|
ARCHIVIO Prima
pagina |
Messaggio
N°701 11-06-2008 - 19:48 Chi è senza peccato scagli la prima pietra! Napoli
fatti viva, sennò sei molto morta Se
fossi napoletano mi vergognerei di me. Non tanto per i rifiuti, per
la trasandatezza fatale della città, per la brutta figura eccetera.
Napoli ha sempre scambiato con il resto del mondo, che la voleva scioccamente
sorridente, un suo ghigno indecoroso che mi piace, che affascina ed
è regale anche quando è laido, puzzolente. Mi vergognerei piuttosto
per la totale assenza di una classe dirigente e per l'indulgenza con
cui la città accetta di essere trattata, in mancanza di alternative,
come una appendice coloniale fastidiosa e riottosa. I ministri arrivano
in pullman, il governo è in visita all'estero, la conferenza stampa
si farà nel palazzo dei Borboni, i proconsoli di lingua endogena abitano
i loro appartamenti regionali e municipali ma sono virtualmente esclusi
dalla vita pubblica, inabilitati anche alle campagne elettorali. Il
governo decide per via commissariale da dieci, quindici anni, e non
risolve alcunché, adesso si è lodevolmente messo in testa di farla
finita, attrezza soluzioni che deve militarizzare, le tiene segrete
fin che può, poi giù un po' di botte contro la ribellione della monnezza.
Uno si domanda: ma c'è a buon bisogno un napoletano di grido, uno
straccio di scrittore, di professionista, di magistrato, di accademico,
un capopopolo, un filosofo, un armatore, un poliziotto, un magistrato,
un calciatore, un bandito, un giornale, un ex prefetto, una lega di
donne, un sindacato, una comunità religiosa, un prete, un cristiano
come tanti che sappia prendere in mano, non la città, certo, che è
fuori controllo da secoli, ma almeno il discorso sulla città? C'è
qualcuno che sia in grado di dare un qualunque significato a quello
che succede? Questo è l'impudico disastro di Napoli, inquietante e
osceno, non il fatto che non si risolvano i problemi, bensì il fatto
che la città ha perso la voce, non fa più nemmeno rumore, trasmette
l'onda piatta e decerebrata della morte urbana, della fine della fantasia,
pure quella in discarica come tutto. Eppure Napoli è l'intelligenza
fatta città. Da sempre è così che ne conosciamo e onoriamo la bellezza,
la prestanza culturale, l'ambizione piena di smagata capacità di affabulazione,
di persuasione, tutti sempre convinti, edotti, fatti furbi e anche
fessi dal Gran Signore Napoletano charmant capace di spiegare l'inspiegabile.
Napoli è una delle grandi anime di questo paese, un suo profilo liberale
e borghese e giacobino ma anche aristocratico e schiettamente reazionario,
ma sempre ben intagliato nel fiume della parola napoletana, e davvero
se quell'anima dovesse rivelarsi mortale il declino del corpo nazionale
che la contiene e nutre sarebbe senza speranza. Cercasi napoletano
o gruppo napoletano in grado di spiegare come mai quella è l'unica
area urbana al mondo in cui non si riesce a smaltire la spazzatura.
Accettasi ogni tipo di spiegazione, anche irridente, surreale, provocatoria,
purché si interrompa un lungo e sinistro silenzio. Non tollerasi che
tutto finisca con grevi scazzottate con la polizia di don Silvio Berlusconi
intorno a dei buchi dove ricoverare le deiezioni della città. Napoli
si faccia viva, sennò è molto morta. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0 ___________________________ Messaggio
N°683 24-05-2008 - 20:46 Quisquilie Quando il governo Prodi era agli sgoccioli, gli italiani - anche non del centrodestra - presero a sperare in radicali cambiamenti di molte situazioni. A Napoli, specialmente, per i ben noti motivi. La strisciante campagna elettorale dei riciclati colossi PD e PDL, in odor di verginità, aveva preso il suo avvio già all'attestarsi del governo Prodi: i due anni di coatta "distrazione" per il volgo... e dal volgo subìti quale scempio... misuravano i tempi utili alla creatività industriale dei monoliti della Democrazia e delle Libertà. Le piazze italiane, tra palloncini, festoni, promesse e pinzillacchere, furono poi coinvolte nei "volemose bene" di circostanza: si alternavano i simboli e le facce sui palchi ma le promesse, i baci, gli abbracci erano terribilmente uguali. Comunque, in quelle circostanze e nell'euforia generale, prendemmo tutti a sognare (poichè da LORO MAGNIFICI sollecitati!) la detronizzazione di Bassolino e della Jervolino, lo sfascio della Corte e delle "parrocchie"... come ad un nuovo congresso di Vienna... addirittura sognavamo ad occhi aperti ceppi, ferri e Piombi di Venezia dove fargli scontare la pena per il reato di strage di un Popolo e del suo Territorio... quantomeno sognavamo che fossero chiamati a risarcire i danni di una malamministrazione e che a Bassolino e soci fossero confiscate case e ville, com'è d'uso con certi pregiudicati, da far gestire a "Libera"... Chiedevamo il pugno di ferro contro il potere criminale non contro la gente ... chiedevamo (visto che han finito col ricopiare il vecchio piano della amministrazione regionale Rastrelli) che dessero un'occhiata alla lista 2007 dei siti per le discariche compilata dal luminare Giovanni Battista De Medici, invece eccoli a Chiaiano, nella cava di tufo; quel tufo argilloso che si succhia in un niente il percolato, miscelandolo per benino alle falde acquifere.... Di monnezza in monnezza, chiedevamo che la Legalità tornasse a declinarsi almeno al condizionale con la Giustizia... che i Robespierre "giustizialisti" fossero annientati... Soprattutto, noi sostenitori di Bruno Contrada vagheggiavamo, stante le adesioni raccolte tra le sponde dei due leader, che si rendesse GIUSTIZIA a Contrada... Il sogno, la speranza, si sono infranti in un lampo: ieri a saltare come scimmie, gaudendo; oggi, affranti dall'evidenza che nulla cambierà. Restano a pigiarci il petto con il tacco dello stivale, a far da statisti occulti, gli "intoccabili" di sempre, ereditati insieme all'ingombrante mummia di Lenin dal millennio scorso... quelli da "tenersi buoni", temuti da entrambe le moderne "aggregazioni" pseudo politiche cui manca la libertà di esprimersi, per tema di rompere dei granitici equilibri, ora che tra un pasticcio e una frittata, occorre darsi alla cucina internazionale da fast food. In fondo, la monnezza e Contrada sono bazzecole, quisquilie... dinanzi alla globalizzazione dell'Economia Politica di Sion cui tutti aspirano. Si ragiona per numeri... per grandi numeri... nel PDL e nel PD: cancellati assurdamente i Partiti che erano democratica espressione della volontà e del sentimento popolare, cosa potevamo mai sperare... ora che i sacchetti della monnezza, la gente e Bruno Contrada sono solo numeri... codici a "sBARRE"? (marina salvadore) L'inaffondabile
"squalo Gianni" Diavolo di uno «squalo», l’immortale Gianni De Gennaro è riuscito a passare indenne anche sulle mine sparse lungo il percorso del suo presunto fine-carriera e abilmente nascoste sotto le migliaia di tonnellate di monnezza napoletana. «Non sarà il Negroponte dell’intelligence italiana», avevano predetto i sapientoni che più d’una volta lo hanno dato per spacciato, specialmente dopo la «disgrazia» cadutagli addosso col disastroso G8 di Genova del luglio 2001. E invece ai servizi di sicurezza è stato chiamato, l’ex «sbirro» che nel nostro paese si è inventato la lotta alla mafia, quando la credibilità delle istituzioni era sotto lo zero proprio nel confronto con l’antistato chiamato Cosa nostra. Affondano le radici in un tempo lontano le cento vite del poliziotto più temuto, più rispettato e più invidiato: un mito per i propri uomini, oggetto di ironie al vetriolo per i numerosi colleghi che negli anni si sono visti sorpassare da un treno in corsa. E allora ai più non rimaneva che confidare in qualche incidente di percorso che «sicuramente» avrebbe azzoppato lo «squalo», mettendolo fuori gioco. Per questo ad ogni cambio di governo si scatenava il gioco crudele del «che fine fa De Gennaro?». Ma i governi sono cambiati diverse volte e lui resiste: nominato da sinistra e confermato da destra, poi rinominato da destra e riconfermato da sinistra. E dire che di «problemi» ne ha incontrati, lo «sbirro calabrese», per dirla con quanti ne ricordano l’origine quasi a voler sottolineare un punto di ambiguità. Indicato, mai esplicitamente, come cinico carrierista e ispiratore di presunte congiure giudiziarie, le più famose i processi a Contrada ed Andreotti. I supporter di Bruno Contrada hanno provato a consegnare De Gennaro all’opinione pubblica come l’ingegnere della trama che avrebbe portato l’ex funzionario del Sisde in un carcere militare. Anche Giulio Andreotti - trascinato in tribunale dalle indagini della Dia, allora governata dallo «squalo» - ha puntato il dito contro lo «sbirro», senza mai chiamarlo per nome e ricorrendo alla metafora del «questore infedele». Ma neppure la dignitosa ostilità di un uomo potente come il «divo Giulio», neppure la bizzosa avversione di un Cossiga altalenante nei giudizi, ha avuto la meglio sulla inossidabile capacità di resistenza dello «squalo». Nato sulla strada, come poliziotto da strada, De Gennaro ha governato la nascita della polizia investigativa, allontanandola dall’aura scelbiana della Celere “cane da guardia” del potere, riuscendo a veicolare una nuova immagine di “sicurezza democratica” distante dalla ricerca esclusiva del “presidio della piazza”. Così, per esempio, si espressero i commentatori che lo difesero durante la disastrosa gestione dell’ordine pubblico a Genova. Giudizi neppure acuiti dall’avviso di garanzia successivo, giunto sull’onda delle accuse di aver cercato di truccare le carte coi magistrati di Genova. Si potrà dire che De Gennaro, divenuto col tempo uomo di potere, abbia trovato facile terreno di coltura in un ambiente tradizionalmente incline agli aggiustamenti della prima repubblica. Ma non è completamente vero, visto che un uomo come il ministro Maroni - intervenendo ieri sera a Matrix - ha detto secco che «De Gennaro è l’uomo giusto al posto giusto», tradendo così una buona parte di paternità di quest’ultima nomina. Già, Maroni. Non è nuovo, questo feeeling. Risale al 1994, primo governo Berlusconi, quando il centrodestra (quello finito nelle inchieste dello «squalo») voleva spedire lo «sbirro» alla prefettura di Palermo. Un’improvvisata riunione notturna alla Trattoria dell’Orso (allora quartier generale della Lega) fece intendere a Maroni che De Gennaro a Palermo, dopo Falcone e Borsellino, averebbe potuto fare la stessa fine di Dalla Chiesa, prefetto senza poteri. Lo «sbirro» divenne vicecapo della Polizia e conquistò per sempre Maroni. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 7 Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________ Inviato
da Anonimo ___________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________ Messaggio
N°662 30-04-2008 - 12:14 Tristi
segni dei tempi LA LETTERA
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 4 Inviato da Anonimo _______________________________
Inviato da Anonimo _______________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________ Messaggio N°661
29-04-2008 - 14:31 "Mannaggia 'a Marina!" Pur condividendo i contenuti dell’allarmante denuncia nell’articolo che segue, in ordine all’infausto declino delle attività marittime e marinare cui il nostro Paese sembrava essere particolarmente votato per naturale vocazione geografica e d’ingegni, non possiamo non rilevare nell’excursus storico “marinaro” fatto dagli illustri autori e che va dagli antichi romani, alla “Serenissima” fino ai giorni nostri la colpevole censura del glorioso trascorso della Marina Napoletana. Questa redazione ha già lamentato la carenza d’informazione presso gli autori del dossier storico-navale e vi invita a fare altrettanto, scrivendo al Corriere della Sera. A maggior ragione, persistendo questa letale ignoranza storica del nostro glorioso passato, si rende quantomai necessaria la rivendicazione di un Museo Storico Navale a Napoli, per il quale abbiamo lanciato in rete una petizione pubblica da sottoscrivere a furor di popolo al link http://www.petitiononline.com/2008navy/petition.html --------------------------------- da
www.corriere.it : Nei porti italiani le navi non entrano più
- Vecchi per le portacontainer - Traffico a rischio - Siamo un popolo
di poeti, santi ed ex navigatori…. “…Certo, siamo pieni di yacht
di lusso, motoscafi e barchette cacciapesca…. Fino a una dozzina
di anni fa i bastimenti più grandi portavano duemila container
standard da 13 metri che in gergo internazionale sono chiamati Teu.
Dal 2000 ne portano quattromila e poi è partita una gara
mostruosa a chi fa le navi più immense. Un rapporto di Brs-Alphaliner,
una società di monitoraggio che tiene d’occhio l’evoluzione
della flotta commerciale planetaria, riferisce che il mondo è
pieno di giganteschi cantieri dai quali entro il 2010 usciranno
complessivamente 311 bestioni in grado di portare oltre 7.500 Teu
e 95 in grado di portarne oltre 10.000. Bene: non una di queste
navi smisurate, che «pescano» più di 15 metri
e mezzo sotto il pelo dell’acqua, potrà mai entrare, salvo
che a Trieste sul quale però pesano altri handicap, in un
porto italiano. Oddio, al molo di Genova ha attraccato la danese
Emma Maersk, che è lunga 397 metri cioè quanto quattro
campi da calcio e porta 11.400 container con 13 (tredici!) uomini
di equipaggio. Ma era solo una simulazione al computer: i fondali
del porto ligure, infatti, non sono abbastanza profondi per accogliere
l’Emma né le sue dieci sorelle che la Maersk ha messo in
cantiere con capacità perfino maggiori. Una volta, quando
il mare era «nostrum», le facevamo noi le navi più
grosse. I romani arrivarono a dominare il Mediterraneo con le muriophortoi,
alla lettera «portatrici di diecimila anfore», bestioni
da 500 tonnellate. Per non parlare di certe imbarcazioni eccezionali
come quella fatta fare apposta da Caligola per portare a Roma l’obelisco
che oggi svetta in piazza San Pietro. Quanto ai veneziani, l’Arsenale
è stato a lungo il più importante stabilimento industriale
del mondo Così grande da impressionare Dante Alighieri che
nella Divina Commedia magnifica la catena di montaggio: «Chi
fa suo legno novo e chi ristoppa / le coste a quel che più
vïaggi fece; / chi ribatte da proda e chi da poppa; / altri
fa remi e altri volge sarte». Nei momenti di punta ci lavoravano
in diecimila a ritmi tali che nel solo maggio 1571, alla vigilia
della battaglia di Lepanto, riuscirono a varare 25 navi. Quasi una
al giorno. E da lì uscivano le «galee grosse da merchado»
lunghe 50 metri, dotate di tre alberi per vele latine e spinte nei
giorni senza vento da 150 vogatori disposti a terzine su banchi
a spina di pesce. Eravamo forti, allora. Commercialmente e militarmente.
E lo siamo rimasti, con le nostre flotte e i nostri porti, fino
a non molti decenni fa. Il declino, però, è stato
rapidissimo. Nel 1971, ha scritto Bruno Dardani, che prima sul Sole
24 Ore e poi su Libero Mercato cerca da anni di lanciare l’allarme,
«i quattro porti di Genova, Marsiglia, La Spezia e Livorno
coprivano il 20% del traffico europeo» e di questa quota Genova
rappresentava quasi i due terzi facendo da sola il 13% del totale
continentale. Tredici anni dopo, nel 1984, il traffico sotto la
Lanterna era crollato al 4 e mezzo per cento. Scarso. Colpa dei
costi: nel momento chiave in cui i porti dell’Europa del Nord si
giocavano tutto per arginare l’irruzione della concorrenza orientale,
a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, movimentare un container
pieno costava a Rotterdam il 56% in meno di quanto costasse a Genova.
Colpa degli spazi perché, fatta eccezione per Gioia Tauro,
i nostri porti sono antichi e hanno le case che incombono sulle
banchine. Colpa dei partiti, che hanno occupato anche questi territori
se è vero che almeno 18 sulle 24 autorità portuali
sono in mano a persone di origine diessina. E colpa della sordità
della nostra classe dirigente, che non ha ancora capito come sulle
rotte marittime transiti quasi il 95% del commercio estero del continente.
Commercio dal quale, nonostante ci riempiano la testa di chiacchiere
sull’«Italia piattaforma portuale d’Europa», stiamo
finendo progressivamente ai margini. Basti dire che nel 2005, dopo
qualche anno di «ripresina» seguita alla legge che nel
’94 liberalizzò un po’ di banchine, siamo stati l’unico Paese
Ue a perdere quote nel traffico dei container, calato di oltre il
3% mentre cresceva del 10% in Spagna e del 14% a Rotterdam. Le statistiche
del centro studi del porto di Amburgo sono implacabili. E dicono
che dei primi venti porti del mondo nel 2006 neppure uno era italiano.
E che anche il successo abbastanza casuale di Gioia Tauro, che era
nato come polo industriale e si era ritrovato a essere tra i primi
porti europei per container grazie ai fondali e agli spazi nonostante
le sgarrupate infrastrutture di collegamento con la disastrata Salerno-Reggio
Calabria, appare compromesso. Era arrivato a essere nel 2004 il
23° scalo mondiale con 3 milioni e 261.000 container. Ma da
allora non ha fatto che arretrare fino a scendere sotto i 3 milioni,
per essere via via sorpassato nel 2006 da Giacarta, Algeciras, Yokohama,
Felixstowe per non parlare della cinese Xianem che allora stava
400.000 container indietro e adesso sta un milione abbondante più
avanti. Certo, nel 2007 c’è stata una ripresa. Però...
Ed è idiota maledire il cielo e i limiti della Vecchia Europa:
è tutta colpa nostra. Dal 2000 al 2006 a Genova il traffico
di container è aumentato del 10%. E intanto cresceva a Rotterdam
del 54%, a Brema e ad Algeciras del 61%, a Barcellona del 65%, ad
Anversa del 71%, a Valencia del 99% e ad Amburgo del 108%. Cosa
c’entra l’invettiva contro la Vecchia Europa? Niente. Solo che gli
altri, coscienti che sul container si gioca il futuro, ci investono.
E noi no. Prendi la Spagna. Mentre noi tagliavamo, spiega Bruno
Dardani, loro in soli due anni, 2007 e 2008, hanno deciso di investire
sui porti quasi 3 miliardi di euro. Risultato: loro sono in vertiginosa
ascesa, noi sommando tutti e sette i principali porti italiani catalogati
dall’ufficio statistico di Amburgo (Gioia Tauro, Genova, La Spezia,
Taranto, Livorno, Venezia e Trieste) arriviamo a movimentare 7.818.974
container. Cioè poco più della sola Anversa e 2 milioni
in meno della sola Rotterdam. O se volete un terzo del solo porto
di Singapore. A Barcellona, consapevoli di essere obbligati ad ampliare
il porto per tenere il passo del mondo, hanno deviato la foce del
fiume Llobregat, preservato un’oasi faunistica per far contenti
gli ambientalisti e creato spazi per 30 chilometri di banchine.
A La Spezia la richiesta di dragare i fondali è stata tenuta
ferma per anni finché è stata sbloccata nel 2007 solo
a una condizione: tutti i fanghi rimossi, considerati da certi verdi
integralisti tossici e pericolosissimi, devono essere messi in migliaia
di costosi sacchi speciali con l’interno in pvc assorbente e portati
da un’altra parte. Risultato: li spediamo, pagando, ai belgi. Che
incassano 100 euro a tonnellata, prendono i nostri «spaventosi»
fanghi tossici consegnati a domicilio e li usano per fare nuove
banchine ad Anversa con le quali aumentare il loro vantaggio già
abissale su La Spezia e gli altri porti nostrani. Ridono di noi,
all’estero. Ridono e si portano l’indice alla tempia: italiani picchiatelli!
E come potrebbero non ridere, davanti a certi sproloqui? Le «autostrade
del mare »! Il primo a parlarne fu addirittura Costante Degan,
un vecchio democristiano veneto piazzato alla Marina mercantile.
Ministero, tra l’altro, non solo abolito a partire dal primo governo
Berlusconi ma scomparso perfino come delega a qualche straccio di
sottosegretario. Come se il mare che bagna 7.458 chilometri delle
nostre coste esistesse solo per scaricare liquami o farsi una nuotata
nei giorni di solleone… (2 - Continua) - Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0 _____________________________ Messaggio N°660
28-04-2008 - 23:46 Oltre
il buonsenso l'esasperazione cieca Omo
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 1 Inviato da Anonimo
_______________________________ Messaggio N°659
25-04-2008 - 13:50 "LIBERAZIONE" Liberazione
vuol dire Riscatto non Ricatto **************************** da www.repubblica.it - CONTRADA: DALL'OSPEDALE SCRIVE A GRASSO, MI ASCOLTI - L'ex dirigente del Sisde Bruno Contrada, condannato definitivamente a 10 anni per concorso in associazione mafiosa, ha chiesto un colloquio al procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Lo ha reso noto il suo difensore, avvocato Giuseppe Lipera. In una lettera inviata a Grasso dall'ospedale di Santa Maria Capua Vetere dov'e' stato trasferito il 17 aprile scorso dal carcere militare a causa di una crisi di astenia, Contrada specifica che l'incontro richiesto e' relativo all'esposto-denuncia da lui presentato il 27 marzo 2007 alla Procura di Caltanissetta e concernente le stragi Falcone e e Borsellino. Il 7 aprile scorso Contrada aveva reso al riguardo dichiarazioni al magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, delegato dal gip di Caltanissetta, Ottavio Sferlazza ------------------------------ da http://lnx.casertasette.com - S.M. Capua Vetere: Bruno Contrada ancora in ospedale - SANTA MARIA CAPUA VETERE (Caserta) - Sono stazionarie le condizioni di Bruno Contrada, ricoverato dallo scorso 17 aprile all'ospedale San Giuseppe e Melorio di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). A quasi una settimana dal suo ricovero, secondo quanto conferma la direzione sanitaria, l'ex funzionario del Sisde resta, dunque, in ospedale. Contrada sta scontando una condanna a 10 anni di reclusione per concorso esterno ad associazione mafiosa. ------------------------------------- da www.loccidentale.it - Contrada merita la grazia non il colpo di grazia - di Luigi Compagna - La cronaca si accanisce contro Bruno Contrada. Proprio dove egli è recluso, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere alcuni sanitari, funzionari, agenti di custodia si adoperavano per attestare l’incompatibilità di alcuni detenuti con il regime penitenziario. Di qui un florido mercato di diagnosi false a beneficio di uomini della camorra rimessi in libertà (ammalati, drogati, anoressici, con esigenza di frequenti contatti con la moglie, di cure disintossicanti, di cibi sostanziosi…). A leggere i giornali dei giorni scorsi, tornava alla mente il dramma di Contrada; ed involontariamente gli si faceva ancora più male: quasi si calpestava quella “ultima tunica” di dignità che lo sfortunato servitore dello Stato si porta addosso come se gli premesse non meno dell’affetto dei suoi cari. Non c’è dubbio che questo genere di oltraggio Contrada non lo meritasse. Le cose avevano già incrudelito sulla sua persona. La stessa ipotesi della grazia era stata posta in tempi e modi confusi. Se ne era parlato sinora soltanto sotto il profilo della procedura ed in termini di ping-pong fra Esecutivo e Corte Costituzionale. Non tutto può essere riducibile a questioni di procedura. Quando fra il diritto di punire dello Stato e il diritto alla vita dell’uomo si determina tale e tanta incompatibilità, proprio l’istituto della grazia serve a restaurare sovranità e credibilità della Costituzione. Tutto il resto rischia ormai di essere mera abdicazione di responsabilità. Nelle monarchie costituzionali, certo, è più facile tener viva l’idea che la giustizia emani dal sovrano. Si capisce meglio perché la grazia sia un potere esercitato dal vertice dello Stato, a prescindere da sentimenti e risentimenti popolari. La ricerca di un equilibrio tra responsabilità governativa e prerogativa del re indusse a suo tempo Crispi e Pelloux a moderare le loro ansie di repressione. Nel tormentone del caso Sofri, la Repubblica è parsa invece infilarsi nel labirinto dell’ipocrisia. Nel caso Contrada si vorrebbe negare che ci si trovi davanti ad un caso. Sicché spetta davvero al Presidente della Repubblica diradare al più presto le ombre ad personam che incombono sulla vicenda. Non sempre lo iustum può essere identico allo iussum e quando si pretende che sia così vuol dire che la democrazia liberale ha ceduto terreno alla democrazia giacobina. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 2 Inviato
da scrivisulmioblog _______________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Messaggio
N°658 23-04-2008 - 22:05 L'eterno
dramma dell'emigrazione
SUD
LA NUOVA EMIGRAZIONE - Ogni anno 270 mila persone vanno
al Nord. Lavorano, ma le famiglie devono aiutarli Non
c’è stato partito che in campagna elettorale non
abbia promesso il rilancio del Mezzogiorno e adesso perfino
la Lega, con Roberto Calderoli, dice che «la questione
settentrionale non può essere risolta se non si
affronta la questione meridionale». È successo
anche che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno firmato
un nuovo documento comune per il Sud. E, ovviamente, non
sono mancati gli appelli degli economisti ad affrontare
l’annoso problema delle «due Italie». Ma adesso,
dopo il voto, chi si ricorderà di tutto questo?
Le persone in carne e ossa, intanto, cercano in prima
persona una soluzione. Che spesso è la nuova migrazione
da Sud a Nord. Che, ovvio, non è più quella
degli anni Cinquanta e Sessanta, dei contadini poveri
e ignoranti che con la valigia di cartone si trasferivano
nel triangolo industriale per lavorare in fabbrica. Ma
che, se è molto diversa qualitativamente, tocca
però le stesse vette numeriche di allora. Ogni
anno, infatti, si spostano dalle regioni meridionali verso
quelle del Centro-Nord circa 270 mila persone: 120 mila
in maniera permanente, 150 mila per uno o più mesi,
dice l'istituto di ricerca Svimez. Un dato vicino a quello
dei primi anni Sessanta, quando a trasferirsi al Nord
erano 295 mila persone l’anno. Una città intera
che si sposta Parlare di 270 mila uomini e donne che ogni
anno vanno da Sud a Nord per lavorare o per studiare significa
immaginare una città come Caltanissetta che si
sposta tutta intera per trovare un futuro. Anche i contorni
economici del fenomeno sono profondamente diversi da quelli
del dopoguerra. Allora le rimesse degli emigranti generavano
un flusso di risorse discendente, dalle regioni settentrionali
a quelle del Mezzogiorno: servivano a mantenere le mogli
o i genitori anziani rimasti al paese e magari a mandare
avanti i lavori per costruire o ampliare la casa. Oggi,
al contrario, i soldi risalgono la Penisola, per sostenere
gli studenti meridionali nelle Università del Nord
o i lavoratori precari che non ce la fanno ad arrivare
alla fine del mese, ma che tirano avanti con l’aiuto delle
famiglie d’origine (comprese le pensioni dei nonni) con
l’obiettivo di raggiungere poi il contratto a tempo indeterminato.
Il trend consolidato Al ministero dello Sviluppo Economico,
il viceministro Sergio D’Antoni ha stimato con i suoi
tecnici che si arriva a circa 10 miliardi di euro che
per tutti questi motivi (compreso il mancato sviluppo
nel Sud) «emigrano» ogni anno dal Mezzogiorno
al Nord. Il che non è esattamente il massimo per
un Paese che dovrebbe ridurre le distanze tra le due Italie.
Spiega Delio Miotti (Svimez) che da tempo studia la nuova
migrazione: «Negli ultimi anni si sta consolidando
un trend: più di 120 mila persone all’anno si spostano
dal Sud nelle regioni del Centro-Nord cambiando residenza.
Sono in gran parte giovani, tra i 20 e i 45 anni, diplomati,
ma uno su cinque è laureato. A questi bisogna aggiungere
altri 150 mila che si trasferiscono al Nord come pendolari
di lungo periodo, cioè per almeno un mese. Sono
studenti o lavoratori temporanei che non si possono trasferire
stabilmente perché non hanno un reddito sufficiente
per mantenersi e per portare la loro famiglia nelle regioni
settentrionali, dove la vita è più cara
». Ma se è così, perché questa
emigrazione non fa più notizia? «Perché
chi emigra —risponde D’Antoni— non ha problemi d’integrazione
con la realtà del Nord: spesso è un giovane
che usa Internet e parla inglese come i suoi coetanei
settentrionali. Non diventa quindi un caso sociale, come
negli anni Cinquanta. Quella di adesso è perciò
un’emigrazione invisibile, silenziosa ». Eppure
ci sono comuni che lentamente si vanno svuotando delle
energie migliori. Quelli a più alto tasso migratorio
(intorno all’8 per mille annuo) sono in Calabria: Cirò,
Petilia Policastro, Dinami, Rocca Imperiale. La zona di
Cirò, in provincia di Crotone, tra il ’91 e il
2006 ha visto un calo di popolazione del 34% circa. I
giovani studenti Se ne vanno parecchi giovani per studiare
nelle Università del Centro- Nord: 151mila nell’anno
accademico 2005-2006. Più di 36 mila sono partiti
dalla Puglia, 25 mila dalla Calabria, 24 mila dalla Sicilia,
23 mila dalla Campania. Una parte di questi non torneranno
più indietro. L’agenzia governativa Italia Lavoro
ha calcolato che a fronte di 67 mila neo-laureati del
Sud previsti in ingresso nel mercato del lavoro nel 2007,
le imprese industriali e dei servizi del Mezzogiorno hanno
espresso, nello stesso anno, una domanda di laureati pari
a 12.390 unità, il 16,4% del totale. Anche se si
sommano i neolaureati richiesti dalla pubblica amministrazione
e dal lavoro autonomo, si può stimare che circa
la metà dei giovani che si laureano nelle regioni
meridionali è di troppo rispetto alla domanda locale.
Nessuna meraviglia, conclude quindi Italia Lavoro, se
questi giovani cercano lavoro altrove e se il 60% dei
meridionali che si laurea al Nord, vi rimane anche dopo
la laurea. Per necessità, più che per scelta.
Gli incentivi Ora non ci sarebbe niente di male se questo
fenomeno fosse indice di una società mobile, all’americana.
Il fatto è che in Italia questo movimento è
a senso unico, con un progressivo impoverimento del Mezzogiorno.
Per combattere questo trend i vari governi hanno provato
a incentivare fiscalmente le assunzioni nel Sud. Nell’ultima
Finanziaria è stato inserito anche un bonus di
400 euro al mese per sei mesi per i neolaureati che svolgono
stage nelle imprese del Sud che, se poi li assumono, ricevono
un contributo di 3 mila euro. Il meccanismo sta funzionando,
afferma D’Antoni. Ma non è solo un problema di
incentivi. Paolo Sylos Labini, il grande economista morto
nel 2005, che amava il Mezzogiorno, ripeteva che la questione
meridionale prima ancora che economica è una questione
civile. In altri termini, non è solo la domanda
di lavoro qualificato che deve aumentare, ma devono migliorare
anche le condizioni generali di vivibilità, dal
funzionamento della pubblica amministrazione al controllo
del territorio da parte dello Stato contro la criminalità.
Altrimenti, in silenzio, i migliori se ne vanno. -------------------------------------- UNA
STORIA D'ORDINARIO RAZZISMO - Basiglio, il caso dei bimbi
sottratti ai genitori - «Il disegno osé era
una trappola» - I genitori: i nostri figli non c'entrano,
picchiati perché meridionali MILANO — «Erano
in tre. Un vigile e due assistenti sociali. Mi hanno detto:
"Stia tranquilla e non faccia scene, prepari le cose
dei suoi bambini e ce li consegni". Li hanno portati
via così. Senza una spiegazione. Da allora non
li ho più visti». Il volto è pallido,
come quello di suo marito. Lucia e Pietro hanno smesso
di mangiare, da 41 giorni aspettano che Giorgia e Giovanni
(9 e 13 anni, i nomi sono di fantasia) tornino a casa,
in quell'appartamento di Basiglio — il Comune più
ricco d'Italia — «dove forse non siamo degni di
abitare». Trattengono le lacrime a forza. «Ci
hanno trattato come terroristi. Ma né noi, né
i nostri figli abbiamo fatto niente. Quel disegno non
è della mia piccola». Sarà il Tribunale
per i minorenni di Milano a decidere sul futuro dei due
fratellini. E a stabilire chi è il vero autore
del disegno hard, trovato sotto il banco della bimba,
con la scritta «Giorgia fa sesso con suo fratello
per 10 euro». Il giudice che si sta occupando del
caso ha rilevato «perplessità» sulla
vicenda, facendo notare «dubbi consistenti »
sulla mano (forse di una compagna di Giorgia) che ha tracciato
la vignetta. Ma non è abbastanza per far tornare
i bimbi a casa: Giorgia e Giovanni restano in due comunità
diverse. Mandare giù ancora. Stringere i denti.
Sperare. Difficile per un padre e una madre che da oltre
un mese non vedono i loro bambini. E che raccontano la
loro versione: «Mia figlia — dice Pietro — è
stata tante volte presa a calci e pugni dalle compagne
di classe. La prendevano in giro perché noi non
abbiamo un'auto sportiva, perché non le compro
scarpe all'ultimo grido. Ma per me i regali hanno un valore.
Se li vogliono, i miei figli devono dimostrarmi qualcosa
». Due bambini vittime del bullismo, della crudeltà
dei loro coetanei. Ecco la verità di Pietro e Lucia,
genitori disperati che continuano a ripetere: «Non
facciamo mancare niente ai ragazzi ». Una famiglia
normale. «Eppure i servizi sociali hanno interpellato
mia moglie e me solo dopo averci sottratto i bambini ».
La sera è il momento peggiore: «Chi ce la
fa a mangiare con questo peso?». Il sospetto: «Ce
l'hanno con Giorgia e Giovanni solo perché sono
figli di meridionali». L'avvocato dei due coniugi,
Antonello Martinez, parla di «pregiudizio e classismo
da parte di una comunità ricca e intollerante».
E Pietro conferma: «È come se stare a Basiglio
fosse un peccato». Una versione smentita dal sindaco,
Marco Cirillo: «Facciamo della solidarietà
la nostra bandiera». Ancora: «Non siamo razzisti,
qui vivono mille stranieri, di cui 350 filippini».
Graziella Bonello, la preside della scuola di Giorgia
e Giovanni, per questa sera ha convocato un consiglio
di classe straordinario. Dice: «Siamo molto rammaricati.
I bambini sono al centro della nostra missione educativa.
Era doveroso segnalare questo caso». E poi ci sono
le mamme — un gruppo, non tutte — pronte a riunirsi in
comitato e marciare davanti al Comune: «Li conosciamo,
sono gente per bene. Se c'è da firmare siamo pronti».
Dieci, venti, cinquanta telefonate di solidarietà
alla famiglia. Domani Lucia e Pietro incontreranno per
la prima volta la loro bambina. Il maschio no, l'hanno
sentito al telefono solo due volte. «Lui è
un duro, ma piange. E dice: "Papà ti giuro
che non ho fatto niente alla Giorgia, tirami fuori di
qui"». Gli amici della squadra di calcio gli
hanno scritto una lettera: «Sappiamo che non puoi
aver fatto nulla di male. Conta su di noi». Lunedì
prossimo il Tribunale per i minorenni nominerà
un grafologo che studi la scrittura di Giorgia, il 6 maggio
sarà individuata anche una psicologa. Nel frattempo
la Procura dei Minori di Milano ha aperto un'inchiesta
per violenza sessuale a carico di ignoti. «Facciano
tutti gli accertamenti necessari — si infuria l'avvocato
Martinez — ma rimandino quei bambini a casa». Il
ministro della Giustizia, Luigi Scotti, ieri ha chiesto
al presidente del Tribunale dei minori di Milano «informazioni
sul caso». Forse qualche speranza c'è. E
Pietro pensa già al futuro: «Certo che torneranno
nella loro scuola. I miei figli non hanno fatto niente,
abbiamo la coscienza pulita. Rientreranno a testa alta».
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 1 Inviato
da Anonimo ______________________________ Messaggio
N°653 18-04-2008 - 14:19 GLOBOLOBOTOMIA
SELVAGGIA Benedetto
XVI: «Anche nel nostro tempo, particolarmente nei
momenti di crisi, gli Americani continuano a trovare la
propria energia nell'aderire a un patrimonio di condivisi
ideali ed aspirazioni». Intanto a Yale, si prepara
una mostra abominevole; il diritto alla vita dei bambini
non-nati, somiglia tanto a quello dei palestinesi. Ricavo
la notizia dal Yale Daily News, il giornale dell'università
di Yale: Aliza Shvarts, laureanda in Arte, ha presentato
come tesi di laurea la seguente opera: «La documentazione
di un'attività durata nove mesi durante i quali
essa si è inseminata artificialmente 'quante più
volte possibile' (parole sue) per poi prendere periodicamente
farmaci abortivi onde indurre l'aborto. La sua esibizione
consiste nel video che riprende questi aborti forzati,
insieme alla collezione di provette di sangue risultanti
da questa attività». «Il suo scopo
nel creare questa mostra d'arte, ha dichiarato Shvarts,
era di suscitare dialogo e dibattito sul rapporto fra
arte e corpo umano». L'artista dice: «Ovvio,
certa gente sarà urtata dal mio messaggio e non
sarà d'accordo, ma non è l'intenzione della
mia opera scandalizzare nessuno». Il giornale continua:
«I 'fabbricanti' o donatori di sperma non sono stati
pagati per i loro servigi, ma Shvarts ha chieso loro di
sottoporsi a periodici test per le malattie a trasmissione
sessuale. Quanto agli abortivi, sono prodotti d'erboristeria
legali, sicchè l'artista nom ha sentito la necessità
di consultare un medico a proposito dei suoi ripetuti
aborti. Shvarts ha rifiutato di specificare il numero
dei donatori di sperma, così come il numero di
volte in cui si è inseminata». L'esposizione
dell'opera della Schvarts consisterà in un grande
cubo sospeso al soffitto in uno spazio nella galleria
della Green Hall (di Yale). La Schvarts avvolgerà
centinaia di metri di plastica attorno al cubo, inframmezzati
con lenzuola con il sangue degli aborti auto-indotti della
Schvarts. Il sangue è mescolato a vaselina perchè
non si asciughi, e anzi si spanda sui fogli di plastica.
La Schvarts proietterà i suoi video sui quattro
lati del cubo. I video, ripresi con una telecamera VHS,
mostreranno l'artista mentre fa esperienza dei propri
aborti nella sua vasca da bagno. Video simili saranno
proiettati sulle pareti della galleria. «Io credo
fortemente che l'arte debba essere un tramite per la politica
e l'ideologia, non una merce», dice l'artista: «Sono
convinta di aver creato un progetto che supera ciò
che si rietiene essere l'arte». Il vernissage ufficiale
per la Mostra d'Arte dei Laureandi avrà luogo dalle
6 alle 8 di sera del 25 aprile. Ma la mostra sarà
aperta al pubblico dal 22 aprile, e fino al primo maggio.
La mostra comprenderà i progetti di altri studenti
d'arte. Si terrà alla galleria della Holcombe T.
Green jr. Hall di Chapel Street». Nel testo si chiarisce
infine che la Schvarts ha esercitato il diritto costituzionale
a «fare del proprio corpo ciò che vuole».
Nessun commento è necessario. Anche perchè,
forse, la mostra della giovane artista di Yale è
in sè un commento: alla visita del Pontefice negli
Stati Uniti, e al suo ringraziamento iniziale alla presenza
del presidente Bush: «Sin dagli albori della repubblica,
la ricerca di libertà dell'America è stata
guidata dal convincimento che i principi che governano
la vita politica e sociale sono intimamente collegati
con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore.
Gli estensori dei documenti costitutivi di questa nazione
si basarono su tale convinzione, quando proclamarono la
«verità evidente per se stessa» che
tutti gli uomini sono creati eguali e dotati di inalienabili
diritti, fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa
natura. Il cammino della storia americana evidenzia le
difficoltà, le lotte e la grande determinazione
intellettuale e morale che sono state necessarie per formare
una società che incorporasse fedelmente tali nobili
principi. Lungo quel processo, che ha plasmato l'anima
della nazione, le credenze religiose furono un'ispirazione
costante e una forza orientatrice, come ad esempio nella
lotta contro la schiavitù e nel movimento per i
diritti civili. Anche nel nostro tempo, particolarmente
nei momenti di crisi, gli americani continuano a trovare
la propria energia nell'aderire a questo patrimonio di
ideali ed aspirazioni condivise». Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 2 Inviato
da Anonimo _______________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________ Messaggio
N°641 03-04-2008 - 17:45 La lettera scarlatta Ieri
sera, scoraggiati ed anche un po’ incazzati, provvedevamo
a sottolineare la veridicità dell’appello lanciato
per la piccola Camilla di Calvizzano che qualcuno “oltre
la linea del Garigliano” pensava fosse la “solita truffa
alla NAPOLETANA” lanciata in rete. Riflettevamo, forse
anche per eccesso di fantasia – dote esclusivamente napoletana
– sull’opportunità di andare in giro con una “lettera
scarlatta” appiccicata al bavero della giacca… A nemmeno
24 ore da quell’annuncio (privi noi di poteri sovrannaturali
di preveggenza) la televisione e la carta stampata ci
magnificavano l’ultima baby-impresa antinapoletana ovvero
RAZZISTA! Non ci meravigliamo più di tanto: ogni
anatema contronapoletano ce lo siamo guadagnato sul campo.
Grazie, Vittorio Emanuello II e Garibaldi! Grazie, Camorristi
di merda! Grazie, De Mita e Gava! Grazie! Bassolino e
Jervolino! Grazie, napoletani ignavi, già pronti
con la scheda elettorale nel taschino e il matitino tra
le dita... per 25 euro di rimborso-voto! Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 3 Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________ Inviato
da crocco57 _________________________________ Messaggio
N°632 26-03-2008 - 23:11 ABOMINIO Siamo
esterrefatti! La cronaca di questa zozza società,
mentalmente disturbata ed ormai alla fine del suo tempo,
ci riempie quotidianamente di orrori... di mostruosità.
Ci chiediamo infine se sia anche inutile da parte nostra
continuare a lanciare appelli da questo foglio per invocare
la Giustizia per gli uomini perseguitati, per i bambini
violati, per gli animali torturati... quando la morbosa
attrazione per tutto quanto è trasgressione all'ennesima
potenza diabolicamente avvince e stupra persino l'Anima
Mundi, tra overdose di demenzialità e strombazzamenti
massmediatici. La news che segue è un'agenzia ANSA
di oggi. Certo, averla rinvenuta tra i lanci riguardanti
un operaio di Melfi morto sul lavoro, la Cina che insiste
con la persecuzione ai tibetani, la cattiva "bufala"
della "bufala contaminata" ch'è costata
30 milioni di euro alla già scalcagnata economia
nostrana... ed altre umane sciagure quotidiane... ci lascia
impotenti, annientati, a pensare che non potremo mai adeguarci
alla disumanità imperante... alla blasfemia che
credevamo di aver già sperimentato trattando di
guerre, di abusi, di soprusi. Fosse anche non vera, questa
notizia, considerando la passione che gli americani nutrono
per la fantascienza e gli "effetti speciali",
perchè diffonderla? Con quale scopo? Solo per una
bestemmia di Lobby? ******************************* …e
visto che all’abominevole non c’è risoluzione,
vi proponiamo quest’altra “perla”, chiedendovi, però
di attivarvi fin dove potete, perché è uno
dei soliti, noiosi, innocenti appelli che chi ancora ci
stima moderatamente umani ci inoltra in redazione per
l’opportuna divulgazione. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 22 Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da rattoluna _________________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________ Inviato
da loupiz ________________________________ Inviato
da senza.peli _________________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da senza.peli ________________________________ Inviato
da Like00 ________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________ Inviato
da senza.peli ________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________ Inviato
da Anonimo ______________________________ Inviato
da Anonimo Inviato
da Like00 _________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da vocedimegaride _______________________________ Messaggio
N°606 02-03-2008 - 16:39 Lettera
aperta al presidente della giunta provinciale di Napoli Le
recenti vicende che La vedono protagonista di un aspro
confronto con i lavoratori della provincia, inducono ad
alcune riflessioni sull'operato della Sua Amministrazione
anche se riconosco che i vincoli imposti dalle leggi finanziarie
agli Enti Locali hanno compresso nel tempo pesantemente
le politiche del personale. Gli stretti margini, tuttavia,
non hanno impedito alla Sua Amministrazione di procedere
ad assunzioni a vario titolo, in particolare di inutili
dirigenti; ad aumentare a livelli record gli stipendi
degli stessi dirigenti; a conferire consulenze sulla cui
utilità per l'ente resta più di un dubbio;
alla integrazione economica prevista per gli LSU senza
prevedere compiti da assegnare loro; alla mobilità;
ed in ultimo, ma proprio in ultimo, ad incrementare le
risorse del salario accessorio per il personale dell'Ente.
Tutte queste attività sono state puntualmente contestate
nella relazione seguita all'ispezione della Ragioneria
dello Stato con l'effetto che il panico che ha investito
la Sua Amministrazione, ha prodotto come prima conseguenza
l'attacco alla posizione più debole: gli stipendi
dei lavoratori della Provincia ed in particolare di quelli
delle categorie più basse. Di fronte a contestazioni
che si basano su presupposti di legittimità, sarebbe
difficile criticare più di tanto tali scelte, anche
se lascia sgomenti le argomentazioni contenute nella relazione
ispettiva e che evidenziano gravi leggerezze nella gestione
dei contratti decentrati, in particolare per ciò
che concerne i disinvolti aumenti al personale dirigente
e le motivazioni giustificanti gli incrementi del salario
accessorio dei restanti dipendenti. La norma che consente
di incrementare le risorse del fondo destinato al trattamento
accessorio della dirigenza è rappresentata dall'art.
26, comma 3 del CCNL del 23.12.99: "in caso di attivazione
di nuovi servizi o di processi di riorganizzazione finalizzati
all'accrescimento dei livelli qualitativi e quantitativi
dei servizi esistenti, ai quali sia correlato un ampliamento
delle competenze con incremento del grado di responsabilità
e di capacità gestionale della dirigenza ovvero
un incremento stabile delle relative dotazioni organiche".
Tale norma, come si rileva dalla stessa relazione, è
speculare a quella prevista per il personale dei livelli,
ma parte da presupposti differenti, tipizzanti la funzione
dirigenziale, e che avrebbero dovuto trovare come immediato
riscontro l'ampliamento delle competenze e l'incremento
del grado di responsabilità. In realtà,
l'Amministrazione da Lei presieduta ha fatto l'esatto
contrario approvando il nuovo assetto organizzativo. Sono
stati, infatti, aumentati i posti per dirigente e con
ciò diminuite le competenze ed il grado di responsabilità
di ognuno di loro. Ma la responsabilità politica
più grave che Le attribuisco, è di aver
perso una grande occasione. La Sua riorganizzazione, infatti,
ha rappresentato soltanto una serie di caselle da riempire,
senza avere alla base nessuna analisi dei bisogni e nessuna
ricognizione di quelli che sono i compiti e le funzioni
cui la Provincia è chiamata ad assolvere. Solo
posti per Dirigenti, regolarmente poi assunti o promossi,
e basta. Dal punto di vista politico nessuno potrà
mai assolverla per aver perso un'occasione, quindi, per
rilanciare il ruolo dell'ente di Piazza Matteotti smentendo
così i tanti che chiedono, invece, l'abolizione
delle Province. I rappresentanti dei lavoratori in più
occasioni hanno chiesto l'avvio di un reale processo riorganizzativo,
che partisse dal basso, dalla rilevazione dei bisogni
per poi passare ad una ricognizione dei compiti e delle
funzioni. Richieste che si basavano soprattutto sull'incremento
delle competenze della polizia provinciale e del mercato
del lavoro. Per questo motivo i sindacati hanno chiesto,
a più riprese, tavoli tecnici per avviare una seria
pianificazione. Sforzi inutili. L'Amministrazione Provinciale
ha ritenuto sufficiente elemosinare pochi spiccioli per
tacitare le richieste e non essere distolta dalle cose
che realmente interessavano la parte politica che l'ha
sostenuta. Presidente, in quest'ultimo scorcio del suo
mandato ha l'occasione di cambiare rotta e non continui
a prendersela con chi è solo vittima di questa
cattiva amministrazione, ponga rimedio. Presti cura ed
attenzione a servizi importanti come la Polizia provinciale
che è fondamentalmente polizia ambientale. La destini
a compiti appropriati, non la distolga dai suoi compiti
facendola solo presidiare i palazzi e rendendola comparsa
nella partecipazione a cerimonie e manifestazioni. Il
territorio della Provincia, certo non Le sfugge, è
afflitto da una catastrofe ambientale di dimensioni epocali,
come tutto il mondo ha conoscenza. Si preoccupi di incrementare
il numero del personale degli uffici che si occupano di
ambiente e non, come la Sua Amministrazione ha purtroppo
fatto, di ridurlo drasticamente. Dia uno sguardo, almeno
di tanto in tanto al mercato del lavoro, perché
il mancato funzionamento dei Centri per l'Impiego è
un problema grande per Napoli.
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0 |
|