|
ARCHIVIO Prima
pagina |
Messaggio
N°449 15-09-2007 - 11:49 GRAZIE.... ...
al direttore, alla redazione ed in particolare a Gianmarco Chiocci
de "Il Giornale", per aver raccolto le giuste istanze dei familiari,
de La Voce di Megaride e di tutto il Comitato "Bruno Contrada, impegnati
a tener desta l'attenzione su di un palese caso di straordinaria
e crudele ingiustizia patria... per aver contribuito a sollevare
la cortina d'oblio calata sul martire Bruno Contrada, condannato
alla silenziosa morte civile. L’urlo
di Contrada in cella: Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 4 Inviato
da Anonimo _____________________________________ Inviato
da Anonimo _____________________________________ Inviato
da Anonimo ____________________________________ Inviato
da Anonimo ______________________________________ Messaggio
N°395 del 13-07-2007 - 09:57 razzisti
loro o masochisti noi? Che l'Italia
degli emigranti fosse ritornata ce n'eravamo già da tempo accorti:
sentendo i dialetti di tanti giovani infermieri negli ospedali
o muratori tra le impalcature. Ma il rapporto dello Svimez ha
il merito di dare almeno un confine
di numeri alle nostre sensazioni. E stima a un'enormità, più
di un quarto di milione l'anno, la fuga di lavoratori dal Sud
al Nord d'Italia. Una cifra dunque inferiore solo di qualche
decina di migliaia a quella degli anni tra 1961 ed il 1963.
Quei mitici primi anni Sessanta che impressero immagini indelebili
nei cuori di tutti gli italiani. Che vedevano quelle valigie
rigonfie, infilate nei finestrini dei treni dal fervore dei
tanti visi scarni da bracciante. Contornati dalle nonne con
gli scialli neri, già nostalgiche, e dai vestitini immacolati
delle bambine stupite, quegli emigranti emanavano però il fervore
della speranza. E anche quello servì a far digerire meglio certi
dialetti di vocali troppo aperte e le maniere così diverse.
Proprio come servirono gli esempi che ancora resistevano recenti
di meridionali eccelsi, Croce, o Di Vittorio, o viventi, Mattioli.
Insomma c'era fervore degli umili che chiedevano di riscattarsi
e c'erano come a garanzia grandi esempi, di banchieri, filosofi
o sindacalisti. Tutto l'opposto di quanto avviene adesso. Il
numero imponente di quanti emigrano dal Meridione certo si giustifica,
visto che là il Pil procapite è di molto inferiore a quello
del Centro e del Settentrione. Ma non c'è più in essi il dono
di quella ingenuità arcaica certo, ma tenace e il più delle
volte positiva. I giovani emigranti adesso paiono già rassegnati
prima di partire; si prefigurano uno stipendio che gli basterà
male a pagare i fitti. Ma soprattutto sono stanchi. È pur vero:
la miseria del Meridione da cui i loro padri fuggivano era ben
maggiore. Ma quei campi duri da zappare come la pietra, e la
famiglia atavica e parca, formavano almeno i caratteri. Invece
il disastro, anzi l'aborto al Sud d'una società civile e economica
come quella del Nord, ha disfatto i nuovi emigranti. Il resto
d'Italia si compiace certamente che arrivino loro, perché come
è ovvio li preferisce. Ma non ha più indulgenza pei mali del
Meridione. Anche perché i meridionali eccelsi che questi anni
ci propinano in tv adesso chi sono? Mastella, che fa il labbruccio
mentre Di Pietro, cupamente, litiga con la sintassi? Se ne convenga,
né a sinistra e neppure a destra, ci sono più Mattioli o Di
Vittorio.Il marcire dello Stato in Italia e l'agonia dei suoi
fondamenti morali e intellettuali, che sarebbe a dire poi spirituali,
ha avuto esiti ancora più dolenti dov'essa era più fragile.
Fino ai casi del sindaco di Napoli, che si offende e offende
le sue corde vocali. E biasima gli americani che a ragione sconsigliano
quella città. Come se gli altri italiani se la sentissero ora
di andare a Napoli, per viverci, tra fumi delle immondizie,
morti ammazzati, scippi. E per giunta poi sorbirsi pure gli
stridori di gola della Iervolino. Perché almeno una volta i
migliori al Meridione avevano una bella retorica amplia, «asiana».
E il discorrere di Bordiga o di un Di Vittorio rapiva davvero.
Ma ormai il Meridione è in difetto di intelletti e persone grandi.
Altro che Anni Sessanta: il disastro abbonda di stridori da
pelle d'oca; ma lascia agli emigranti meno speranza. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 1 Inviato
da Anonimo ______________________________________ Messaggio
N°390 del 08-07-2007 - 22:42 Satira
amara di un'atroce realtà Una Chernobyl
"pane e puparuole" CHERNOBYL ALL'OMBRA DEL VESUVIO. Ma senza
lo
scoppio di nessun reattore nucleare. Già, e addò 'o pigliassemo
nuje nu reattore nucleare? Qua, solo per impiantare na vrenzola
di inceneritore d' 'a munnezza, nce vo' 'a mano d' 'o pateterno...
sempre sia lodato. Polemiche a mappate, manifestazioni di protesta
più o meno spontanee, incidenti, interrogazioni parlamentari,
voti di fiducia. Figuriamoci una centrale atomica! Eppure...
Chernobyl all'ombra del Vesuvio. Ma una Chernobyl a pane e puparuole,
volgare, subdola, infame, sporca, puzzolenta. L'allarme è grave
e senza precedenti. Il pericolo, tanto per cambiare, viene da
questa stramaledetta emergenza rifiuti, che sembra non voler
finire mai. Ogni ghiuorno a nuvità. È stato scoperto un gigantesco
smaltimento fuorilegge di liquami tossici, fanghi, veleni di
ogni genere. Scorie utilizzate come concime. Cromo esavalente.
E che d'è, na cosa ca se magna?Appunto! Purtroppo sì. Non si
dovrebbe ingerire, perché altamente nocivo, e invece i Carabinieri
hanno scoperto che da tempo stu cacchio di cromo esavalente
sta inquinando molti terreni agricoli della nostra regione.
Frutta, ortaggi e verdura avvelenati. J' che nzalata! Ma voi
avete capito noi che siamo costretti a mettere a tavola da un
po' di tempo a questa parte? Mucca pazza, tonno al mercurio,
polli infetti, e, notizia dell'ultima ora, maiali ammalati.
Maiali? Porcate! E le porcate 'e fanno sti delinquenti senza
scrupoli. La situazione è seria overamente. Si tratta della
salute delle persone. Gli esperti dicono che potrebbero non
bastare quattro o cinque anni, per conoscere gli effetti di
questo inquinamento in atto. 'A spada 'e Damocle. Potrebbe non
accadere nulla di grave, ma potrebbero verificarsi malattie
e morbi di ogni genere. Guardate che tarlo dint' 'e cerevelle!
E in tutti questi anni 'a gente che fa? Aspetta. Aspettando
morbò. Aspettando morbò, no "Aspettando Godot". Quello è Beckett.
Sì, sempre di un dramma comico si tratta, ma nel nostro caso
ci potrebbe essere poco da ridere. Speriamo bene. Quello che
più sconcerta è la facilità con la quale un crimine di questa
portata si sia potuto perpetuare nel cuore della città. Dint'
'o puorto. Una vera e propria flotta di navi maledette scaricava
liquami assai letali per l'ambiente e la natura. Bastimenti,
mercantili, finanche qualche imbarcazione militare. Il porto,
luogo simbolo di vita e di cultura della nostra Napoli, profanato
da interessi e istinti perversi, e declassato a girone infernale.
Il mare, il porto, i bastimenti. Una volta erano motivo di ispirazione
per poeti e musicisti. Oggi possono suscitare inquietudine,
ansia, rabbia. Chernobyl all'ombra del Vesuvio. pensare che
non tanti secoli fa veniva spontaneo cantare: «'O Paraviso nuosto
è chistu ccà». Si 'a cantammo mò, certamente ce portano 'o manicomio,
e ce abboffano 'e pernacchie. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 1 Inviato
da Anonimo ______________________________________ Messaggio
N°381 del 28-06-2007 - 11:12 dal
quotidiano "Il Giornale" Bassolino fa pagare i suoi debiti ai
posteri Nella nostra storia di debiti locali, di grandi banche e del duo Bassolino (padre politico e figlio banchiere) occorre spiegare per quale motivo, in piena emergenza politica per lo scandalo rifiuti, la giunta campana trovi impellente deliberare l’emissione di un’obbligazione da 1,2 miliardi. Lo scopo è quello di recuperare, si legge nella delibera, 750 milioni per nuovi investimenti e soprattutto 442 milioni per estinguere un mutuo del 2005. E in questi dettagli che si nasconde il senso di tutta l’operazione campana. Il prestito che si vuole cancellare costa lo 0,25% in più di quanto il superdebitore Stato Italiano riesca a fare sui mercato internazionali: insomma non stiamo parlando di un prestito con tassi da usura. Eppure questo mutuo, come quelli estinti negli anni precedenti dalla Regione Campania, è una buona occasione per dare lavoro al terzetto collaudato delle due banche internazionali e dei loro consulenti napoletani: Maurizio e GianPaolo Pavesi. Le banche con tutta probabilità riusciranno a garantire alla Regione un tasso di interesse leggermente migliore e ad allungare nel contempo la scadenza del debito. Per i politici si tratta di una vera e propria manna. Non tanto per il risparmio sui tassi di interesse che è davvero poca cosa. Ma per il fatto di liberare un bel po’ di risorse di cassa: la rata del nuovo prestito più lungo è ovviamente inferiore di un bel po’ rispetto alla rata esistente che è di un prestito più breve. Il vantaggio per Bassolino (ovviamente è un escamotage che va di gran moda in tutta Italia) è quello di spostare il pagamento di un debito fatto oggi, sulle generazioni che verranno.Ma anche le banche hanno un loro interessante tornaconto, che non è certamente la sola commissione per il prestito obbligazionario. La legge infatti prevede che a fronte di un prestito che un ente locale raccoglie sul mercato, l’ente stesso debba accantonare ogni anno una quota di capitale per poter far fronte alla restituzione del capitale a scadenza. Cerchiamo di essere più chiari con un esempio. Se il comune di Napoli si facesse prestare 100 euro al 5% per 10 anni e ogni anno restituisse 5 euro di interesse, alla scadenza del prestito dovrebbe ridare i cento euro che inizialmente gli sono stati concessi. Sarebbe un onere per le prossime amministrazioni ovviamente non sopportabile. Ecco perché gli enti locali, una volta che si indebitano, oltre a pagare gli interessi anno per anno, debbono accantonare una fetta di capitale per non trovarsi impreparati alla scadenza. Questo capitale viene conferito in un apposito fondo (sinking fund) gestito dalle stesse banche che erogano il prestito. È qui che si fanno gli affari.....(continua) nota della ns.redazione: E' proprio vero che la capitale della STAMPA è Milano; infatti, solo la stampa milanese conosce e diffonde notizie che ci riguardano, considerato che i "giornalai" locali pare caschino dal pero ogni volta che si sfiora la "santità" dei nostri amministratori pubblici, padroni della "cartiera" dove si produce in regime di monopolio dalla carta igienica, alle carte di credito; dalle tessere di partito alle pagine dei giornali..... dalle maschere di cartapesta, ai cartoni per i soliti "pacchi" che ci rifilano!!! Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 5 Inviato
da Anonimo ________________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________________ Inviato
da Anonimo _____________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________________ Inviato
da Anonimo ______________________________________ Messaggio
N°379 del 27-06-2007 - 10:10 Vota
Antonio La Trippa...per gatti! Conflitto di interessi: Bassolino da lavoro al figlio coi debiti della Regione di Nicola Porro - mercoledì 27 giugno 2007 Milano - C’è stata una lunga consultazione nella City londinese. I due fratelli Pavesi, commercialisti napoletani, proprietari della Fincon non passano inosservati. Sono degli specialisti sul debito pubblico degli enti locali: sono in quasi tutte le operazioni fatte in Campania da Bassolino, hanno messo il naso in Abruzzo e Puglia e hanno fatto il medesimo lavoro per Mercedes Bresso, la collega di Bassolino (di partito e di ruolo) in Piemonte. Per qualche settimana, l’anno scorso, si sono trovati disoccupati: i golden boy della finanza bassoliniana avevano improvvisamente perso il loro rapporto di consulenza con Merrill Lynch, una delle più prestigiose banche mondiali. E ai piani alti di Ubs, una banca di investimenti concorrente di Merrill Lynch, qualcuno non era dell’avviso di portarsi a casa i due fratelli. Alla fine i Pavesi stringono con Ubs e tutto ritorna come prima. I Pavesi e il loro rapporto con lo staff e gli uomini di Antonio Bassolino sono il cardine della nostra storia. Che parte da lontano, riguarda miliardi di euro e coinvolge l’allora sindaco di Napoli, Bassolino, suo figlio Gaetano, alle prime armi nella banca d’affari Ubs, i nostri commercialisti, Merrill Lynch, la grande banca americana, e un debito campano che cresce ogni giorno di più. E finisce, per il momento, venerdì scorso, con una riunione di giunta della Regione Campania. Ma andiamo per ordine. La Campania ha sulle sue spalle un debito enorme, in gran parte accumulato a causa dei buchi della sanità. La legge le permette, a certe complicate condizioni, di rifinanziare il proprio debito cioè di ricontrattarlo a condizioni diverse e si presume migliorative. Un po’ come un proprietario di una casa che voglia rivedere le condizioni del proprio mutuo. Ebbene negli ultimi tre anni (2004, 2006 e 2007) Bassolino è riuscito a mettere in fila una dietro l’altra operazioni di rifinanziamento di vecchi prestiti per circa 4 miliardi. Nel 2004 per circa 1 miliardo, nel 2006 per poco meno di 1,9 miliardi e venerdì scorso è ritornato alla carica per un rifinanziamento di 1,2 miliardi. Una marea di operazioni finanziarie che coinvolgono principalmente sempre due banche: Merrill Lynch e Ubs. Con la particolarità che le due banche si sono palleggiate i due fratelli Pavesi, che prima con un cappello poi con l’altro sono sempre in mezzo. E con la combinazione che negli uffici «debt capital markets per il settore pubblico europeo di Ubs» c’è proprio il figlio di Bassolino. Il quotidiano napoletano Roma, ha segnalato la cambinazione alcuni anni fa e si è beccato una querela. Il Sole 24 ore più asetticamente ci informa che a settembre del 2006 Bassolino jr, già attivo nell’area del debt capital markets per il settore pubblico europeo di Ubs, «assume la responsabilità del business anche per clienti corporate e del settore pubblico italiani». Insomma almeno dal settembre del 2006 è ufficiale ciò che il Roma denunciava dal 2003 e cioè il gigantesco conflitto di interesse che sussiste tra il Bassolino indebitato e il figlio che gli ristruttura il debito. La storia del debito di Bassolino è davvero singolare e non solo perché affida sempre alla banca di suo figlio il mandato per rifinanziarli. È singolare anche questo attivismo finanziario. La delibera della giunta di venerdì scorso è un monumento di scarsa trasparenza. Intanto sia ben chiaro: in delibera non sono mai citate le banche che si occuperanno del mandato di Join Lead manager. E cioè chi distruibuisce le carte dell’operazione finanziaria; anche altre istituzioni finanziarie, ma in ruoli marginali, sono della partita. Ma rimanda ad un’oscura determinazione di un dirigente dell’assessorato Bilancio, ragioneria e Tributi: si tratta della numero 144 del 29-9-2003 che, guarda caso, cita proprio Merrill Lynch e Ubs. Le due banche in sostanza non solo non passano al vaglio del consiglio regionale (è ovviamente legittimo) ma non vengono esplicitate neanche agli stessi componenti della giunta Bassolino poiché si fa solo cenno ad una gara e relativo decreto dirigenziale di quattro anni fa. Ma la scarsa trasparenza sulle banche è nulla rispetto a questa continua necessità che la giunta campana ha di rifinanziare il proprio debito. Nel nostro paragone, il proprietario di casa potrà rifinanziarsi il proprio mutuo una volta, ma alla quarta sorge qualche dubbio sulla sua economicità. Ma tant’è. ......... (1. Continua) Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 1 Inviato
da vocedimegaride ______________________________________ Messaggio
N°344 del 06-06-2007 - 19:58 Buon
compleanno, carabinieri ! L'Arma compie i suoi primi 193 anni. Ai carabinieri, dal Nord al Sud dell'Italia, la nostra gratitudine ed il nostro fraterno augurio d'ogni bene. I «CARABINIERI» DEL RE DI NAPOLI Nei secoli XVIII e XIX, in Italia,il moto migratorio non avveniva dal Sud verso il Nord, ma al contrario poiché,all’epoca, il Meridione d’Italia (in particolare la Campania e la Sicilia) per clima, bellezze naturali, fertilità della terra,stabilità politica ed abbondanza di manodopera, era diventato un angolo di paradiso per quanti desideravano una migliore qualità di vita o rendere più florida la loro posizione economica. In questa corsa verso il Sud, i più numerosi furono gli svizzeri. I primi arrivarono nella seconda metà del settecento come mercenari. L’arruolamento, detto: «Capitolazione», avveniva direttamente con i rappresentanti dei vari Cantoni. I mercenari svizzeri per capacità, disciplina ed affidabilità,erano i più richiesti dai regnanti, anche dal Papa. Il 20 agosto 1859, il Generale napoletano Alessandro Nunziante(Aiutante del Re e suo intimo consigliere) forse per togliere alla monarchia, in previsione del suo tradimento,truppe fedeli e bene addestrate convinse il Sovrano (Francesco II), a sciogliere tutti i Corpi svizzeri (quattro Reggimenti). Il Re, tuttavia, su consiglio del Generale elvetico Giovan Luca Von Mechel (un Ufficiale coraggioso ed ostinato) istituì la Brigata «Von Mechel», composta da mercenari svizzeri ed articolata su tre Battaglioni di «Carabinieri». Questi, però, avevano in comune solo il nome, con quelli di Vittorio Emanuele II. È probabile che il Sovrano li volle chiamare così, anche perché affascinato dalla già nota validità di quelli piemontesi. In ogni modo i Carabinieri del Regno di Napoli, non tradirono le aspettative di Francesco II perché si batterono come leoni, sui campi di battaglia ed in altre occasioni (evidentemente l’appellativo «Carabiniere» è ovunque e comunque sinonimo di dedizione, ardimento e forza d’animo). Il loro valore e fedeltà si manifestò,in particolare, il 28 maggio 1860quando furono impiegati nei combattimenti a Corleone (Palermo) e nel Capoluogo siciliano (a Porta Termini). Il 31 successivo, il vecchio Generale napoletano Ferdinando Lanza, nonostante una grande superiorità numerica firmò,incomprensibilmente (ma non molto, alla luce della sua minore fedeltà al Sovrano),la resa di Palermo e pochi giorni dopo quella della Sicilia. Tale capitolazione fu sfavorevolmente commentata anche all’estero ed il giornale umoristico francese:«Chiarivari», pubblicò un «cartoon»nel quale erano raffigurati un soldato, un ufficiale ed un generale dell’esercito borbonico. Il primo aveva la testa di un leone,il secondo quella di un asino ed il terzone era completamente privo. Dopo le«esperienze» siciliane, i Carabinieri napoletani fecero ritorno sul Continente combattendo, ancora una volta intrepidamente,a Caiazzo (Caserta), Dugenta (Benevento) ed a Maddaloni (Caserta). I loro ultimi scontri armati avvennero a Gaeta (Latina) dove tramontarono, definitivamente,le speranze di salvare il più antico Regno d’Italia. Anche in questa circostanza, nel caos generale, i Carabinieri del Re di Napoli agirono da protagonisti e superando numerose difficoltà scortarono, fino a Roma, personaggi di rilievo e fra questi il Generale Vial, Governatore di Gaeta e lo stesso Generale Von Mechel che, malato, aveva ceduto il comando della Brigata Carabinieri al Colonnello de Mortillet. Nel XVIII secolo, gli svizzeri giunti nel Meridione d’Italia non furono solo mercenari,ma pure imprenditori, artisti, architetti,ricercatori, tecnici, banchieri,orologiai, commercianti ed anche pasticcieri. Questo spiega perché ancora oggi,in qualche città del Sud, troviamo aziende od esercizi commerciali con nomi della svizzera tedesca. Il caso più sensazionale è certamente quello del bernese Theodor Von Vittel,venuto nel Capoluogo Campano come tecnico ferroviario. Inseguito sposò Rosetta Inserillo,una graziosa «guagliona» partenopea figlia di un «maccarunaro» (produttore di pasta alimentare).Dopo il matrimonio,il sig. Von Vittel incominciò lavorare nell’azienda artigianale del suocero, sviluppandola sotto il profilo tecnico,senza trascurare la qualità del prodotto: i maccheroni! Infatti,mise in atto l’accorgimento, dimostratosi molto valido, di trafilarli con lo scirocco ed asciugarli con la tramontana. Quando la produzione del pastificio Von Vittel incominciò a diventare ragguardevole,l’interessato intuì che nel Meridione una pasta alimentare con un nome tedesco,non poteva aveva molto futuro e di conseguenza, nel 1879, «napolitanizzò» il nome in «Voiello», facendo tanta fortuna. In conclusione, tra Carabinieri, artisti, imprenditori,pastai, ecc., gli svizzeri immigrati nell’Italia Meridionale hanno lasciato un buon ricordo, «onorato» anche dagli eredi che ancora vivono nell’«Eden»«scoperto» dai loro progenitori. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0 __________________________________ Messaggio
N°298 del 04-05-2007 - 23:04 "Tutto il mondo è Paese" Campani belli e fessi, non crediate di essere gli unici "mariuòncelli assistiti" d'Italia; la prassi degli sprechi è NAZIONALE, fa parte del DNA tricolorico sin dai tempi di Garibaldi, Crispi e Cavour. La cosa, però non deve metterci sereni e tranquilli...come si dice? MAL COMUNE MEZZO GAUDIO... Continuiamo ugualmente a denunciare i ladrocinii, le ingiustizie sociali e... le "parrocchie" di "CASA Nostra"... ma, per il momento, godetevi una pausa con questo articolo di: Giuseppe Salvaggiulo Missioni in Cina, concerti per emigranti, tornei di calcio all’estero, rassegne gastronomiche. E i consiglieri ordinano «poltrone in renna» Le Comunità montane sono 356 e costano allo Stato 800 milioni di euro all’anno ma, dicono, ne vale la pena perché la difesa della montagna è imposta dalla Costituzione. Allora non si capisce perché la Comunità del Mugello debba occuparsi di centri commerciali, quella della Lunigiana di corsi di ginnastica dolce, quella del Casentino di concerti per la pace e altri «spettacoli di interesse per dar voce a chi non ce l’ha». E la montagna? La Comunità dell’Appennino reggiano è orgogliosa di «animare la primavera» con una lunga serie di iniziative e lo dimostra raccogliendole in «un libretto con una grafica accattivamente» e descrivendole con lirismo degno di miglior causa: «Prelibatezze non solo gastronomiche (torte di patate, uova colorate, tortelli, salami...) ma anche culturali, musicali, d’arte e di sport, di una natura che sboccia di nuovo nei suoi colori e nei suoi profumi e che va vista e “camminata”». Avete letto bene: natura camminata. La Comunità della bassa valle di Susa e val Cenischia spende quest’anno 5mila euro per «sostenere le bande musicali», 2mila per i progetti del Coordinamento Comuni per la pace, 2mila per istituire «un marchio per gli eccellenti dolci della valle» e 16mila per la quinta edizione della rassegna «Arte e artigiani della valle di Susa». A distribuire questi finanziamenti sono le assemblee delle Comunità montane. Sono formate dai consiglieri designati dai Comuni del territorio. Tra loro vengono scelti il presidente e gli assessori dell’ente. Per esempio la Comunità di Valle Camonica ha la bellezza di 125 consiglieri, che si aggiungono a un presidente, 9 assessori e 11 commissioni. Indennità e gettoni di presenza sono parametrati su quelli dei Comuni. Con generosità e cura i consiglieri provvedono al proprio comfort. La Comunità montana Triangolo lariano ha stanziato 30mila euro per «adeguare gli impianti di diffusione audio-video nella sala dell’assemblea e sistemare l’ingresso con una parete in cartongesso». La Comunità Montana Riviera di Gallura (11 Comuni di cui tre montani e otto costieri: non sarebbe meglio chiamarla comunità costiera?) ha destinato circa 50mila euro per arredare la sala riunioni. Nel bando per la fornitura di mobili e attrezzature, i consiglieri dimostrano di avere le idee molto chiare. Pretendono «scrivanie in legno massello a lavorazione artigianale e inserto da scrivano in pelle verde Senato inserito nel piano» e «poltroncine in tessuto renna, colore verde Senato (è proprio un’ossessione, ndr), braccioli in poliuretano con inserti in legno verniciato, alzo gas movimento decentrato, scocca unica in multistrato di pioppo o faggio curvato, regolazione in altezza tramite pistone idraulico anti-choc» per il mal di schiena. Naturalmente poltroncine con schienale basso per i consiglieri, alto per il presidente. Una ventina con scrittoio. E nella parte frontale delle scrivanie intagli raffigurante lo stemma degli undici Comuni membri dell’ente. La Comunità gallurese è molto attiva sullo scenario internazionale. Per promuovere il turismo in Sardegna, organizza workshop a Stoccolma, a Londra, in Germania e in Svizzera, allaccia contatti con i circoli sardi sparsi nel mondo e prepara una missione in Cina. La Comunità dell’Appennino faentino coltiva un gemellaggio con Limoges e i Comuni della Comunità L’Aurance et Glane. Nel dicembre scorso, una delegazione romagnola ha trascorso cinque giorni oltralpe. Tema della visita: «Le lotte sociali nel Limousin all’inizio del XX secolo». Quattro anni fa, un altro viaggio in Francia aveva avuto motivazioni socialmente meno impegnate: partecipare al 14° Torneo internazionale di calcio Jeunes de Pentecoste di Nieul a Couzeix. L’apertura al resto del mondo è patrimonio anche di altre comunità montane. Quelle toscane della Mediavalle e della Garfagnana hanno promosso, con altri enti e associazioni, una serata di solidarietà per raccogliere fondi per l’acquisto di apparecchiature mediche da destinare all’ospedale Sagrado Corazon de Jesus di Basavilbaso, provincia di Entre Rios, Argentina. La Comunità Terminio Cervialto è appena volata a New York per organizzare un concerto musicale dedicato agli irpini d’America. Non meno rilevanti gli interessi in campo economico. La comunità del Casentino dichiara partecipazioni in dieci società per azioni, da Arezzo Innovazione (sviluppo settore manifatturiero) a Fidi Toscana (agevolazioni nell’accesso al credito). Ciascuna, naturalmente, dotata di sedi, strutture, e Consigli di amministrazione. La Comunità Molise centrale era azionista di una società, la Sea, che si occupava tra l’altro della raccolta differenziata dei rifiuti. Con risultati fallimentari e deficit di 150mila euro al mese. Una sanguisuga. Marco Petti e Antimo Aiello, consiglieri comunali di Campobasso, hanno denunciato «assunzioni ingiustificate e un terzo di spese futili». Che c’entra tutto questo con la montagna? Dopo i radicali Maurizio Turco e Sergio D’Elia, anche Osvaldo Napoli (Forza Italia) vuole aprire la questione in Parlamento. Ma Ds e Margherita l’hanno già chiusa: nei recenti congressi, hanno approvato due mozioni-fotocopia per rafforzare poteri e competenze delle Comunità montane. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 4 Inviato
da Anonimo ___________________________________________ Inviato
da Anonimo ___________________________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________________ Inviato
da Anonimo ______________________________________ Messaggio
N°294 del 01-05-2007 - 20:09 Per non smettere d'indignarci Dedicato
a tutti coloro che oggi si stanno indignando per l'ipocrita
"festa" del Primo Maggio, per la quale hanno disseppellito,
sfruttandola, pure Portella della Ginestra, come già accaduto
- del resto - per Cefalonia (l'anno prossimo, probabilmente,
riesumeranno la Disfatta di Barletta, l'incendio di Roma o le
Termopili). Dedicato soprattutto a quegli zombies di precari,
disoccupati, studenti, orfani di "morti bianche", eredi degli
Hippies, che INCONSAPEVOLI stanno celebrando in queste ore la
Woodstock allucinogena di regime in Piazza San Giovanni a Roma. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 3 Inviato
da Anonimo ____________________________________________ Inviato
da Anonimo ___________________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________________ Messaggio
N°292 del 01-05-2007 - 11:20 1° maggio italica festa dei lavoratori più 'Inde' che 'Fessi'
Ci è gradito
riservare, in questo giorno "Fausto", un doveroso omaggio agli
unici, infaticabili lavoratori di questa Repubblica democratica
fondata sul Lavoro tanto vilipeso dallo sfaticato Popolo Sovrano
che pur di non lavorare preferisce "suicidarsi" sul lavoro nei
cantieri dei generosi filantropi della società. Si onorino,
in questo giorno, gli instancabili stakanovisti del Lavoro che
non conosce sosta: i nostri rappresentanti politici, nazionali
e locali, spina (nel fianco) dorsale dell'Economia del Paese.
Da "rassegna stampa" un altro "onorevole" tassello, per l'Orgoglio
di Categoria degli autentici Cavalieri del Lavoro d'Italia.
Forza, sbandieratori CGIL CISL UIL, in alto le bandiere! Che
svettino con onore nell'italico cielo della "democrazia" che...
"sindacate". Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 6 Inviato
da Anonimo __________________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________________ Inviato
da Anonimo ____________________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________________
Inviato da Anonimo __________________________________________ Messaggio
N°291 del 30-04-2007 - 10:52 da Il Mattino
del 29/04/2007 Se le cronache napoletane di ogni giorno - fatte di faide, di morti ammazzati, di efferatezze varie - vi angosciano; se vi indigna l'incapacità dei pubblici poteri non dico di risolvere ma di affrontare i problemi più urgenti; se vi esasperano le mille difficoltà del vivere quotidiano ingigantite da inefficienza e menefreghismo, ebbene, sappiate che c’è chi - pur non ignorando i problemi - considera Napoli non «un paradiso abitato da diavoli», come spesso si dice citando un antichissimo proverbio, ma un paradiso tout court. Molti lettori avranno già capito che si parla qui di Jean-Noël Schifano, di cui esce in Francia domani - in una fortunata collana dell’editore Plon - il Dictionnaire amoureux de Naples, il Dizionario innamorato di Napoli (pagg. 594, euro 24,50), opera originale e frutto di anni di lavoro e nello stesso tempo una sorta di summa di tutto ciò che la passione divorante dello scrittore francese per Napoli ha rappresentato per lui, per la sua poetica, per la sua impostazione di vita. Si tratta, come è evidente, di un vero e proprio Dizionario - e dunque si parte dalla «a» di Amelio e si finisce con la «z» di zoccola - ma il libro è anche una sorta di autobiografia, a tal punto SCHIFANO ha intrecciato la propria vita con quella della città in cui ha vissuto per anni, prima come giovane lettore di francese, poi come direttore del Grenoble, diventando anche cittadino onorario di Napoli. Nel corso degli anni, naturalmente, SCHIFANO ha nutrito la sua passione di letture e di riflessioni (che non sono solo sue) che lo hanno portato a conclusioni destinate certo a suscitare polemiche e discussioni (come è avvenuto anche, di recente, in occasione della riedizione delle sue Cronache napoletane da parte di Marlin): i problemi di Napoli sarebbero essenzialmente il frutto dell’Unità d’Italia, concretizzatasi - per quel che ci riguarda - in un «crimine storico»: «La decadenza programmata della sola città capitale d’Italia». Autori principali del «crimine», Garibaldi e Cavour, cui SCHIFANO riserva parole di fuoco, proponendo cambiamenti toponomastici e rimozioni di statue. Antecedenti: i protagonisti della rivoluzione del ’99, essendo la Repubblica partenopea «un’antistorica parodia della Rivoluzione francese». La stessa camorra non sarebbe altro che il prodotto di quello stesso «crimine storico» che l’avrebbe, nel corso degli anni, continuamente rafforzata, «per paura, incomprensione, disprezzo, indifferenza o franca collusione». Pci e Dc sono stati «alleati oggettivi» della camorra, e oggi «saggezza e realismo» vorrebbero «che ci si servisse dei più industriosi camorristi integrandoli, poiché non si può, o non si vuole, disintegrarli». E qui, paradossalmente, le idee destrorse di SCHIFANO trovano singolari punti di contatto con quelle del comunista Brecht, soprattutto quando ricorda che quasi mai le origini delle maggiori fortune italiane sono limpide, anche se oggi chi di quelle fortune dispone è lodato e rispettato e concorre magari alle più importanti cariche istituzionali. In assoluta controtendenza, SCHIFANO è anche quando si fa cantore ed esaltatore di quella plebe in cui moltissimi vedono il concentrato dei mali di Napoli, laddove per lui, al contrario, «la plebe è stata sempre la salvaguardia dello spirito napoletano, della lingua napoletana, dell’immaginazione napoletana, della letteratura napoletana, della filosofia napoletana, dei più realistici movimenti della sua civiltà». «La plebe è la linfa più viva di Napoli, ed è essa che ha sempre pagato con la sua carne per salvare Napoli, e continua oggi, malgrado incomprensioni e insulti». Una vita, dunque, quella che si svolge a Napoli, sotto il segno di quello che SCHIFANO definisce «barocco esistenziale»: «Felicità di vivere, di abitare, di respirare, di godere», «in un movimento naturale, evoluzionario e mai rivoluzionario, portati dalle onde della storia ma innanzitutto dalla porosità dell’esistenza napoletana in cui alto e basso comunicano senza tregua, nobiltà e plebe, poveri e ricchi, il ricordati-di-vivere e il ricordati-di-morire, l’antico e il contemporaneo, i bracci della scultura barocca che servono per asciugare la biancheria, le formelle romane che fanno i forni delle pizzerie, le stelle e gli stronzi, gli abitanti dei bassi hanno preso posto nei palazzi». Naturalmente, avendo posizioni così fortemente definite, SCHIFANO ha buon gioco nell’individuare amici e nemici, scrittori, studiosi cioè che in qualche modo rientrano nella sua visione delle cose o ne sono abissalmente lontani. Si è detto di Cavour e Garibaldi, aggiungiamoci Freud e Sartre scherniti senza riguardi, mentre i personaggi positivi sono compresi in un arco che va dall’adorato Basile a Totò, da Stendhal a Domenico Rea, da Lucio Amelio a Lello Esposito. Più che in ogni altra sua opera, SCHIFANO indulge all’autobiografia, e lo fa in pagine che sono tra le più sentite (e felici) del Dictionnaire. in basso Totò e Sigmund Freud
I
BUONI
I NEMICI Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 10 Inviato
da Anonimo ___________________________________________ Inviato
da Anonimo _____________________________________________ Inviato
da Anonimo ____________________________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________________________ Inviato
da Anonimo _____________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________________________ Inviato
da Anonimo ______________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________________ Inviato
da Anonimo ____________________________________________ Inviato
da crocco57 ________________________________________ Messaggio
N°267 del 16-04-2007 - 10:05 Quel Totò poco noto
LA
STAMPA Vedrà che accoglienza. Quei cani mi vogliono bene», prometteva Totò. L¹attore meraviglioso morto quarant¹anni fa, il 15 aprile 1967, accompagnato dal dolore italiano e da una semplice benedizione perché le autorità ecclesiastiche non gli perdonavano d¹aver vissuto anni con Franca Faldini senza sposarsi e d¹essere massone, non era un uomo d¹amore. Gli piacevano le donne, ne apprezzava la dedizione quando c¹era, era legato alla figlia, era sentimentale alla napoletana, ma voleva bene a pochi: però amava i cani, moltissimo. Nel 1960, per accogliere cani sperduti o sfortunati, fece costruire l¹«Ospizio dei trovatelli», un canile moderno e attrezzatissimo che gli costò quarantacinque milioni. Anche prima, finanziava diversi piccoli canili artigianali, spendendo molto. Li visitava tutti regolarmente, a turno. Quella domenica andavo con lui e con un fotografo a uno di questi rifugi, sui prati tra la periferia romana e Ostia. Totò appariva non si dice elegante (risultava sempre troppo azzimato) ma impeccabile: cappello, bel cappotto, scarpe lucide, sceso dalla macchina venne accompagnato dall¹autista alla rete metallica che circondava il terreno di giochi dei cani, aiutato a entrare. Una festa: gli si precipitarono addosso tutti insieme abbaiando, mugolando, scodinzolando, puntandogli le zampe sul cappotto. Lo riconoscevano, mentre Totò aveva la vista troppo danneggiata per riuscire a individuarli, né avrebbe potuto distinguerli dal nome. Ai cani quasi mai attribuiva un nome («Mica sono figli»). Li chiamava tutti «cane» e basta, sin dall¹infanzia nel rione Sanità vicino alla stazione ferroviaria di Napoli, quando Totò portava il cognome della madre nubile, Clemente (sarebbe diventato De Curtis soltanto nel 1928, dopo il matrimonio della madre con il marchese De Curtis, reso possibile dalla morte dell¹ostile padre dello sposo). Detestava l¹aggettivo «randagio», non lo usava mai. Nelle diverse case che ebbe a Roma, sempre ai Parioli quartiere di ricchi, ospitava cani raramente («Vogliamo farli soffrire in un appartamento?»). Nei film non li gradiva, a parte qualche barbone sporco o volpino spelacchiato che restavano anche loro «cane», senza nome. Quanto a Totò, più nella vita privata, per via di adozioni o simili, il suo nome diventava altisonante, nobiliare, principesco, imperiale, più i suoi nomi cinematografici si facevano ridicoli: Totokamen, Cacace, Totonno, La Trippa, Sgargiulo, Posalaquaglia, Ciancicato, Canarinis, mentre la sua «spalla» Mario Castellani poteva chiamarsi Za la Mortadelle. Con i cani Totò giocava alla pari: loro facevano salti, lui si torceva e scattava in uno dei suoi numeri fisici geniali (anche per far piacere al fotografo). Li carezzava tutti, sul muso: «Visto che vita, che energia?», chiedeva. Poi si mise a parlare di gestione con la signora responsabile dei cani: conti, animali malati, interventi burocratici dei vigili, veterinario... Totò si annoiava, diventava di cattivo umore come quando in un film (era «Totò le Mokò»?) guardava Algeri dall¹alto e sospirava: «Sempre in Casbah, sempre in Casbah...». Tornò a giocare coi cani. Poi tese le braccia come un bambino piccolo, in atteso che qualcuno andasse a prenderlo e lo portasse via, piano piano. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 2 Inviato
da Anonimo ______________________________________ Inviato
da Anonimo ___________________________________ Messaggio
N°236 del 02-04-2007 - 17:19 CAPE TOSTE 'STI SAVOI ! Emanuele Filiberto di Savoia contestato a Vibo VIBO VALENTIA. “Quei signori che mi hanno fischiato debbono sapere che la mia presenza qui può aiutarli a risolvere i loro problemi. Questi attacchi non mi turbano, non mi toccano, anzi mi fanno crescere intellettualmente”. Ad affermarlo è stato Emanuele Filiberto di Savoia, in visita a Vibo Valentia ricevuto dal sindaco della città Francesco Sammarco. Una manifestazione di protesta ha accolto l’erede dell’ex real casa in piazza Municipio prima poco prima dell’inizio dell’incontro. Un incontro privato che “non ha nulla di ufficiale”, Franco Sammarco (Ds), come precisato dallo stesso primo cittadino nell’atto di riceverlo, attaccato nei giorni scorsi da alcuni consiglieri della sua stessa maggioranza e da assessori. La protesta, all’arrivo del principe, è sfociata in una selva di fischi, insulti, slogan, lancio di volantini al punto che la polizia è stata costretta a formare un cordone protettivo. Momenti di tensione, si sono avuti anche, quando le maestre degli alunni delle prime classi dell’antistante plesso “Garibaldi”, volendo salutare Emanuele Filiberto, si sono messi a piangere di fronte alle urla e ai fischi dei manifestanti che pensavano fossero rivolti a loro, ma che invece erano riservati alle loro maestre. Una iniziativa quella di portare i bambini fuori della scuola che ha indignato i loro genitori ed alcuni rappresentanti del consiglio di circolo che l’hanno bollata come illegale riservandosi di agire nelle sedi opportune. Ai giornalisti che gli hanno chiesto il motivo della sua visita in Calabria, Emanuele Filiberto ha risposto di un essere un cittadino italiano con diritti e doveri e di essere venuto per capire i problemi di questa terra per aiutarla, aggiungendo che non è da escludere una sua eventuale candidatura ad una carica pubblica. A fine visita, l’esponente di casa Savoia si è diretto verso l’Istituto alberghiero di Stato dove era atteso per l’inaugurazione del nuovo edificio e per il pranzo, rinunciando alla passeggiata sul Corso prevista nel programma. A sconsigliarlo pare sia stata la Polizia, visti gli animi accesi e alcuni manifesti su cui c’era scritto “Bresci è in mezzo a noi”. Tranquilla invece la mattinata. Arrivato alle 10 in città, il principe si è subito recato all’ospedale civile dove ad attenderlo c’erano il vescovo monsignor Domenico Tarcisio Cortese, il direttore generale dell’Asl Francesco Talarico, che lo ha accompagnato a visitare alcuni reparti del nosocomio. Dopodiché si è recato al convitto “Filangeri” per un incontro con le scolaresche e la consulta studentesca, dove è stato accolto con applausi. A contrastarlo solo uno studente che gli ha chiesto: “Ma che sei venuto a fare?”.
nota della redazione di "Megaride": Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 2 Inviato
da Anonimo ____________________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Messaggio
N°235 del 02-04-2007 - 13:55 ricordiamolo riascoltiamolo
... Ma torniamo al 1° settembre 1939. Lo scoppio della guerra cambiò in modo piuttosto radicale l'andamento della mia vita. In verità i professori dell'Università Jaghellonica tentarono di avviare ugualmente il nuovo anno accademico, ma le lezioni durarono soltanto fino al 6 novembre 1939. In quel giorno le autorità tedesche convocarono tutti i professori in un'assemblea che si concluse con la deportazione di quei rispettabili uomini di scienza nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Finiva così nella mia vita il periodo degli studi di Filologia polacca e cominciava la fase dell'occupazione tedesca, durante la quale inizialmente tentai di leggere e di scrivere molto. Proprio a quell'epoca risalgono i miei primi lavori letterari. Per evitare la deportazione ai lavori forzati in Germania, nell'autunno del 1940 cominciai a lavorare come operaio in una cava di pietra collegata con la fabbrica chimica Solvay. Si trovava a Zakrzówek, a circa mezz'ora dalla mia casa di Debniki, ed ogni giorno vi andavo a piedi. Su quella cava scrissi poi una poesia. Rileggendola dopo tanti anni, la trovo ancora particolarmente espressiva di quella singolare esperienza: «Ascolta, il ritmo uguale dei martelli, così noto, io lo proietto negli uomini, per saggiare la forza d'ogni colpo. Ascolta, una scarica elettrica taglia il fiume di pietra, e in me cresce un pensiero, di giorno in giorno: tutta la grandezza del lavoro è dentro l'uomo...». (La cava di pietra: I, Materia, 1) Ero presente quando, durante lo scoppio d'una carica di dinamite, le pietre colpirono un operaio e lo uccisero. Ne rimasi profondamente sconvolto: «Sollevarono il corpo. Sfilarono in silenzio. Da lui ancora emanava fatica ed un senso d'ingiustizia»... ( La cava di pietra: IV, In memoria di un compagno di lavoro, 2-3) I responsabili della cava, che erano polacchi, cercavano di risparmiare a noi studenti i lavori più pesanti. A me, per esempio, assegnarono il compito di aiutante del cosiddetto brillatore: si chiamava Franciszek Labus. Lo ricordo perché, qualche volta, si rivolgeva a me con parole di questo genere: «Karol, tu dovresti fare il prete. Canterai bene, perché hai una bella voce e starai bene...». Lo diceva con tutta semplicità, esprimendo così una convinzione abbastanza diffusa nella società circa la condizione del sacerdote. Le parole del vecchio operaio mi si sono impresse nella memoria." Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0 ___________________________________ Messaggio
N°214 del 19-03-2007 - 14:17 Cara
Grazia, questa è l'ITAGLIA! Un'offesa
alla memoria delle vittime Inviato da: vocedimegaride Trackback: 0 - Commenti: 10 Inviato
da Anonimo ___________________________________
Inviato da
Anonimo _________________________________ Inviato
da Anonimo ___________________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________ Inviato
da Anonimo ______________________________ Inviato
da Anonimo __________________________________ Inviato
da Anonimo ___________________________________ Inviato
da Anonimo _________________________________ Inviato
da Anonimo _______________________________ Messaggio
N°194 del 07-03-2007 - 00:43 Nablus la Neapolis degli antichi Non e' facile visitare Giuseppe, di questi tempi. Blocchi stradali imposti dai militari israeliani hanno circondato la sua citta' di Nablus, tronchi e massi di terra bloccano le gia' piccole entrate ed uscite. Normalmente, i cittadini di Nablus entravano ed uscivano per lavoro e spese, ora lo fanno a loro rischio e pericolo, poiche' i soldati sparano senza avvertimento. Eppure, qualcuno, a piedi, puo' ancora avventurarsi nella vecchia capitale della Samaria. La citta' riposa come un sacchetto di mirra tra i due seni gemelli del Monte Ebal e del Monte Gerizim. Nablus e' la Neapolis degli antichi, fondata da Tito Flavio all'apogeo dell'impero romano. La tradizioni romane non sono morte in questa San Francisco palestinese, con i suoi generosi bagni turchi. Essa e' anche famosa per il suo fragrante sapone all'olio d'oliva, per la speziata zuppa di kubbeh e per lo spirito indomito dei suoi abitanti. Questi combatterono un'aspra guerriglia contro Napoleone, si ribellarono agli invasori egiziani ed ora tengono alla larga i coloni ebrei. Durante l'ultima rivolta, Nablus si e' meritata il nome di Jabal en-nar, la montagna del fuoco. Gli israeliani raramente osano entrare nelle strette stradine della citta' vecchia. Oggi, questa insolente, antica citta' e' la casa di Marwan Barghuti, uno dei leaders dell'intifada. Venni qui per visitare uno dei reliquiari piu' affascinanti della Terra Santa, la Tomba di Giuseppe, l'eroe di tante storie della Bibbia e del Corano, un ragazzo del luogo che crebbe in Egitto e fu, in seguito sepolto nella sua terra ancestrale. I locali hanno sempre venerato il reliquiario di Giuseppe, come le tante altre tombe che adornano le colline e gli angoli di strada della Palestina.Le tombe hanno radici profonde nell'animo dei palestinesi; esse sono sopravvissute a tutte le riforme religiose ed ancora sono in grado di portare l'uomo verso Dio. Bisogna prendere i loro nomi con un granello di sale, poiche' cambiano con il passare del tempo. Ci sono dozzine di tombe di Sheikh Ali, e persino Yehoshua bin Nun ne ha alcune. Altre tombe hanno svariati nomi, come ad esempio la caverna del Monte degli Olivi, chiamata Pelagia dai cristiani, Rabia al-Adawiya dai musulmani e Hulda dagli ebrei. Mentre gli scolari ortodossi musulmani, cristiani ed ebrei hanno da obiettare riguardo alla venerazione delle tombe, il popolo e' sempre venuto qui a chiedere favori, di gloria e buon raccolto gli uomini, di bambini ed amore le donne. La Tomba di Giuseppe non fa eccezione. E' una semplice costruzione a cupola, restaurata di recente, e sta di fianco all'antico terrapieno di Shechem. Ogni tanto, si vedono le contadine palestinesi con vestiti neri riccamente ricamati che visitano la tomba del casto amante, i cui lunghi sguardi demolirono le resistenze del cuore di Zuleika. Qualche mese fa, la Tomba di Giuseppe era su tutti i giornali e le televisioni. Il popolo di Nablus aveva dato battaglia a soldati israeliani superarmati sui resti del suo antenato Giuseppe, come gli achei combatterono i troiani per le spoglie di Patroclo. Due palestinesi morirono li', insieme ad un mercenario israeliano ed altri soldati restarono feriti. Le immagini della battaglia furono trasmesse in tutto il globo insieme ai lampi delle armi automatiche, alle ambulanze in corsa verso gli ospedali, le pietre ed i corpi. La realta' virtuale della TV accompagnata dalle voci degli esperti presentarono la battaglia come l'ultima prova dell'odio palestinese verso i luoghi santi ebraici. La storia della distruzione della Tomba rimase nei notiziari per lungo tempo. Perfino un importante teologo musulmano scrisse, dalla Russia, una lettera aperta ai palestinesi, in cui condannava il sacrilegio. I maggiori giornali internazionali pubblicarono aspri editoriali sul caso. Anche un Marziano in visita sulla terra avrebbe imparato che il desiderio principale dei palestinesi era quello di vandalizzare gli antichi monumenti ebraici. Per coloro i quali non avessero avuto l'opportunita' di leggere la storia le 108 volte precedenti, il NYT l'ha ripubblicata la scorsa settimana. Questo e' troppo, per me. Il fortunato giornale ebraico-americano ha sempre provocato sospetti, nella mia mente. Ricordo i loro articoli su imminenti pogroms di ebrei a Mosca nel 1990, che non sono mai avvenuti, ma che hanno fatto trasferire un milione di ebrei russi in Israele. Ricordo i loro articoli sul massacro di Timisoara in Romania, che poi si scopri' essere una bufala, ma che, nel frattempo, porto' all'esecuzione sommaria di Ceausescu e di sua moglie. Ricordo bene come il NYT si scaglio' contro la nobile assistenza cubana verso la Namibia, che spezzava la vergogna dell'apartheid sudafricano. Conoscendo i palestinesi, ho difficolta' a credere che quel popolo che venera quella tomba da innumerevoli generazioni, possa averla distrutta. Cio' che in realta' ho trovato presso la Tomba di Giuseppe e' stata un replay della vecchia barzelletta ebraica: "E' vero che Cohen ha vinto un miliardo alla lotteria di stato? Si, e' vero, ma erano solo dieci dollari, al poker, ed in realta' li ha persi". Invece delle rovine che mi sarei aspettato di trovare, la tomba risplendeva nella sua bellezza originaria. Non vi erano tracce di guerra, intorno. La municipalita' di Nablus ha chiamato i migliori restauratori, perfino dall' Italia, per riportare la tomba al suo stato originario. E' stato rimosso il filo spinato, le postazioni dell'artiglieria, i veicoli blindati, le cianfrusaglie dell'esercito, i checkpoints. Una base militare israeliana e' stata demolita e sostituita dalla risorta santa tomba. Fu una gioia rivisitare Giuseppe, poiche' la mia ultima visita, un mese prima che scoppiasse l'intifada, fu sconvolgente. Allora, visitai Nablus in compagnia di due turisti, un cristiano ed un ebreo. Visitammo la sinagoga samaritana, bevemmo acqua dalla fonte di Giacobbe nella chiesa, ammirammo la Moschea Verde e poi decidemmo di portare i nostri ossequi a Giuseppe, il Bello. Un vecchio poliziotto palestinese ci permise di avvicinarci alla tomba, ma ci avviso' che non ci sarebbe stato permesso di entrare. Aveva ragione. Dei ragazzotti russi con la divisa israeliana si precipitarono fuori e ci dissero che bisognava andare al quartier generale dell'esercito fuori citta', ottenere un permesso dopo un interrogatorio e ritornare al sito con un bus blindato. Ovviamente rinunciammo e ci avviammo verso siti piu' accessibili. Per generazioni, la Tomba di Giuseppe e' stata amata e curata con gioia dalla gente di Nablus, ma essa fu estorta da Israele nel 1975. Gli infami accordi di Oslo la lasciarono come un'enclave armata israeliana nel cuore della citta' palestinese. Essa divenne una Yeshiva di una setta Cabbalistica guidata dal rabbino Isaac Ginzburg. Questo nome dovrebbe far suonare una campana d'allarme. Si, quel Ginzburg che, in un'intervista al "Jewish Week" sostenne infelicemente che un ebreo ha diritto anche a spezzare il fegato di un Gentile, se questo puo' servirgli a salvarsi la vita, poiche' la vita di un ebreo e' incomparabilmente piu' preziosa di quella di un Gentile. L'intervistatore gli chiese di ammorbidire il messaggio, ma Ginzburg rimase inflessibile. Molti giornali israeliani hanno ripubblicato la famosa intervista, per cui il nome di Ginzburg e' ben noto. Un anno prima, i discepoli di Ginzburg fecero una sortita in un villaggio palestinese dei dintorni, ed un membro della setta uccise una ragazzina di 13 anni. Fu arrestato e portato in giudizio. Ginzburg fu chiamato come testimone dalla difesa, e, sotto giuramento, affermo' che un ebreo non dovrebbe essere portato in giudizio per l'assassinio di un Gentile, poiche' il comandamento: "Non ucciderai" si riferisce solo agli ebrei. Uccidere un Gentile e', al massimo, una cattiva azione poiche' "nessuno puo' paragonare il sangue di un ebreo con quello di un Gentile". Nella sua "Storia culturale degli ebrei", Zvi Howard Adelman di Gerusalemme (disponibile al sito web del Department for Jewish Zionist Education), cita Ginzburg ed alcuni suoi colleghi. Uno dei suoi seguaci Cabbalisti, Rabbino Israel Ariel, scrisse nel 1982, al tempo del massacro di Sabra e Shatila, che "Beirut e' parte della terra d'Israele ... i nostri leaders dovrebbero entrare in Libano senza esitazioni, ed ucciderli tutti. Non dovrebbe esserne lasciata memoria". Ora, ogni fede ha le sue frange estremistiche e fanatiche. Certo, la maggioranza degli ebrei, anche di quelli religiosi, non sottoscrive tali farneticazioni e magari prova repulsione di fronte a tali sentimenti cannibalisti. Ma tale repulsione non ferma l'esercito israeliano dal fare la guardia alla Yeshiva di Ginzburg, non frena il governo israeliano dal sovvenzionarla o dal forzare i palestinesi ad accettare questa enclave di odio nel cuore di Nablus, o dall'intraprendere una mini-guerra per promuovere lo zelo di Ginzburg. Questa repulsione non mette fine al cieco sostegno degli ebrei americani alla politica di Israele. Questa repulsione non mi impedisce di pagare le tasse al governo israeliano, anche se so che parte di esse andranno a sostenere la setta di Ginzburg. Questa repulsione non ferma il New York Times ed i suoi affiliati media americani dal propagare la sanguinosa bugia dei "palestinesi che vandalizzano i luoghi santi ebraici". Ginzburg, invece, ha il diritto di professare le sue odiose credenze. Viviamo in un'era in cui la tolleranza puo' estendersi verso qualsiasi cosa tranne che verso una preghiera cristiana a scuola. Chiunque e' libero di essere satanista o cabbalista. Ma perche' questa gente deve essere armata con elicotteri da guerra Apache a spese dei contribuenti americani? Ginzburg e la sua setta hanno un'influenza che va ben oltre l'esiguita' degli affiliati. Essi sono pericolosi tanto per i Gentili che per gli "ebrei ribelli", come l'ex primo ministro Rabin. In quella che potrebbe essere stata una piccola prova per l'imminente confronto sulle tombe di Gerusalemme, 20 giovani palestinesi hanno pagato con la vita il loro diritto alla venerazione dei reliquiari palestinesi. Ora, come prima del 1975, gli abitanti del luogo ed i turisti, musulmani, samaritani, ebrei, cristiani e laici possono visitare il sito liberamente, se riescono a scansare i cecchini israeliani. Possono portare un fiore sulla pietra tombale dell'eroe preferito della Bibbia, il profeta descritto nel Corano, l'amante dei poemi di Ferdousi e dei versi di Saadi, il cercatore della verita' della rivelazione sufi di Jami. Giuseppe e' ritornato dal popolo che l'ha sempre venerato. Siete liberi di visitarlo, ma, per favore, lasciate i vostri carriarmati fuori. I palestinesi hanno combattuto la base militare, non il luogo santo. I luoghi santi di Gerusalemme, Betlemme, Hebron, sono salvi nelle mani dei palestinesi, come lo sono stati per innumerevoli generazioni. Senza la venerazione della gente che vi ha abitato, nessuno di essi sarebbe sopravvissuto. Per favore, ricordatevene, quando verra' il momento di Gerusalemme. Quest'ultima saga degli eventi riguardo la Tomba di Giuseppe e' solo un'altra prova dell'inaffidabilita' della macchina dei media americani. La grande nazione, la formidabile superpotenza ottiene le sue informazioni e naviga nel mare della politica mondiale usando un telescopio di Topolino invece di lenti d'ingrandimento elettroniche. Se i signori dei media ebraici vi imbrogliano sulla Palestina, come potete pensare che siano onesti in qualche altro modo? Forse le sofferenze dei palestinesi dovrebbero aiutare gli europei e gli americani ad accorgersi della secca in cui si sta imbattendo la loro nave. traduzione a cura di www.arabcomint.com Inviato da: vocedimegaride Trackback: 0 - Commenti: 5 Inviato
da vocedimegaride _____________________________ Inviato
da Anonimo ______________________________ Inviato
da Anonimo ________________________________ Inviato
da Anonimo ____________________________ Inviato
da Anonimo ____________________________ Messaggio
N°159 del 11-02-2007 - 23:30 dal blog di Beppe Grillo www.beppegrillo.it data odierna Ministri in ostaggio Il ministro in ostaggio è una figura nobile del panorama politico italiano. La sequenza è nota. Un ministro si oppone a una vaccata del Governo oppure appoggia una legittima richiesta dei cittadini. I suoi colleghi lo ignorano. Il ministro si indigna (non sempre) e si rivolge alla pubblica opinione (non sempre). In ogni caso dichiara di essere ostaggio della maggioranza. Che, senza di lui (o lei), diventerebbe minoranza. Quello che si vorrebbe sapere è chi tiene in ostaggio questi ministri. Chi impedisce di sapere la verità sul rapimento di Abu Omar bloccando i giudici con il segreto di Pulcinella di Stato. Chi non vuole che sia fatta piazza pulita degli inceneritori. Chi regala un semestre bianco alle compagnie telefoniche spostando i tempi dell’abolizione dei costi di ricarica. Chi vuole l’indulto anche se nessun cittadino sano di mente lo voleva. Chi pensa che 12/13 miliardi di euro per fare un tunnel in Val di Susa sia progresso e non demenza. Chi non vuole fare chiarezza sulle intercettazioni Telecom. Non esiste un mr.Chi che tiene in ostaggio i ministri. Esiste invece un partito trasversale che si chiama Forza Ds con l’appoggio esterno della Margherita. I ministri in ostaggio dovrebbero prenderne atto e non continuare a pagare il riscatto con la perdita di credibilità. O vanno fino in fondo o lasciano perdere. Non ci infastidiscano con il Cip6, con l’Afghanistan, con Vicenza o con l’indulto. Sono cose che sappiamo già. Il loro ruolo è quello di fare qualcosa. Se non ci riescono, almeno tacciano, perchè di dimettersi non se ne parla proprio. Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0 --------------------------------------------- Messaggio
N°103 del 01-01-2007 - 22:40 Buon
2008!
Inviato
da: vocedimegaride - Commenti: 5 Inviato
da Anonimo il 01/01/07 @ 23:42 --------------------------- Inviato
da Anonimo il 02/01/07 @ 00:04 --------------------------- Inviato
da Anonimo il 02/01/07 @ 09:36 --------------------------- Inviato
da Anonimo il 02/01/07 @ 10:20 --------------------------- Inviato da Anonimo il 02/01/07 @ 10:27Bentornato, Barbella! Sempre molto piacevoli i suoi interventi! "megaride" |
|