva influito sul carattere dei napoletani con il proprio carattere…fino a quando la divinità e Megaride e le altre creature acquatiche ancora avevano il piacere di parlare e di insegnare ai napoletani i misteri divini.». E ai napoletani di oggi c’è quanto basta ancora di vivo in loro. Non è morta , la poesia, la canzone. Per esempio quando Russo e Di Capua melodicamente inscenano «’I te vurria vasà». Ma la “sirena” partenopea di questo scorcio poetico struggente, dorme e con la sua bellezza sembra ammonire chi intende distoglierla dal sonno. Il mitico “silenzio di Megarite” non lo permette e allora non resta che entrare nel suo infero antro notturno e far seguito al sommo desiderio del “bacio” soggiungendo,
«Ma ‘o core nun m’ ‘o ddice ‘e te scetà, ‘e te scetà.
‘I me vurria addurmì, i’ me vurria addurmì
Vicino ‘0 sciato tujo
N’ora pu’i’... N’ora pur’i’.».
Ecco, io credo che è questo un modo di capire la realtà “marina” che è parte indissolubile del vero napoletano. Egli in tal guisa è poeta e cantore: pure se nun è ghiut’ a’ scola, resta semp’ ‘nu guaglion’ 'nnammurat' dint’ ‘o core. Da qualche settimana, colto da questo questo “sentimento” smanioso di un irrinunciabile “senso di libertà”, mi è piaciuto mettere su questo sonetto:
«QUANN’ERO GUAGLIUNCIELLO.
Ddoce è ‘a nuttata quanno
a fora, ‘o vient’ soscie forte.
Me stregn’ sott’ ‘e cuperte
e m’addormo penzanno.
Penzo a comm’era bello
quann’ero guagliunciello.
Complimenti per il post, molto vibrante. Gaetano Barbella

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Inviato da terranuova0
il 16/12/06 @ 19:08
Vedo con piacere che l'amico Gaetano è entrato nel mare nostrum che bagna l'isolotto di Megaride e da "perfetto " poeta usa il linguaggio della Bellezza e dei Colori tipici di chi ha nel proprio sangue l'azzurro del mare e il calore del Sole. Marina è brava: Mauro è bravo. Vocedimegride ormai viaggia a ritmi velocissimi verso il proprio essere un sicuro punto di riferimento di chi ama il Sud senza finti isterismi o pietas deteriore. Sono contento di Gaetano e conservo il piacere di averLo come Ospite graditissimo nel mio blog.
BRAVI. Antimo Ceparano

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Messaggio N°58 del 03-12-2006 - 12:47
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La città del mistero: Napoli o Partenope

di Clara Negri

Napoli, anticamente Neapolis, ossia Nuova città, appartiene a una tradizione tutta incentrata sul mistero, l’occulto e il femminile. Essa, e il suo incantevole golfo, che idealmente va dalla Punta della Campanella a Capo Miseno, ha sempre goduto di condizioni terrestri climatiche e magnetiche, eccezionalmente buone.
Da circa tremila anni la zona partenopea palpita di vita non soltanto per la sua terra ubertosa e fertile (essa veniva appunto chiamata:Campania felix) ma soprattutto per la combinazione naturale dei quattro magici elementi universali: Acqua, Aria, Terra e Fuoco che hanno costituito l’amalgama ideale per le innumerevoli alchimie mentali di uomini antichi e moderni che si sono trovati a soggiornare in quei luoghi.
La città di Napoli è governata dal segno dell’Ariete e dal pianeta Marte, dio del Fuoco, quindi ottimo rappresentante del vulcano che la sovrasta: il Vesuvio. Ve, radice della parola Vesuvio, secondo alcuni studiosi deriva da Venere, sposa del brutto e gobbo Efesto, il fabbro degli dèi, che aveva le sue fucine giusto nei vulcani. L’amante preferito di Venere era però il focoso Marte, anch’egli, come Efesto, dio del fuoco, nonché del ferro, della guerra e…del sesso appassionato. Sappiamo tutti come finì la loro storia adulterina, dopo che Efesto bloccò con una rete il loro appassionato e illegittimo abbraccio amoroso e poi li espose agli sguardi e al riso di tutti gli dèi subitamente chiamati a gustarsi la scena. Non è forse un caso che il metallo specifico dell’Ariete e di
Marte sia il Ferro, che si trova in grande abbondanza proprio nelle acque sorgive della città, in particolare nella zona Chiatamone, che furono e sono tuttora chiamate Acque ferrate. Come detto, Napoli è la città magica per antonomasia ma è soprattutto città femmina perché ogni suo aspetto esalta i simboli femminili tanto vituperati negli ultimi due millenni esasperatamente maschilisti e fallocratici. Essa nasce nel IX secolo a.C. sulle rocce del Monte Echia, odierno Pizzofalcone, alle spalle di Santa Lucia. Secondo alcuni studiosi Echia risalirebbe a Euplea,altro nome dato ad Afrodite, la dea della bellezza.
A questa dea i rodii eressero un piccolo tempio in una grotta di Posillipo (che in greco vuol dire:pausa dal dolore), verso la Gaiola, innalzandole una statua marmorea ai cui piedi vi era un bassorilievo in marmo raffigurante scene dell’Olimpo.
Si racconta che molto prima che scoppiasse la Guerra di Troia alcune tribù preelleniche di razza camitica, scacciate dalla loro terra di origine e abilissime nel solcare i mari con agili imbarcazioni, si trasferirono sulle coste dell’Italia meridionale, e della Campania in particolare. Queste tribù, chiamate dei “Teleboi” (egei e rodii) si stabilirono quindi sulle nostre coste, attirati dalla dolcezza del clima e dalla bellezza dei luoghi. Costoro praticavano il culto delle Sirene, culto risalente però a tempi ancora più remoti degli antichi popoli siro-anatolici dell’Asia Minore, assimilati solo nel 1400 a.C.
Questo culto è molto più complesso di quanto si può immaginare perché affonda le sue radici in quello delle dee-madri, un tempo considerate le uniche detentrici della Conoscenza, della vita e della morte. I nostri lontani progenitori avevano infatti un’unica grande divinità femminile-lunare che occupava il posto principale: Dêmeter, ovvero Dâ Mater o Terra Madre), riconosciuta come padrona del mondo visibile ed invisibile, della terra, del cielo e delle acque. Vi erano poi divinità femminili minori associate a questi elementi, e al mare in particolare, alcune chiamate Ninfe, altre Sirene.
Le Sirene, in un lontano matriarcato, erano esseri alati col viso di fanciulle e il corpo di uccelli, detentrici della parola sacra che ammaliava per la loro dolcezza e veniva ascoltata come divino canto. I loro luoghi di residenza erano soprattutto le meravigliose regioni del meridione tra Napoli e Sorrento, che venivano chiamate Seirenea, nome che indica una specie di api, insetti che possiedono un simbolismo regale che risale addirittura a Caldei ed Egizi. A questi insetti è associato il dono dell’eloquenza, della poesia e dell’intelligenza e, nei misteri Eleusini, anch’essi femminili, le sacerdotesse venivano chiamate api. essendo considerate alla stregua di sacerdotesse o pitonesse che possedevano il dono della profezia. Nell’Odissea di Omero esse così parlano: “noi tutto sappiamo di quel che avviene sulla terra nutrice dove gli uomini nascono, vivono e muoiono. Nessuno si allontana da qui se prima non sente (il nostro canto) e pieno di vigore riparte, conoscendo più cose”.Col finire dell’era matriarcale e col nascere di quella patriarcale il femminile però venne sempre più demonizzato e il loro corpo di uccello fu trasformato in quello d’un pesce, in rapporto analogico col simbolismo delle acque, lunari e femminili.
Eraclito le definì “graziose baldracche” e Omero le situò nei paraggi dell’Ade, la Porta degli Inferi, che in seguito verrà individuata nel lago d’Averno.
Così, a poco a poco esse persero il loro carattere iniziatico e ammaliatore per entrare in quello infero, lascivo e distruttore dei mostri femminili lunari connessi agli abissi marini. Ecco perché col tempo divennero simili alle Lamie o arpie, nemiche dei navigatori che prima vengono sedotti dal loro canto ammaliatore e poi, caduti in loro balia, crudelmente uccisi.
A causa dell’inganno di Ulisse, che superò indenne il pericolo mortale facendosi legare a un albero dai suoi marinai a cui però tappò ben bene le orecchie, le sirene Ligea, Leucosia e Partenope, ferite e umiliate, si dettero spontaneamente la morte nelle acque di Capri e, mentre i corpi delle prime due approdarono lontano, quello di Partenope venne ad essere ritrovato sulle rive di Megaride, nella zona compresa fra l’attuale Castel dell’Ovo e l’antico Borgo Marinaro. Gli abitanti del luogo, impietositi, le eressero un sepolcro e sorse così la città che prese il suo nome: Partenope.
Per questa ragione l’antica Napoli crebbe e si sviluppò nel culto d’una semi-dea che la iniziò virtualmente ai misteri e all’occulto. La stessa cittadina di Sorrento dovrebbe avere un rapporto etimologico con la parola Sirena, così come lo hanno certamente le isole Sirenuse, enormi scogli oggi chiamati Li Galli, di fronte a Positano. A testimoniare l’antico rapporto tra Napoli e l’oracolo della Sirena oggi si può ancora ammirare la splendida statua che raffigura una Sirena tra due delfini nell’aiuola di Piazza Sannazzaro. Vi è poi il Corso Sirena che da Piazza Procelle attraversa Barra oltre a numerosi elementi ornamentali su portoni di antichi palazzi nella zona della vecchia Napoli.
 

web personale di clara negri www.astrarmonia.com
immagini di Mauro caiano

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0

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Messaggio N°32 del 22-11-2006 - 19:33
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Considerazioni sui massimi sistemi
di Antimo Ceparano

E’ impensabile che degli uomini debbano usare violenza verso i propri simili. Accade che in metropoli coeve attrezzate con i più moderni sistemi di pensiero alcune frange della popolazione vivano una condizione “infernale”: costrette a subire le leggi di quello che loro stessi chiamano “sistema” . Questi uomini convivono con l’incubo di una condanna a morte spesso emessa nei loro confronti da tribunali eletti da personaggi raccapriccianti e senza nessuna regola morale.
E’ il caso di quella genia di furfanti denominata “camorra”; in realtà la “camorra” come organizzazione sociale non esiste: esiste al contrario una malavita gestita da clan territoriali spesso in lotta tra di loro, un po’ come succede in Russia, negli USA o in Cina. La camorra è un’organizzazione che con mezzi illeciti tende ad appropriarsi dei beni dello Stato o del singolo: se questa definizione è esatta allora significa che vi sono miriadi di camorre e che questo termine deve intendersi estensivo e usabile anche per altre realtà territoriali, oltre che per quella napoletana.
Il generale Della Chiesa usava dire che la mafia non esisteva: credo che intendesse dare al significato della parola mafia questo tipo di significato.
Combattere le camorre si può e si deve: una prima sfida sarebbe quella di procedere all’istallazione di un inceneritore per smaltire i rifiuti urbani del napoletano. Sappiamo che il riciclaggio dei rifiuti urbani è da sempre un business delle camorre territoriali. L’attivazione di un inceneritore significa procedere ad una “messa in esercizio” di risorse umane sotto-utilizzate e non impiegate sul territorio ma che l’ente comunale e regionale paga e che rappresentano dei costi notevoli a carico dei contribuenti: avremo così, l’esempio valga per più casi, vigili urbani che nel mentre devono controllare il territorio a loro affidato circa il perfetto utilizzo dei contenitori dei rifiuti (la plastica nei contenitori della plastica, il vetro in quello dei vetri e così via…) possano svolgere un’adeguata funzione di educatori all’uso del sociale, specie nei quartieri del sottoproletariato urbano. Allo stesso tempo l’inceneritore può servire da volano per l’attivazione di business paralleli al riciclaggio dei rifiuti, quali il settore dei fertilizzanti, quello del riciclaggio della carta (oggi ecologicamente conveniente), quello del riciclaggio del vetro, oltre a quello già nominato dell’energia alternativa. Se l’On. Bassolino ha fallito è perché non ha saputo, o voluto, cogliere il nuovo che veniva da una sfida seria e di vera trasformazione del territorio urbano. Il sindaco signora Jervolino si è adeguata alla gestione del quotidiano ma di fatto è come se gestisse l’evolversi di un tumore maligno.
Le industrie sul territorio che oggi frenano la caduta vertiginosa della città verso canoni sud americani, quali l’Ansaldo e l’Alenia, dovrebbero entrare a pieno titolo in un organismo extra parte dove programmare, insieme ad altre realtà provenienti dai settori più vari, lo sviluppo industriale di una città che essendo portuale non è assolutamente a vocazione turistica! Ma che il turismo può affiancare e trascinare verso una maggiore crescita economica.
Manca a nostro dire un coordinamento tra le forze sane e una corretta visone non populistica ed elettorale delle forze legate alla politica.
Napoli, il Sud ha tutto per farcela: mi domando c’è la volontà e la reale convenienza per uscire dall’emergenza voluta?
Pace e gioia.

Inviato da: crocco57 - Commenti: 0

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Messaggio N°28 del 21-11-2006 - 23:07
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chiAma Napoli
di Marina Salvadore

Chi ama Napoli ha intima consapevolezza che Napoli esiste oltre ogni volgare luogo comune, oltre ogni pittoresco folklore, oltre la menzogna storica istituzionale,…oltre l'offesa dell'ignoranza e del tempo. Chi ama Napoli è ancora capace di vederla pulsare di vita nelle antiche profondità del suo corpo di giallo tufo imbibito di sole, di respirarla sulla superficie del sacro calice d'acqua salata del golfo, di annusarla lungo il sentiero delle spezie che cinge come corona il suo cuore ardente di vigne, di agrumi, di arte, di storia… profumato di umano genio e di tuberosa; frutti e fiori…RADICI della sua fertile terra vulcanica.
Silenzio! Napoli parla a chi sa ascoltarla e racconta:
"Sono nuda di panni eppur vestita di sale e d'acqua, di fuoco e di vento e dall'eternità le mie ali leggere e possenti trattengono nel fiero abbraccio questo cristallo di Paradiso, caduto sulla Terra direttamente dalle mani congiunte di Dio.
Io sono l'Angelo... il Deva, lo Spirito Immortale... La Stella… la Sirena; ora il Castello su Megaride… ora Nisida perduta dalle braccia di Posillipo… quindi il Faro di questo luogo che mi fu affidato. Ho i mille nomi che mi hanno imposto e altrettanti volti; ognuno coniato nel tempo… dai "tempi" dei Mortali. Vi fu chi, tra gli eroi omerici, mi scorse tra i flutti di questo mare turchino e di metallo o tra le nuvole arancio e viola di questo magnifico e terribile Cielo Meridiano... o, anche, tra le pieghe della costa frastagliata che qui si lancia - in lungo e in largo - dall'alito caldo di messer Vesèvo nell'abisso, in rapido balzo giù per le chiome dei pini, tra i rovi e la ginestra, tra vestigia di rocche, ricordi di pizzi e merli di templi e castelli decaduti, per sfiorare più in basso gli odorosi agrumeti a mezza costa, vigne e pergole, tra le cupole di mosaico e d'oro zecchino delle chiese ed i tetti di rame e coccio dei monasteri… per affondare le membra giù in fondo, nei dolci giardini di fiori e spezie, palmeti, gerani, affatate piantine di cetrangolo e fichi d'india, distribuiti tra sfarinate di casarelle linde e austeri palazzi, su e giù per scale, vicoli e scese… eppoi, per numerose torri, grotte, insenature e fiordi delle minuscole marine, tra barche e reti di pescatori, a gloriosa corona dell'orlo dell'abisso Mistero Mare.
Altri, mi munì d'ali d'uccello e mi rassegnò a popolar colonie di strigi piumate sulle
pareti scoscese della costiera e sui minuti isolotti ... oppure mi appellò regina delle Sirenuse, quando alle ali gallinacee e agli speroni impietosi gli uomini preferirono il fasciarmi in un corpo invitante di donna, dal canto suadente e dalla coda pescina, perfidamente seducente perché impenetrabile, asessuata, contronatura, priva di fertile ventre... Oh! Quant'è vero che la bellezza pura incute più gelido orrore della mostruosa bruttezza! Non vi è forse più familiare l'Ade di questo sfolgorante Paradiso, che voi osate definire accecante? Sempre e in ogni modo mi hanno percepito magnifica e terribile, come magnifica e terribile è la suggestione immutata di questo luogo che, invece, stringo materna quale delicata creatura sul mio petto pulsante all'unisono col pulsar delle stelle ed al ritmo incessante del respiro del mare; talvolta, ninnandola al suono di conchiglie e corni, d'antiche cetre, liuti, flauti ed archicembali; tal' altra sollazzandola col tamburello, il triccaballacche, il putipù e la voce di un posteggiatore che accompagna e che racconta l'amara storia del diletto figlio adolescente Corradino o di uno dei tanti Masaniello "nemo propheta in Patria"... Di quando - a questa creatura -rammento il suo antico censo marinaro, di quand'aveva la flotta più imponente del Mediterraneo ed anche, forse, d'Europa... ed allora improvviso sale, come da canne d'organo, una musica trionfale: è il dio del vento che sfiora con le sue lunghe dita i pinnacoli e le guglie delle nobili magioni e guglie delle nobili magioni e guglie delle nobili magioni arroccate sotto un cielo di stelle, laddove la storia di Napoli da qui s'innalza come preghiera al Cielo, quale una cattedrale gotica scolpita dalle note e dai silenzi dei fasti. Lo sciabordio nelle marine, la risacca, la spuma sulla e, la risacca, la spuma sulla battigia della calma, la tempesta e il fragore dell'onda, il frangersi dei legni sugli scogli,… l'urlo vetroso del pietrisco… Lo scalpiccio di sandali dei milioni di antichi passi sulle scese del Decumano… Il crepitar dei fuochi di taverna, in un presepe affollato di San Gregorio Armeno… il vociare scanzonato dei bottegai: così è qui composta l'orchestra ed il coro di Dio!
Io sono l'Angelo in piedi sull'ago della tua bussola, segno il Sud tra i petali odorosi d'Oriente della Rosa dei Venti che punta sempre il vorace Nord geloso. Io sono l'anima della fornace che cuoce i pani per il desco, le misere terraglie per le umili dimore e le pregiate maioliche variopinte per i ricchi templi. Sono lo scrigno di mille meraviglie… il forziere forzato dai ladri d'ogni tempo e d'ogni guerra.Sono il genio che muove le mani del vasaio, del teatrante, dell'artigiano di mille nobili mestieri ormai scomparsi; quello che dirige le mani del direttore d'orchestra nel tempio del San Carlo ed a San Pietro a Majella e quelle che infilano l'ago che a Mergellina e a Coroglio ripara con pazienza le reti e le vele sulla spiaggia… Sono l'argento dei guizzanti pesci del mare e delle mandolinate lune… piene di milioni di stelle… la farina e l'acqua e il vento che mescolano nel tripudio a Cerere la sacra libagione del frumento. Sono la luce del Sole ardente, il plasma trasfuso ai succosi frutti delle limonaie, il fuoco dell'elisir di lunga vita, racchiuso religiosamente in ampolle, come reliquia vivente del santo patrono di questa Terra.
Pigio il torchio delle profumate cartiere e con inchiostro trasparente d'acqua di mare scrivo sulle migliaia di fogli, odorosi di fiori campestri, tutte le storie della incredibile Storia di quest' ameno luogo. Io sono - assieme - l'eccelso spirito di Partenope e la carnale sua serva Napoli! Ho il potere, da millenni, di risvegliare dalla catarsi i dormienti, i misogini odissei, gli ignavi, gli indifferenti, i distratti, suscitando con il fulgore della mia spietata bellezza e con il fuoco di questo cristallo di Paradiso, lo sgomento, la scossa, l' "insulto opossico" necessario ad ogni creatura che deve rinascere al mondo superiore, alla consapevolezza… alla maestosità di Dio, perché non si perda in eterno nel vuoto infinito della bestemmia di un Limbo o vaghi esule morto vivente nella Terra di Mezzo dei suoi dèmoni istinti. Io, spezzo il fiato! Rigenero! Tu, invocami se m'ami…Nelle tue tristi notti forestiere CHIAMA NAPOLI ed io, Partenope, verrò a regalarti una carezza, una canzone…la promessa di un ritorno e… un sogno."

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0

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Messaggio N°26 18-11-2006 - 22:06
Tags: Identità

LA FEBBRE E’ PROSSIMA
di Andrea Balìa

Bisogna smetterla e fare attenzione. Siamo vicini all’anno zero: il Sud sta esplodendo! E’ più d’una sensazione; è come quando avverti che non stai bene, che davvero qualcosa non funziona e sta per venirti la febbre. Non stavi già bene, non eri in forma, ma ora sai che la malattia sta per colpirti. Il Sud deve smetterla con l’atteggiamento, come si dice a Napoli, di “attaccare il ciuccio dove va il padrone”, ovvero con il fatto che un Re vale un altro per cui si accomodino anche i Savoia, con "andiamo a fare la guerra per il nuovo Stato" tanto cantiamo “ ‘o surdato ‘nnammurato”, con "si accomodino pure il Duce e il suo fascismo" e facciamoci un’altra guerra, con "il PCI ci salverà" ma poi più che a Torino non ci porterà, con Lauro e l’elemosina dei suoi squallidi pacchi di pasta e paia di scarpe, con il codismo alla DC e al suo trentennio che ha fatto qualche nuovo ricco collocato sulla collina di Posilllipo in case panoramiche che trasudano voti di scambio, ma ci ha lasciato una città scassata con periferie ghetto e con una camorra sempre più grossa ed infiltrata, con Bassolino nuovo acclamato monarca - pieno d’idee ma senza soldi e troppi amici - per una corte piena d’intellettuali saccente e autoreferenziale ma sfacciatamente impotente alle problematiche dell’ex capitale, con una strizzatina compiacente al nuovo unto del Signore discendente dalle brume lombarde che "vuoi vedere ci compra il Napoli" (e meno male che è arrivato De Laurentiis che almeno è di queste parti) e possiamo riciclare i vecchi democristiani in un nuovo “forzoso” papocchio politico. Insomma basta! Ad onor del vero due volte, dico due, e prima che qualcuno pensi me lo sia dimenticato, la reazione (ma sempre del popolo e mai dell’intelletto) c’è stata : quella dei “briganti” – purtroppo lontana e, ancor oggi, ai più quasi sconosciuta – contro il nuovo Stato che chiudeva (ahimè!!!) i conti col vecchio e secolare Regno del Sud, e una seconda volta con le giornate napoletane di resistenza nell’ultima guerra fatte da scugnizzi, “muschilli”, e da quella parte di popolo che il Bocca continua a chiamare “plebaglia incivile da millenni”. Sbaglia due volte il decano giornalista – corroso da una rancorosa vecchiaia – perché :
1) la resistenza mica l’ha fatta solo lui e quindi per quale ragione se ne dimentica e quella delle giornate di Napoli sarebbe di serie B rispetto alla sua, e non tale da essere ricordata e fargli dire e ritenere un popolo eroe invece sempre appellabile come “ plebaglia incivile” ?
2) se fossi in lui non mi avventurerei indietro nei millenni dove il paragone con le zone delle sue amate montagne lo vedrebbe perdente in paragoni di cultura, civiltà, status economico, condizioni igieniche, ecc… E poi glielo si dica una volta e per tutte : non ci racconta nulla di nuovo…infine lui e qualcun altro sono solo dei pivelli replicanti di lontani e cattivi maestri (Croce docet!) che ben conosciamo!
Tornando a noi : quei due esempi dicono che è passato troppo tempo dall’ultimo (più di mezzo secolo) e che o ci si organizza o l’esplosione derivante dal degrado economico e civile, il sottosviluppo, la criminalità micro e maxi con regia camorristica scasserà definitivamente il giocattolo. Ma l’avvertimento a smetterla vale anche per il Nord e lo Stato italiano. In un sano e oserei dire doveroso egoismo - derivante da una conoscenza e consapevolezza storica -, e visti i nostri problemi, non è che dobbiamo affliggercene più di tanto. Il Nord scoppierà di conseguenza a scapito di quell’idea d’Italia che tale è rimasta. Non servono eserciti, pannicelli caldi e qualche retata temporanea di polizia. Serve ben altro : banche, infrastrutture, imprese, lavoro, ecc…basterebbe guardare alla Germania che è ritornata una dopo il muro di Berlino, ed a fronte d’una volontà, non d’annessione ma realmente di recupero ed integrazione, ha ricostituito con sacrificio ma determinazione una nazione con diritti ed economie ugualitarie in pochi anni. Noi possiamo attendere e poi organizzarci, se succedesse come invoca un nostro compatriota in fondo ad un suo articolo : “facite ‘sta maronna ‘e secessione e jatevenne..”, oppure adoperarci perché si affronti veramente il problema Sud (auspicabile ma molto poco praticabile con questi politici centro/nordisti e con l’ascarume di quelli meridionali), o ancora seguire la difficile ma dignitosissima idea separatista di Zitara. Poi facciano come credono, e come è presumibilmente prevedibile, ma attenzione a tutti : la febbre sta per arrivare!

Inviato da: napolitudine1 - Commenti: 5

Inviato da vocedimegaride
il 18/11/06 @ 22:25
Bel contributo, Balìa! Un'unica eccezione: non crederai anche tu, spero, alla leggenda metropolitana di "una scarpa prima; l'altra a voto avvenuto" che circolava sul conto di Lauro... è esattamente come quella del pane e delle brioches costruita sul mito negativo della regina di francia... o come quella che riguarda i comunisti pedo-antropofagi....nevvero?

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Inviato da Anonimo
il 01/12/06 @ 18:53
Non mi interessa e non credo alla leggenda della scarpa prima e dopo. So solo che i napoletani di tutto avevano ed hanno bisogno, tranne che dell'elemosina e di un'edilizia selvaggia che fu permessa; il tutto permeato da un atteggiamento paternalista. Andrea Balìa

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Inviato da terranuova0
il 19/11/06 @ 11:28
Lauro è stato un grande Sindaco infamato dalle legioni massoniche. antimo ceparano

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Inviato da Anonimo
il 01/12/06 @ 18:57
Sul fatto che uno che regalava pacchi di pasta e permise quel pò pò di edilizia selvaggia, e come ciliegina sulla torta era pure del Partito Monarchico Savoiardo, fosse un gran sindaco avrei qualche dubbio e stenderei un velo pietoso! Andrea Balìa

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Inviato da kuntz_t
il 19/11/06 @ 14:06
http://video.libero.it/app/search/ index.html?q= afterhours&nr=9&result=9

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Messaggio N°12 del 15-11-2006 - 13:55
Tags: Identità

Primato Meridionale
di Nunziante Minichiello

Nel 1231 Federico II, di ritorno dalla Crociata, assistette a Venosa alla commedia in latino De Paulino et Polla scritta per l’occasione da Riccardo da Venosa.
Per qualche meridionale il Medio Evo era finito con oltre quattrocento anni di anticipo rispetto alla data convenzionale e con oltre settecento anni di anticipo dallo stesso Meridionale veniva descritta la società attuale. Questo Meridionale risponde al nome di Riccardo da Venosa, che affermava, tra le altre anticipazioni, come riportato in “ELZEVIRI LUCANI” di Bruno – Caserta – Guerricchio – Padula e Tortorelli ( edizioni OSANNA Venosa ): “E’ buon compagno il danaro: qualunque cosa tu gli chieda, esso ti dà; col danaro tutto puoi ottenere. Per denaro verranno a te i pesci dal mare, dal monte le capre, le pernici dall’aria, le lepri dai boschi. Solo per denaro il medico cura il malato; e solo per denaro l’avvocato tratta le liti di coloro che sono in causa. Il danaro allieta gli infelici, consola i tristi, rende attivi i pigri, fa correre anche gli storpi, strappa la fame dallo stomaco, la sete dalla gola, gli affanni dal petto, acquieta gli irati. Col danaro lo stolto diventa sapiente, il disonesto è onesto, il villano è nobile, il cattivo è buono. Esso fa cantare solennemente i preti”… ( Riccardo da Venosa, Le nozze di Paolino e Polla, trad. e note di G. Pinto, NANI, Como 1930, vv 109 – 122 ).
Queste rivoluzionarie affermazioni dovettero fare il vuoto intorno al profetico Riccardo, che forse pagò caramente le sue intuizioni, che però avrebbero potuto evitare sofferenze e sacrifici a tante generazioni.
Non può esistere una nazione od una comunità cui fu tolta coscienza, dignità, orgoglio.
I Meridionali per poter partecipare con nome e cognome alla vita dell’Universo abbiano l’umiltà ed il coraggio di accettare le disgrazie, gli errori, le debolezze, che caratterizzano la loro storia ed in questa cercare anche motivi e motivazioni per un onorevole futuro.
(www.minichiello.it)

Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0







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