Il
Pittore di Corte Reggia di Caserta: la mostra di Hackert, a duecento
anni dalla sua morte.
I dipinti del grande protagonista della pittura paesaggista della seconda
metà del Settecento in mostra dal 14 dicembre 2007 al 13 aprile 2008.
In occasione del bicentenario della scomparsa del grande paesaggista
tedesco Jacob Philipp Hackert, si terrà una mostra, alla Reggia di Caserta,
su una vasta sezione dell’intera opera dell’artista, dal 14 dicembre
2007 fino al 13 aprile 2008, promossa dalla Soprintendenza per i Beni
Architettonici per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico
ed Etnoantropologico, per le Province di Caserta e Benevento, diretta
da Enrico Guglielmo, e sostenuta dall’assessorato al Turismo e ai Beni
Culturali della Regione Campania di Marco Di Lello . La mostra “Jacob
Philipp Hackert(1737-1807)- La linea analitica della pittura di paesaggio
in Europa” con ben 112 opere tra dipinti e disegni è stata curata dal
professor Cesare de Seta. E’ la prima volta che vengono esposti i dipinti
relativi all’intera produzione di Hackert realizzata grazie al un cospicuo
fondo della Reggia di Caserta e alle opere provenienti da collezioni
italiane e straniere, pubbliche e private. L’ultima mostra su uno dei
più importanti protagonisti della pittura di paesaggio in Europa, si
è tenuta dieci anni fa, ma solo con le opere che aveva realizzato durante
la sua permanenza in Italia. L’esposizione, che si snoda in 8 delle
sale della Pinacoteca della Reggia e lungo il percorso dell’appartamento
reale del 700, è divisa in quattro sezioni: dai primi lavori degli esordi
berlinesi (1760-1764) si prosegue con quelli realizzati durante il soggiorno
a Parigi (1765-1768) e con le opere realizzate in Italia, prima a Roma
(1769-1786), poi a Napoli (1786-1799) dove, alla corte di Ferdinando
IV di Borbone, assunse il ruolo di pittore di Corte. L’ultima sezione
riguarda le opere realizzate a San Pietro di Careggi in Toscana (1800-1807),
dove si rifugiò dopo la sua fuga dal Regno a causa della la rivoluzione
napoletana. L’evento è stato inserito tra i “grandi eventi 2007” della
Regione Campania ed è stata realizzata anche grazie alla collaborazione
del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di numerosi Enti,
Istituzioni, Banche ed Aziende.
Ufficio Stampa Khune & Khune kuhnepress@tin.it
tel. 081-761.42.23 – mobile 339 83.83.413
Conosciamo solo
il suo nickname in rete, Ilovenaples2007 , e non il suo nome. Ci siamo
incrociati in uno scambio anonimo, silenzioso ma fluente di informazioni:
lui che leggeva noi; noi che guardavamo i suoi video identitari su "youtube".
Ottimo lavoro, caro sconosciuto amico!
Ti siamo debitori.
La redazione di www.vocedimegaride.it
Riceviamo
dal nostro amico Osvaldo Balestrieri personale invito ad una allegra
"zingarata" di Piedigrotta che desideriamo estendere a tutti coloro
i quali rifiutano eventi sponsorizzati, autentiche macchine di produzione
soldi e appalti ai soliti noti e del tutto privi di autenticità e di
quello spirito di socializzazione che caratterizza da millenni i partenopei!
L'INFERNO HA LAMBITO IL PARADISO. SABATO 8 SETTEMBRE, DAL POMERIGGIO
INOLTRATO A NOTTE FONDA E OLTRE PER CHI VUOLE, HO ORGANIZATO UNA NOSTRA
FESTA DI PIEDIGROTTA.PIEDIGROTTA ALLA SOLFATARA MUSICA SPONTANEA, PREVALENTEMENTE
NAPOLETANA,CANTI,SUONI ,BALLI,QUALCOSA DA MANGIARE ED ALTRO... LA FESTA
PUBBLICA-PRIVATA PREVEDE LA PARTECIPATA PRESENZA DI AFFINITA'ELETTIVE
,QUALI VOI INVITATI SIETE. OGNI PARTECIPANTE POSSIBILMENTE SI DEVE PORTARE
UN PIATTO E UN BICCHIERE UN PO' DI VINO ,SE BUONO,E QUALCOS'ALTRO SE
VOLETE. PER RAGGIUNGERE IL LUOGO, PER CHI NON LO CONOSCE GIA', DOVETE
ARRIVARE ALLA PIAZZETTA DELLA SOLFATARA (CHIEDETE!!), SALIRE LA STRADA
CHE COSTEGGIA L'INGRESSO DELLA SOLFATARA, ARRIVARE IN CIMA( A CHI PUO'
FAR PIACERE PARCHEGGIARE L'AUTO AD UN CERTO PUNTO E CONTINUARE A PIEDI
FINO ALLA CIMA DELLA SALITA,SULLA SINISTA PASSERETE DAVANTI AD UN ALBERGO
"GLI DEI" DOPO 50 METRI GIRATE A DESTRA CI SARA'UN CANCELLO ROSSO APERTO
DI FRONTE UN ALTRO CANCELLO DOVE CHI NON SALE A PIEDI (SCELTA CHE CONSIGLIO)PUO'
PARCHEGGIARE L'AUTO.CONTINUARE A PIEDI FINO IN FONDO,AUGURI!!! chi propie
n'à capito mi chiama sul portatile 3334076430
P.S.: indossare scarpe comode. vi aspetto osvaldo-usva'ussa'
Nati sotto
il segno del Capitone
ovvero l'oroscopo dello scemo del villaggio globale
di Nando Dice'
Una
scoperta sensazionale scuote il mondo degli astrologi; per anni, hanno
ignorato la tredicesima costellazione (il Serpentario), ma oggi non
possono negare la "scoperta" della quattordicesima. Il Capitone. La
costellazione del Capitone raggruppa una serie di balle astrali che
influenzeranno i nati fra il 1861 e il 2010, nelle terre comprese fra
Civitella del Tronto
e Lampedusa, ma con ripercussioni in tutt'Europa. Tale costellazione
si caratterizza per la viscida storiografia, per l'inafferrabilità delle
ipocrisie, per dei bellissimi luoghi comuni e quando la luna si mette
di traverso, se non bastasse, pure per le rotture di coglioni. Con l'entrata
del segno nella galassia "occidentale", l'etichette storiche diventano
talmente false, truccate e taroccate, che non ci vuole il revisionismo
storico, ci vogliono i N.A.S. Per i nati sotto questo segno si prevede
un rapporto instabile con la Verità e i liberisti. Soprattutto per questi
ultimi, i nati sotto il segno del capitone, vanno educati al disprezzo
di se stessi, creando le condizioni di degrado tali che l'abbrutimento,
l'ingresso di Marte nel Capricorno e la perdita di dignità, sono addebitate
ad uno stato naturale delle cose (genetico?), più che ad una scelta
personale o ad un condizionamento politico. Per coloro che non si faranno
educare, nessun problema, alla fine, si vergogneranno dei propri simili
e avranno due scelte: o scemi o nemici del proprio popolo. Questo stato
di cose necessità di humus, di condizioni sociali favorevoli, in pratica
di concime, ma se è vero quello che diceva Nietzsche che "ognuno diventa
quello che è" se ti convincono che sei una merda., il concime è fatto!
LAVORO. I Capitoni, grazie all'influenza dello stato italiano, si caratterizzano
per le loro capacità di lavoro all'estero. Per quelli che restano, favoriti
quelli nati fra il 3 e l'8 del mese di mai e quelli col cugino assessore.
Prospettiva Cromatica: Infatti, in questo periodo, i nati nel Capitone
ne faranno di tutti i colori, divenendo bianchi (come le morti?) e vedendola
sempre più nera. Mentre per i liberisti e solo per loro, periodo fortunato,
il buco nero del debito pubblico e l'usura bianca, gli permetteranno
un arcobaleno d'opportunità. Come avrebbe parafrasato Marzullo: "Sogno
di non lavorare o lavorare è un sogno?" Date le condizioni
sul lavoro, si prevede per i giovani Capitoni un probabile rapporto
col Cancro. Grattarsi o credere nella tecnologia medica ha lo stesso
effetto e la stessa validità statistica, con una sola differenza, tutti
i popoli del mondo hanno sempre creduto nella superstizione, pochi nel
dio delle industrie farmaceutiche. I nati Capitoni, si sono caratterizzati
per un ascendente straordinario, la Cassa del Mezzogiorno, detta anche
cassa australiana. Infatti, era l'unica cassa ad effetto boomerang che
superava le montagne, era gettata al sud e faceva arricchire il nord.
La Cassa boomerang, era davvero eccezionale, infatti, era l'unica cosa
straordinaria che non presupponeva l'esistenza dell'ordinario. AMORE:
Agli esordi, i nati sotto il segno del Capitone, si caratterizzano per
le loro capacità di farsi conquistare, ma subito dimostrano l'impossibilità
di un rapporto serio e duraturo..... In mille conquistarono un regno
in pochi mesi, 120 mila c'è ne vollero per tenerlo con 6 anni di guerra.
I liberali rispondono che quei soldati sono serviti ad aiutare i nati
con ascendente, camorra, povertà e disoccupazione. Gli astrologi rispondono
concordi, "Quegli ascendenti sono entrati nel segno del Capitone solo
nel 1861!" SALUTE: Tutto bene grazie! Perché i nati Capitone, si sa,
sono ottimisti sempre. Su di loro si è sperimentato un sistema infallibile.
Entrano in ospedale con l'influenza, li convincono che prima avevano
il cancro, ed essi felici sono contenti di stare meglio. Tale sistema
è stato ampiamente sperimentato nel campo storico. Oggi sono poveri,
li convincono falsamente che prima del 1861 erano pezzenti, ed essi
con un fantastico metodo placebo, si sentono "ricchi". VIAGGI: In questo
i Capitoni sono rivoluzionari. Non spostano se stessi, spostano la geografia.
Per quelli nati fra il 1956 ed il 1961 si prevede una voglia di turismo
collettivo, verso climi migliori e presso popoli simpatici, aperti e
accoglienti. Nel 1956 Torino conta 760 mila abitanti, nel 1961 un milione
e trecentomila. Quindi Torino, con 540 mila meridionali nel 1961 è la
terza città del Sud dopo Napoli e Palermo.
Messaggio
N°359 del 15-06-2007 - 11:25
Tags: Identità
Napoletanità
di Mario Carillo
Parlare di
lingua o dialetto napoletano in una sede come il Goethe, l’Istituto
di cultura tedesca della Riviera di Chiaja, lasciava perplessi
politici e cultori del nostro idioma intervenuti numerosi alla
tavola rotonda: Dibattito a più voci. Ragionamenti, dispute, curiosità,
sopra il parlare e scrivere in dialetto napoletano, organizzata
dall’Associazione Italiana Giovani Europa (Aige) e dal periodico
Questanapoli. All’interessante incontro, introdotti dal giornalista
Umberto Franzese, hanno preso parte l’avv. Renato de Falco napoletanista;
Gennaro Borrelli storico dell’arte; l’arch. Franco Lista, ispettore
ministero Pubblica Istruzione, Università e Ricerca; Runa Tonnies,
docente di lingua tedesca; Roberto Vigliotti, dialettologo; Adriana
Dragoni, storico dell’arte; Silvana Capuano scrittrice; Enzo Rivellino
e Antonio Scala, membri della commissione cultura della Regione
e Maurizio Ponticello scrittore. L’avvocato De Falco, autore di
molte pubblicazioni e amabile conversatore, riferendosi alla proposta
di legge, presentata dal consigliere Luigi Rispoli, approvata
all’unanimità dal consiglio Provinciale e ora all’esame della
Regione Campania, ha affermato “La tutela, la difesa e la rivalutazione
di quell’autentico patrimonio storico e culturale del nostro dialetto,
archivio vivente delle radici e del patrio costume della quasi
trimillenaria civiltà di quella Napoli di cui resta il più sacrale
emblema, è un principio irrinunciabile”. Gennaro Borrelli, a sua
volta è risalito alle nobili origini della parlata napoletana.
Interessanti le relazioni delle docenti, Adriana Dragoni e le
scoperte, arrivando a Napoli da Dusseldorf della professoressa
Runa Tonnies, componente il coro dei Cantori di Posillipo, la
quale ha detto che nell’Università di Heidelberg esiste un corso
di dialetto partenopeo. Gli scrittori non sono stati da meno,
citando Basile, Viviani, Capurro, Bovio, De Filippo, Troisi. Il
disegno di legge al centro della discussione, prevede in tredici
articoli: “La Regione al fine di salvaguardare ed incrementare
il patrimonio storico e culturale del proprio territorio, tutela,
valorizza e promuove la lingua napoletana sia nella sua espressione
orale sia nelle forme letterarie e di ogni altro tipo di espressione
artistica”. Istituisce un’Accademia, punto di riferimento per
la conservazione di elaborati, ricerca storica e linguistici,
percorsi formativi, preparazione di una grammatica e un vocabolario,
archivi sonori e videocinematografici”. “La lingua napoletana
– ha dichiarato Rispoli – è una grande opportunità ed un grande
patrimonio culturale che va salvaguardato, di là delle appartenenze
politiche. Nella Regione Lazio sono stati più tempestivi di noi,
approvando all’unanimità una legge per la tutela e la valorizzazione
dei dialetti laziali con particolare riferimento al romanesco”.
Altre Regioni, come quella siciliana, piemontese hanno richiesto
“Lo studio della lingua, della letteratura e della civiltà nelle
scuole regionali di ogni ordine e grado; introduzione del bilinguismo
nella legislazione, nel linguaggio della pubblica amministrazione
e nelle insegne rivolte al pubblico; istituzione di un servizio
radiotelevisivo regionale che dedichi un numero minimo di ore
di programmazione”. L’enclave di Greci, in provincia di Avellino
e in molti paesi del Molise e della Calabria, dove popolazioni
arbereshe, croati e albanesi, perseguitati dai turchi si rifugiarono,
conservano lingua, costumi e tradizioni. Gli onorevoli Rivellino,
Taglialatela e Scala di opposti schieramenti politici, si sono
impegnati a sollecitare alla Giunta Regionale l’approvazione della
legge. Un’indagine Istat, “I cittadini e il tempo libero”, rivela
che si parla sempre più l’italiano, dovuto anche al livello scolastico;
in famiglia, con amici e tra le nuove generazioni, però prevale
il dialetto.
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N°345 del 07-06-2007 - 19:03
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Identità
Uber
die neapolitanische Sprache
di Umberto Franzese
“Dalle imitazioni
delle vesti si passò a quella del costume e delle maniere, indi
all’imitazione delle lingue: si apprendeva il francese e l’inglese,
mentre era più vergognoso il non sapere l’italiano. L’imitazione
delle lingue portò seco finalmente quella delle opinioni. La mania
per le nazioni estere prima avvilisce, indi immiserisce, finalmente
ruina una nazione, spegnendo in lei ogni amore per le cose sue”.
Così il Cuoco in Saggio storico della rivoluzione di Napoli. Che
l’imitazione dei costumi abbia portato anche al decadere, all’immiserirsi
della lingua, è fuori dubbio. L’italiano regge a stento. E’ una
lingua “arrepezzata”, rattoppata, lacera, fatta a pezzi, sciapita.
Così “il giorno della famiglia” diventa family day; “interrogazione”
diventa question time; “intimità”, “privatezza”, privacy; “aumento”,
escalation; “RAI educativa”, RAI educational; “centro o punto
di chiamata”, call center. Un’invasione di forestierismi. Un’intrusione
di termini o modi dire di cui non riusciamo spesso a capire o
addirittura a tradurre nel corrispettivo italiano. E come sia
raffazzonato il linguaggio comune, basta l’esempio deleterio dei
cosiddetti “messaggini” che scorrono in sottobanda nel corso di
trasmissioni televisive. Uno scempio! Molti si vergognano di esprimersi
in dialetto e non di usare termini stranieri o di maltrattare
la propria lingua. E’ per questo che tessiamo l’elogio del napoletano.
Non “lingua di comicità, di sguaiatezza e di versiciattoli per
canzonette”. Non “basso napoletano, dialetto da riso e da oscenità,
di lazzari e di facchini”. Invece lingua di nobili origini greco-latine.
Ultimo baluardo di classi culturalmente e socialmente evolute
che conservano il vezzo di mescolare parole dialettali in purissimi
discorsi in lingua. Conservando, proteggendo il napoletano, ovvero
la lingua dei padri, intendiamo salvaguardare la nostra identità,
preservare, rivalutare il nostro patrimonio culturale. Parafrasando
in parte Libero Bovio, ci va di affermare con lui: Il Napoletano
è eterno: Gesù parlava in dialetto; San Gennaro predicava in dialetto;
Dante scriveva in dialetto; noi torniamo a esprimerci in puro
dialetto. E torniamo a riaffermare il nostro credo, la nostra
fede. Questa volta riproponendo, in un dibattito a più voci al
Goethe Institut, martedì 12 giugno, “Uber die neapolitanische
Sprache”. Il perché di questa scelta a cui partecipano studiosi,
specialisti, ricercatori come: Gennaro Borrelli, Silvana Capuano,
Renato De Falco, Ettore Forestiere, Franco Lista, Maurizio Ponticello,
Runa Toennies, Roberto Vigliotti, è presto detto. Negli studi
sui dialetti meridionali e in particolare su quello napoletano,
spiccano i nomi di Gerard Rohlfs, Leo Spitzer, Adolf Gaspary,
Nacht, Subak, Wagner. Rohlfs, glottologo e filologo, pubblicò,
tra l’altro, un “Dizionario dialettale delle tre Calabrie”; Adolf
Gaspary uno studio sui dialetti napoletani (Das Studium des neapolitanischen
Dialektes); Nacht “Das neapolitanische dialekt Theoretish und
pratisch erlautert; Subak Die, Koniugation im neapolitanischen“.
Saltando ai giorni nostri non scema l’interesse per il napoletano
da parte di studiosi tedeschi. Un progetto per un “Atlante linguistico
della Campania” guidato dal prof. Radtke del Romanisches Seminar
dell ‘Università di Heidelberg, indaga la molteplicità delle varietà
del napoletano con una ricerca sul campo condotta dalla dottoressa
Ada Plazzo nella Scuola Media Giovanni Pascoli di Napoli diretta
dalla prof. Teresa Incarnato. Molto approfonditi sono da parte
di ricercatori tedeschi gli studi che riguardano la tradizione
presepistica napoletana della quale si è occupato il prof. Borrelli,
le cui opere sono state tradotte anche in Germania. Runa Toennies,
docente di lingua tedesca presso il Goethe Institut di Napoli,
innamoratissima delle melodie napoletane, appaga questa sua intensa
passione nei Cantori di Posillipo. Questi sono motivi più che
sufficienti per aver voluto il Cons. Luigi Rispoli scegliere,
con i suoi attenti collaboratori, il Goethe Instut come sede ideale
per riproporre ai napoletani amanti di sogni inimmaginabili, il
nostro inimitabile patrimonio linguistico.
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N°342 del 04-06-2007 - 10:34
Tags: Identità
Quando
Napoli non era capitale della monnezza
di Pompeo De Chiara - Ass. Culturale Borbonica "Terra di Lavoro"
E’ con orgoglio
e soddisfazione che annuncio la prossima pubblicazione del lavoro
del dr. Iesu, al quale abbiamo collaborato, tramite l’umile e
limitato apporto dello scrivente, sulla “ISTRUZIONE E SALUTE PUBBLICA
IN PROVINCIA DI TERRA DI LAVORO DAL REGNO DI NAPOLI DEI BORBONE
AL REGNO D’ITALIA” edito dalla EDITORE LAVIERI. Il dr.Iesu, ex
Provveditore agli Studi di Caserta nonché dirigente del Ministero
della Pubblica Istruzione in pensione è rimasto particolarmente
colpito per la copiosa e significativa attività che i sovrani
napoletani fecero nell’ambito dell’Istruzione popolare e della
salute pubblica arrivando a livelli di eccellenza superiori e
precedenti a quelli delle grandi Monarchie Europee dell’epoca.
Il suo studio e la particolare meticolosità nella ricerca delle
fonti storiche smentiscono una storiografia di massa che dipinge
l’ex Casa Reale di Borbone Due Sicilie come governo inetto ed
incapace di capire le esigenze del popolo. Il testo può essere
richiesto direttamente alla casa editrice info@lavieri.it . L’autore
si rende anche disponibile per conferenze sull’argomento. A lui,
un anticipato ringraziamento per aver contribuito a ricostruire
la nostra memoria storica evidenziandone gli aspetti concreti
relativi ad una grande Civiltà. Crediamo che il recupero della
dignità del Sud Italia per un riscatto sociale e culturale passi
necessariamente attraverso la ripresa delle nostre radici storiche
e con il recupero di una dinastia, quale quella Borbonica, la
cui denigrazione doveva essere indispensabilmente lo strumento
simulatore per la conquista e la colonizzazione della nostra amatissima
Terra. Lo scempio e la devastazione territoriale cui stiamo continuando
ad assistere in questi tragici giorni a Serre, ad Acerra e allo
Uttaro in Caserta, la definitiva scomparsa del Banco di Napoli,
ex Banco delle Due Sicilie (primo Banco d’Italia), il tentativo
di distruggere la produzione e l’immagine della Mozzarella, sono
ancora, purtroppo, alcuni dei segni di tale colonizzazione. Sono
sempre più convinto che il giorno in cui abbatteremo le effigi
reali e virtuali dei vari Garibaldi, Vittorio Emanuele o Cavour
che imbrattano le piazze del Sud Italia, inizierà la vera rinascita
culturale e sociale del Mezzogiorno d’Italia. Ed è per tutto ciò
che l’invito all’acquisto di tale testo risulta essere un importante
contributo alla dignità della nostra MEMORIA senza la quale difficilmente
ci sarà capacità e sensibilità PROGETTUALE. pompeodechiara@virgilio.it
Era il 1984,
ero appena arrivato a Roma dalla mia terra, la Basilicata, quando
scoprii la vita di Giovanni Passannante, un mio corregionale che
nel 1878 attentò alla vita del re Umberto I di Savoia e che per
quest’atto “dimostrativo”, visto che aveva in mano un coltellino
con una lama di quattro dita non adatto ad uccidere un uomo, era
stato punito con atroci torture che lo portarono, dopo più di
dieci anni di isolamento in una cella sotto il livello del mare
sull’isola d’Elba, a mangiare le sue stesse feci. A Roma arrivai
con la Maturità classica, avevo ancora nella testa i versi dell’Antigone
di Sofocle, memorizzati a fatica e portati all’esame e mi misi
a frequentare l’Università e avevo grandi difficoltà di inserimento:
non conoscevo nessuno, pochissimi soldi in tasca che mi passavano
i miei genitori per farmi “costruire un avvenire” e vivevo in
una camera presa in affitto allo Scalo San Lorenzo, al secondo
piano, la cui finestra si affacciava sulla tangenziale est, a
cinque metri dalle macchine che non mi permettevano di dormire
quasi mai. Per risparmiare 50.000 lire al mese, in aggiunta, dovevo
“accudire” circa trecento canarini del proprietario dell’appartamento,
tenerli puliti e farli mangiare e bere. Mi ritrovai nel Museo
del Crimine in via del Gonfalone per puro caso. Mi ero mezzo fidanzato,
in effetti mi illudevo di essermi fidanzato in realtà la corteggiavo
e basta, con una ragazza che abitava nei pressi di Campo dei Fiori,
vicino al museo, e lei faceva sempre ritardo negli appuntamenti.
In realtà non era molto interessata a me e allora ero costretto
ad aspettarla vagando intorno casa sua. I bar erano cari e non
me li potevo permettere e un giorno che pioveva e lei era come
sempre in ritardo, per ripararmi, entrai nel museo. In un corridoio
scoprii la bacheca con un cranio e un cervello, su un fogliettino
c’era scritto: Giovanni Passannante, nato a Salvia (PZ) il 19
febbraio 1849. Mi impressionò e mi fece rabbia quel (PZ) tra parentesi:
Potenza. La mia stessa provincia. “Perché è qui in esposizione,
non ha parenti che se lo vengono a riprendere?”, pensai e mi vennero
in mente i versi di Antigone che avevo dovuto studiare a forza
ma che ora diventavano attuali e utili: “La giustizia che riposa
tra i morti non ha stabilito di lasciare insepolto un uomo, un
figlio di mia madre, un fratello. Io lo seppellirò, e morirò,
ma per me la morte sarà una cosa bella non una sofferenza.” Sempre
più spesso andavo a visitare Giovanni e così partì la mia battaglia:
seppellire Giovanni nel suo paese. Una battaglia che cominciai
subito a portare avanti con rabbia anche perché avevo involontariamente
e ingiustamente associato la triste vita di Giovanni, esposto
in una terra che non gli apparteneva, nel Museo del Crimine, nell’indifferenza
generale, alla mia stessa vita, che in quel momento sentivo assai
infelice, la vita di un giovane meridionale emigrato a Roma per
“formarsi” ma che si sente un “trapiantato” e gli manca il suo
paese, gli amici, la campagna, la famiglia e i suoi due cani.
La lotta per seppellire Giovanni, per dargli dignità, nasceva
dal grido di un’ingiustizia che sentivo nelle mie stesse ossa:
un Sud umiliato e offeso in passato, un ragazzo di oggi che deve
lasciare le cose più belle che ha per “formarsi” altrove. L’ingiustizia
dell’idea che per “formarsi” bisognava in parte “sformarsi”. Sono
passati 23 anni da quella mattina nel museo. Mi sono “formato”
cercando di non “sformarmi” troppo, cercando di conservare la
memoria delle mie cose. Da questo punto di vista la scelta di
fare l’attore narrando ciò che mi circonda mi ha aiutato molto.
Negli anni ho costruito uno spettacolo che racconta la vita di
Giovanni, l’ingiustizia di tenere i suoi resti esposti in un museo
e la ferma volontà di restituirgli la dignità della sepoltura,
cosa condivisa da circa 5 mila firmatari dell’appello sul mio
sito internet. Quella ragazza che corteggiavo l’ho persa di vista,
quando passo sulla tangenziale est guardo sempre quella finestra
che è rimasta uguale, non hanno neppure cambiato le tapparelle.
I miei due cani sono morti, e li ho seppelliti io stesso nell’orto
sotto casa al paese. Ma la cosa bella è che oggi mi sento un po’
come Antigone: ho seppellito, con l’aiuto di tanti amici, Giovanni
al suo paese. Certamente è stata una sepoltura di cui molti si
sono vergognati e l’hanno voluta tenere “segreta” e questo ci
ha negato la felicità di accompagnarlo al cimitero, ma bisogna
perdonare, la cosa importante è che Giovanni non stia più in bacheca
ad essere deriso e ad interpretare il ruolo del criminale senza
aver ucciso nessuno. Il 2 giugno vi aspetto a Savoia di Lucania
dove stiamo organizzando una festa in suo onore con ospiti e amici.
Partiranno autobus da Roma, Napoli, Matera, Potenza, per informazioni
chiamate Clotilde Recchia a questo numero: 338.3833.791. Siamo
in attesa di ricevere da parte del sindaco di Savoia di Lucania
l’autorizzazione ad occupare il suolo pubblico.
Ulderico Pesce
Inviato
da Anonimo
il 19/05/07 @ 12:57
se volete fare ancora qualcosa di più importante
per Passannante, cambiate il nome al paese perchè continua ad
essere un insulto a Passannante.
Lello
_________________________________________
Messaggio
N°317 15-05-2007 - 22:46
Tags: Identità
Lazzaroni.
Napoli sono anche loro.
I lazzaroni
sono i delinquenti, i disgraziati, i mascalzoni, i farabutti,
le canaglie, i furfanti, i manigoldi, i lestofanti, i gaglioffi,
i filibustieri; ma, anche, gli usurai, gli scippatori, i rapinatori,
i borseggiatori, i contrabbandieri, i taccheggiatori, i falsari,
i ladri d'auto, i topi d'appartamento, i "paccottisti", i tangentisti,
i truffatori e, infine, i peggiori di tutti, i camorristi Sono
trent'anni che Lamberti dice e scrive che per liberare Napoli
dai lazzaroni non bastano, anche se sono necessari, poliziotti,
carabinieri e magistrati. C'è bisogno di politiche di inclusione,
seriamente intese, ben diverse dalle operazioni di assistenza
o, peggio, di ammortizzazione sociale, magari a favore dei più
violenti e facinorosi. Per trovare soluzioni adeguate, bisogna
partire dal dato, irremovibile con artifici dialettici, di una
spaccatura e di una separazione profonda nella popolazione napoletana
tra chi è dentro e chi è fuori dalla società moderna e civile.
Perché il problema di Napoli è quello di portare dentro la modernità
tutti coloro che stanno fuori per una sorta di condanna che i
responsabili continuano a negare, mentre continuano a comminarla.
Per aprire un dibattito costruttivo, l'autore ha raccolto alcuni
dei tanti interventi su quotidiani e riviste, o in occasione di
dibattiti e convegni, fatti nel corso degli ultimi anni, sulla
Napoli dei lazzaroni. Amato Lamberti è docente di Sociologia della
devianza e della criminalità, presso la Facoltà di Sociologia
dell'Università "Federico II" di Napoli. Ha fondato e diretto
l'Osservatorio sulla Camorra della Fondazione Colasanto. È stato
Assessore alla Normalità del Comune di Napoli, dal 1993 al 1995,
e Presidente della Provincia di Napoli, dal 1995 al 2004. Giornalista
pubblicista, è autore di libri, ricerche, studi, saggi su fenomeni
di devianza e, in particolare, sulla camorra.
Messaggio
N°276 del 23-04-2007 - 11:05
Tags: Identità
Qualcuno
la chiama MOBILITA'
di Emanuela Rullo, giovane emigrante dell'ultima generazione.
Lontano,
ove il tempo tesse cinico la sua tela; lontano, estirpati dal proprio
sistema sociale; lontano da casa, dagli affetti, dalla propria vita;
lontano per un lavoro, per la possibilità di costruirsi un futuro -
ma un futuro in bianco e nero - senza i colori del proprio mondo. Lontano,
senza avere scelto, privati della possibilità di vivere in maniera completa
la propria esistenza. Il fenomeno dell’emigrazione giovanile meridionale,
un’emigrazione interna, silenziosa, continua ed ignorata, che ogni giorno
trasferisce, dal sud al nord del paese, capitale umano e forza lavoro,
alimenta il progressivo impoverimento del Mezzogiorno d’Italia esautorando
lo stesso oltre che della possibilità di migliorare la propria condizione
economica, della forza di combattere sentimenti come la rassegnazione
e l’assuefazione allo stato attuale delle cose, sentimenti che sempre
più costituiscono una seria minaccia alla sopravvivenza stessa del suo
sistema sociale. Non sarà, difatti, il perpetrarsi di uno stato di arretratezza
economica né il gozzovigliare di malavita organizzata, né la perdurante
assenza dello stato e dei suoi rappresentanti a svilire e progressivamente
ad uccidere la mia Terra, bensì la morte della speranza, la rassegnazione,
l’assuefazione, il suo popolo che si arrende e progressivamente muore.
Essere emigrante vuol dire vivere in un luogo che non è la propria Terra,
tra strade e volti che per te non significano nulla, solo e smarrito
nei vicoli di un’esistenza che diventa lento scorrere di ore e di giorni,
spesso in attesa del ritorno a casa. Alcuni certo obietteranno come
non sia corretto definire emigrazione il trasferimento per motivi di
lavoro di un giovane meridionale nell’altra terra di lavoro, purtuttavia
Io, Emanuela Rullo, nata ad Avellino il 10 ottobre del 1977 non sono
altro che un "emigrante", e lo sono perché per ragioni estranee alla
mia volontà ho trasferito la mia dimora in un luogo che non è la mia
casa, che questo luogo sia a trecento, milleduecento o a svariate migliaia
di chilometri di distanza, poco importa. Nel settembre 2003, a poco
più di un mese dalla mia laurea in economia, ho abbandonato la mia Terra
per entrare a far parte di quello che io definisco “Il popolo degli
emigranti”. E come me, infatti, gran parte dei miei parenti e amici
e conoscenti sono a tutt’oggi emigranti, ed in quanto tali ignari protagonisti
di una piccola fetta di storia, che nessuno ritiene necessario raccontare.
Ed è proprio per dare voce al loro ed al
mio dolore, e insieme alla nostra indignazione e al nostro rimpianto,
che nasce questa mia testimonianza, "...il mio bisogno di urlare al
mondo che Io esisto e che esiste un fenomeno ovvero quello dell'emigrazione
giovanile meridionale di cui nessuno parla, che nessuno denuncia come
fosse nel corso normale delle cose, e che invece è ormai una valvola
di sfogo fuori controllo che svilisce la mia Terra e incatena il futuro
del mio popolo", parole che andrebbero scolpite nella roccia, tanto
è amaro il ripetersi di qualuque voce ufficiale del potere, delle istituzioni,
che afferma che l'emigrazione giovanile non esiste, che l'emigrazione
è finita, che al limite si tratta di mobilità, e tu non sai che fare,
sebbene sia talmente evidente che non è così (Alessio da Bruxelles).
Ad ogni individuo dovrebbe essere riconosciuto il diritto di vivere
la propria esistenza nel luogo ove più desidera ed essere privato di
questa possibilità rappresenta una sorta di minaccia all’esistenza stessa
dell’individuo (Luisa da Latina). Spesso, infatti, non ci si adatta
mai alla nuova terra in cui
ti è toccato emigrare e inoltre al ritorno a casa sei uno straniero
in Patria, uno "che ha fatto la cosa giusta..." (dicono), uno che cammina
nella SUA città come uno stonato ricordando cose, persone e luoghi che
ormai esistono solo nella sua memoria. Uno che si incazza quando si
sente dire "che è stato furbo", perché "ccà nun se pò campa’, ‘a fatica
nun ce stà, ci arrangiamo come possiamo, ma tu no,’n 'copp fai ‘o signore..."...
(salvatore di aversa) “perché è vero può essere doloroso affacciarsi
alla finestra la mattina e vedere una città che non si sente propria...
ma per una persona che è rimasta giù ve ne sono di molto più dolorose,
perché Noi al sud sembra che ce la mettiamo tutta per non cambiare le
cose, sembra che ce la mettiamo tutta affinché i nostri giovani continuino
ad emigrare. Ce la mettiamo tutta affinché chi ha voglia di lottare
si divida e non si unisca. E voi? ed i vostri figli? Bè, voi continuerete,
in questo modo, a restare dove siete e noi continueremo a lottare....
inutilmente.” (antonio da napoli). Così accade che chi è emigrato e
chi non s’invidia vicendevolmente poiché ognuno vede nella disponibilità
dell’altro ciò cui ha rinunciato ed entrambi portano il peso di un’esistenza
colma di rimpianto. A tutti loro, a chi è rimasto, a chi ha dato tutto,
a chi ha preso troppi calci, a chi è andato troppo lontano e per troppo
tempo e casa è meglio che se la dimentica perché non c’è più nessuno,
ecco io dedico la mia testimonianza e la mia rabbia nella speranza che
questa voce possa trovare finalmente ascolto e tutto questo dolore,
finalmente, comprensione e rispetto, e tutto ciò nella speranza di trovare
loro un condotto e veicolarli in primo luogo al mio popolo, perché possa
ritrovare la forza di combattere, e in secondo luogo all’Italia, quest’Italia
di brevi orizzonti, che sembra non comprendere che il conflitto tra
Nord e Centro-Sud non esprime altro che la stupidità e la cecità di
un popolo che non valorizza le proprie risorse e che non riconosce se
stesso come appartenete ad un unico sistema chiamato a perseguire il
medesimo fine e a condividere la medesima sorte.
(E.R. www.iocolibri.it)
Inviato
da vocedimegaride
il 23/04/07 @ 11:36
Dedicato ad Emanuela ed a tutti i giovani
da lei citati, che si ritrovano "bastardi" e privi di identità,
soprattutto quando ritornano sporadicamente a CASA con tanta emozione
cui segue una più forte umiliazione e mortificazione, questo brano
di repertorio, da chi è "emigrato" molto tempo prima. http://www.vocedimegaride.it/html/Articoli/tornareeritornare.htm
________________________________________
Inviato da Anonimo
il 23/04/07 @ 14:20
Per come funzionano le cose in questo schifoso
Paese, i giovani meridionali dovrebbero andare in Albania, Libia
o Tunisia, distruggere i propri documenti, fingere d'essere sordomuti
o di parlare un dialetto incomprensibile, trasbordare su gommoni
e barconi sulle coste del Sud Italia, farsi i due mesi di coatta
restrizione in un centro immigrati clandestini, poi chiedere asilo
politico nei comuni di provenienza e così accedere agli oboli,
alla sanità, alle case popolari e...magari..anche ad un lavoro,
come tutti gli extra-comunitari.
Lello
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Messaggio
N°240 del 04-04-2007 - 18:19
Tags: Identità
Attualità Cristiana
di Nunziante Minichiello
I politici,
i grandi, i potenti della Terra cammineranno davanti ai loro Popoli,
di cui saranno i primi a sopportare i sacrifici e gli ultimi a
godere i benefici.
Diceva Gesù:
“non si può servire a Dio ed a satana” oppure: “un regno diviso
in sé è destinato alla rovina”. Di conseguenza, lo stato e le
istituzioni non sono efficienti quando quelli che li rappresentano
devono servire grande sciagura per un popolo essere governato
da governanti governati. stato ed istituzioni ed obbedire a forze
a questi avversarie, ovvero: La divina saggezza diventa pratico
e chiarissimo concetto politico: assumere degli impegni, suggeriti
da valori e da esigenze, farne dei progetti, impegnare tutte le
proprie energie alla loro realizzazione, sempre ricordando di
essere creature umane, tutte fratelli e sorelle, di pari importanza
e di pari diritti. Concetto di servizio che Gesù spiegò in modo
che capissero i più semplici ed i più umili e significasse programma
per i potenti. “Io sono uno che serve”. Non lo disse solamente,
ma lo dimostrò, nella forma più pratica, lavando i piedi a tutti
gli Apostoli, ossia facendo la cosa più umile per gli uomini,
i quali, nonostante quell’insegnamento, ancora dividono terrenamente
le attività in arti nobili e mestieri ignobili, ignorando che
qualsiasi attività è vita e manifestazione di vita. Esempio simbolico
quanto si vuole ma di eccezionale efficacia, quello di Cristo.
La novità cristiana consiste nel prescrivere di giovare, ovunque
e comunque, di migliorare, di elevare, di volere il bene dell’altro.
Resta il messaggio cristiano, che agita il mondo da due millenni
e più, a ricordare che il predominio è effimero perché crea differenze,
contrasti e guerre e che il servizio armonizza, appiana differenze,
concilia interessi, compone divergenze, insomma semina parità,
giustizia e legalità e raccoglie concordia e pace. Quando i politici,
i grandi, i potenti della Terra intenderanno e vorranno praticare
il messaggio cristiano sacrifici e gli ultimi a godere i benefici.
Proprio come insegnò Gesù: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo
di tutti e il servo di tutti”. Gesù continua ad avere seguito,
ma più teoricamente che concretamente. Il pensiero cristiano pur
essendo eccelso è ben riferito al mondo reale, di cui Gesù conosceva
le scie di sangue, le violenze, le ingiustizie a volte, ma non
sempre, nascoste dai bagliori dell’oro, dallo sfavillio dei diamanti
e dallo sfarzo della ricchezza. cammineranno davanti ai loro popoli,
di cui saranno i primi a sopportare i Certo è che alla concretezza
latina Gesù diede quella spiritualità che le mancava. Il lungo
elenco di martiri testimonia che quella spiritualità era attesa
e perciò fu apprezzata ed amata al di sopra di ogni cosa, anche
della vita, soprattutto della bella ed agiata vita. La buona novella
di Gesù, pur essendo praticabile, fu bollata però come favola,
come utopia, come religione di sognatori e comunque lontana dalla
realtà, pur essendo di una saggezza politica che solo il genio
latino poteva apprezzare. Il genio latino ha lasciato una eredità
di cui l’umanità ha bisogno, come da secoli si va dicendo, e Gesù
ha lasciato al mondo un messaggio, la cui divinità sta proprio
nella sua estrema semplicità e chiarezza e che gli uomini di buona
volontà possono realizzare. Abbattere gli steccati che l’egoismo
erige è lavoro impossibile, almeno finora, della umanità, che,
se non sempre riesce a rispettare le sue leggi, tanto meno può
recepire la spiritualità cristiana. Questa umanità pur ammirando
ed apprezzando la saggezza latina e la divinità cristiana ha sistemato
nella storia quella saggezza ed affidato alla speranza quella
divinità, cioè questa umanità rischia d’aver distrutto per sempre
la pratica e la teoria della pace universale. Infatti sono molti
gli storici che approfondiscono la lezione romana, ma pochi non
addetti ai lavori sono disponibili a leggere la storia di Roma
ed a conoscerne la lezione, a capirla ed a ritenerla eredità ancora
valida per una umanità che voglia ritenersi civile, come , pur
affascinando, forse anche perché di sicuro successo, scrittori,
letterati, storici, cinematografari ed altri ancora, la favola
cristiana è poco letta ed approfondita nei vangeli. Così la superba
razza umana che insegue ogni genere di grandezza finisce per attaccarsi
a grandezze transitorie e tanto lontane dalla grandezza della
pace universale, cui, si può ben dire, posero chiare ed eterne
fondamenta e terra, Roma, e cielo, Cristo: Roma suggerì saggezza
e giustizia terrena, che ogni civis deve praticare per sé e per
gli altri, e Cristo, vi aggiunse l’amore che dovrebbe tenere uniti
ed in pace gli uomini:ancora del genio latino la coincidenza di
diritto e morale, uguali per tutti gli esseri umani, pareggiati
tutti dalla stessa qualifica civis e distinti solo temporaneamente
dalle qualifiche e dalle funzioni di breve durata perché possibili
a tutti a rotazione e,comunque, qualifiche e funzioni, da non
ritenere mai fonti di arricchimenti personali, motivo di prestigio
ed occasioni di appannaggi particolari, perché in contrasto con
la morale, con la parità civile e soprattutto con la lex, unica
autorità quest’ultima sempre pronta ad intervenire per ristabilire
qualsiasi equilibrio alterato. www.minichiello.it
di Nunziante Minichiello
Inviato
da Anonimo
il 05/04/07 @ 12:18
La lettura dei brani di Nunziante Minichiello
è capace di scoprire oasi di pace.
Grazie! Claudia
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Messaggio
N°239 del 03-04-2007 - 20:56
Tags: Identità
Un' ALTRA STORIA
da Ass. Culturale Borbonica Terra di Lavoro - Caserta
L’associazione
culturale casertana Borbonica di Terra di Lavoro, presieduta dal
dr.Pompeo De Chiara, ha compiuto un altro passo importante per
la divulgazione di un’ “ALTRA STORIA” ovvero per la rivisitazione
dell’epopea risorgimentale scritta, questa volta, non dai vincitori
bensì dai vinti. Sabato 31 marzo u.s., presso l’Istituto Tecnico
Industriale “F. Giordani” di Caserta, al cospetto di una numerosa
scolaresca, il nostro responsabile ha rappresentato le ragioni
dei vinti con una didattica espositiva che ha catturato l’attenzione
dei ragazzi: si è partiti dalla proiezione del bellissimo cortometraggio
“Napoli Capitale” di Mauro Caiano e Marina Salvadore e si è poi
passati alla visione, tramite tecniche multimediali, delle ragioni
storiche, culturali ed economiche, che portarono il Sud Italia
ad una massiccia insorgenza contro quella che fu ritenuta, e non
a torto, una vera e propria invasione e colonizzazione piemontese
(furono impiegati circa 120.000 soldati del regno sabaudo) con
il pretesto di unire l’Italia e, soprattutto, di sconfiggere dei
malviventi briganti. Si sa, ormai, che ci furono molte influenze
legittimiste in quelle insorgenze popolari con la presenza di
personaggi fedeli non solo alla casata Borbone Due Sicilie ( Borjes,
De Christen, Crocco…), defenestrata da un Regno con un’omogeneità
culturale quasi millenaria, ma fedeli ad un' idea cattolica che
doveva quanto meno illuminare il cammino dei regnanti dell’epoca.
Contro il nostro Stato cattolico duosiciliano, tra i più importanti
dell’Europa dell’800, lottarono per diverse ragioni la Massoneria
inglese e quella italiana a cui apparteneva gran parte dello establishment
piemontese, Garibaldi in testa. E che quest’ultimo fosse Massone,
ormai, è provato anche dai suoi stessi adulatori. Definì il Papa
Pio IX “un metro cubo di letame”... Giuseppe Garibaldi, (1807
– 1882) fu iniziato Massone, in Montevideo, nell'agosto del 1844,
nella Loggia "Les Amis de la Patrie" dipendente della Gran Loggia
della Francia, come da documenti che conserva la Gran Loggia della
Massoneria dell'Uruguay nel suo Archivio Storico (www.masoneria-uruguay.org/garibaldi.htm)
In Italia si è organizzato, addirittura, un concorso “scolastico”
indetto dalla Massoneria di Palazzo Vitelleschi (Gran Loggia d'Italia
- Massoneria universale di rito scozzese) sulla figura dell’eroe
dei due mondi che culminerà con una premiazione a Genova il 28
aprile prossimo. www.brigantaggio.net/brigantaggio/Personaggi/Garibaldi06.htm
). Per una più recente biografia di Garibaldi vedasi: Luciano
Salera: Garibaldi, Fauché e i Predatori del Regno del Sud – La
vera storia dei piroscafi Piemonte e Lombardo nella spedizione
dei Mille, Controcorrente edizioni, Napoli 2006, pp. 542 - “Gennaro
De Crescenzo: Contro Garibaldi – Appunti per demolire il mito
di un nemico del sud, Editoriale il giglio, Napoli 2006, pp. 103
- Gilberto Oneto: L’iperitaliano, Eroe o cialtrone? Biografia
senza censure di Giuseppe Garibaldi, il Cerchio, Rimini 2006,
pp. 324). «Primo Massone d‘Italia» (grado 33 ad personam per i
grandi servigi resi a calderai, a carbonari e settarii simili,
in sintesi alla Massoneria ( La Massoneria è antitetica alla dottrina
clericale non solo perché ha sempre tramato contro ma fin dai
primi documenti pontifici in materia, ed in particolare nella
Enciclica «Humanum Genus» di Leone XIII (20 aprile 1884), il Magistero
della Chiesa ha denunciato nella Massoneria idee filosofiche e
concezioni morali opposte alla dottrina cattolica: «Ricordiamoci
che il cristianesimo e la massoneria sono essenzialmente inconciliabili,
così che iscriversi all’una significa separarsi dall’altra». Purtroppo
sono state organizzate varie manifestazioni scolastiche, pagate
con denaro pubblico, per “celebrare” la nascita di questo presunto
eroe ma, fortunatamente, ci sono in atto altre manifestazioni,
come la nostra (disponibile gratuitamente per le istituzioni scolastiche
che la richiedano), che tendono a ripristinare una verità propagandata
sempre incompletamente. Tornando alla manifestazione scolastica
presso l’ ITIS “F. Giordani” di Caserta si può dire con soddisfazione
che, grazie anche all’ausilio della prof. Silvana Virgilio ed
al prof. Lorenzo De Simone, si sia potuta svolgere una “Contro
Storia” al fine ultimo di dare ai discenti uno strumento aggiuntivo
per una “autonoma e completa critica” di quella tragica epopea.
Ha chiuso in bellezza, l’intervento dell’attento studioso dirigente
scolastico dr. Villari Francesco che ha invitato nuovamente il
dr. De Chiara per completare un confronto obiettivo con gli studenti
su quegli argomenti risorgimentali oggetto sempre di vivaci discussioni
ma necessario per la Conoscenza in genere e per quella della Storia
in particolare.
Mario Mezzo segretario dell’Associazione Culturale Borbonica di
Terra di Lavoro – Caserta www.associazioneborbonicaterradilavoro.eu/index.html
Messaggio
N°212 del 18-03-2007 - 11:18
Tags: Identità
W
IL BACCALA'
Storie di ordinaria identità
di Nando Dicé
Antefatto. A Napoli è una “tradizione”, il “pane” dei poveri, l’onnipresente
pietanza, cucinata in ogni modo e maniera. Ed era lì, onnipresente,
mentre si parlava sia dei “massimi sistemi” sia della Juve in
serie B. Era lì a quel tavolo, proprio al centro. Come erano belli
quei discorsi sulle tradizioni dei popoli, sulle loro storie,
e si, sempre più nei particolari; perché la mucca è un’animale
sacro?, da dove nasce il Gange nelle tradizioni indù? Perché i
soliti alcuni non mangiano il maiale? Come si chiama quel tipo
di cucina religiosa dove se uno è di un’altra religione non può
toccarti le pentole...? Cibo e tradizioni, ma una domanda rompe
il tono “intellettuale”, una domanda. E per noi? Cos’è questo
cibo per noi? Per esempio questo vino che storia ha? E questo
piatto di baccalà che significa per noi? Da dove viene…..? Già,
da dove viene il baccalà a Napoli? Che significa? Perché lo stok-fish
(lo stocca fisso) non si pesca nel mediterraneo!? No, non è un
pesce dei nostri mari! No, è un pesce dei mari del nord. Del profondo
nord. La cronaca storica. La storia del nostro baccalà non nasce
nel mare, ma su un'isola; un’isola che nacque dal nulla. Era,
secondo ogni diritto che regola il mare, un’isola nostra, non
dei mari del nord, ma del mare nostro, di noi napulitani, ma l’Inghilterra
la volle; noi resistemmo, combattemmo, perdemmo ma non morimmo
e l’Inghilterra per punirci, sentite che novità, ci fece l’embargo
economico, un bell'embargo in nome della loro libertà ad avere
i nostri Zolfi. Si, proprio come quelli che fece durante il fascismo,
proprio come quelli fatti a Cuba, in Afganistan, in Libia, in
Siria, a Santo Domingo... in Iraq ed in Iran, “tali e quali”.
Noi, resistemmo e grazie al baccalà, che era li sul quel tavolo,
non morimmo subito, avemmo ancora il tempo, di fare almeno tre
cose: la Napoli Portici, alla faccia delle industrie di tutto
il continente, che la storia dei vincitori dirà essere migliori
delle nostre; vedere quell’isola che dal nulla era venuta, come
una beffa, nel nulla andare via; sapere che il nome dell’ultimo
assassino, forse inconsapevole, della nostra libertà si chiamava
Giuseppe Maria, nato più o meno in Italia, e che se non avessero
inventato il nazionalismo, forse di Marsala si sarebbe solo ubriacato
su una nave corsara. Questo lo sapemmo, visto che non c’erano
ancora i cecchini dell’ “anonima omicidi” addetti al Killeraggio
Economico + echelon , internet , la borsa di Tokio e via cantando.
Maledetto progresso dei mezzi, sempre sproporzionato rispetto
al progresso degli uomini.
Il fatto.
Vero, l’embargo c’era, ma
la globalizzazione ancora non c’era stata, anzi era appena
appena
nata quindi non tutto il mondo viveva secondo uniche regole economiche,
non tutto il mondo la pensava alla stessa maniera, non tutte le
polpette schiacciate “sapevano 'e cartone”, ancora mezzo mondo
non era stato svegliato dalle sirene antiaeree o dal Napalm, e Maradona non era ancora meglio 'e Pelè. Lo scontro era fra un
sistema economico, dove più o meno l’economia era al servizio
dei popoli ed un altro sistema economico, dove più o meno i popoli
erano al servizio dell’economia. Dal punto di vista economico
si partiva ad armi pari. La forza fece la differenza, la forza
delle armi e degli equilibri geopolitici internazionali in aggiunta
al fatto che i Borbone non si erano rincoglioniti del tutto con
la droga massonica, non tutti i tele-parlanti erano nelle nostre
case e non tutti scioperavano con la fame, per la fame nel mondo.
Resistemmo perché avemmo la forza, la forza di produrre a modo
nostro, di vendere a modo nostro, di essere a modo nostro. Avemmo
la forza di sostenere il nostro modello economico e con un’arma
potentissima e segreta vincemmo: la seta, qualità made in Sant
Leucio, da non confondere con il made in Forcella del 1945, tutta
un’altra storia.. Producemmo sete talmente belle e ricercate,
che il loro sistema fece breccia, si aprì. Come quella di Porta
Pia, si apri dall’interno. Vendemmo le sete alla Norvegia, la
Norvegia le vendeva agli inglesi e alcuni inglesi lavorando per
se stessi lavoravano per noi. Più o meno come fece il re d’Italia
durante la 2° guerra mondiale, che finanziava l’industria bellica
inglese detenendo azioni anche durante la guerra. O come fece
il Camillo Benz (si come la Mercedes) ragionier Cavour. Durante
il cosiddetto risorgimento. Contro noi meridionali, sicuramente,
ma anche contro i suoi poverissimi con-polentoni. I banchieri
si sa, non hanno patria. Ma a noi la Norvegia cosa dava? La Norvegia
era povera, molto povera rispetto a noi, non poteva certo darci
la Luna! Non c’era ancora neppure Hollywood. Certo se al posto
dei Borbone ci fossero stati i socialisti o Berlusconi, a noi
Napulitani, non sarebbe comunque arrivato nulla, ma visto che
c’erano altri al potere, e che a quei tempi esistevano dei politici
che ancora non era divenuti i “camerieri dei banchieri”, ed alcuni
addirittura, credevano ancora nel senso del dovere e dello stato;
allo stato arrivò l’oro, alle industrie il legno pregiato e, udite
udite, a tutto il popolo il Baccalà. Il pane dei poveri, dirà
qualcuno, ma del “pane” non “un milione di posti di lavoro”. Parole
come quelle con cui dovevano “campare” chi quel pane non aveva.
Leggasi il povero popolo piemontese che a fronte delle nostre
sole 5 tasse dirette (da cui la Sicilia a volta era esclusa...
”sempre fortunati quelli del sud”) ne pagavano dalle 25 alle 32
più iva, inflazione e ritenuta d’acconto sui vivi fra dirette
ed indirette ma anche sui morti, con l’invenzione della tassa
di successione. Leggasi i poveri popoli Irlandese e Scozzese,
schiavizzati per amor di progresso, nelle miniere di carbone al
grido deCurtiano "...solo veleno pascà, solo veleno..." Epilogo.
ll baccalà ci ricorda. Ci ricorda che esisteva un’alternativa
al sistema economico liberista. Il baccalà ci mostra che vincemmo,
che vincemmo spezzando l’embargo dei “liberatori” di ogni tempo.
Il baccalà ci dimostra, che si può ben amministrare, senza mettere
tasse sui Morti, sui vivi e, oggi, su quelli che dovranno nascere
domani (e quelli perciò non nascono). Il baccalà dimostra, dimostra
che nulla è perduto, se non si crede d'aver perso. Il baccalà
è un simbolo perché ci unisce alla nostra storia di popolo fiero,
alla nostra memoria di capacità economiche ed imprenditoriali,
alla nostra dignità di popolo sovrano, alla nostra buona cucina,
alla nostra visione geopolitica, alla nostra identità di popolo.
Il baccalà ci unisce ed è ancora lì, sul nostro tavolo a dispetto
di ogni hamburgher e di ogni “fast food” è ancora lì, si vede,
esiste, toccalo! Ora tocca a noi ricordare tutto quello che hanno
cercato di farci dimenticare. La morale. Si parla di identità,
perché la si sta perdendo. La si ricerca all’ossesso, come colui
che avendo dimenticato il ricordo dell’acqua, d’istinto beve anche
il veleno e ne muore. O non la si ricerca per niente, come se,
non avendo neppure più l’istinto, ci si lasci morire disidratati.
Si perde l’identità perché la si rende una cosa astratta, lontana,
un discorso da filosofi, persa di già, che è solo da cercare e
mai da vivere. Ma essa è con noi, con i nostri padri e i nostri
figli, nelle nostre menti, nelle nostre scelte, e nelle scelte
di quelli intorno a noi. Essa è quella nelle nostre cucine, nelle
nostre lingue, nei nostri modi di pensare. E' quel che mangiamo
e beviamo. E' lì innanzi a noi; anzi, è "noi". La si può scrutare
ai colli romani, a Stonehenge o sulle rive del Gange, di sfuggita
trovi la sua ombra in qualche libro, la vedi riflessa in una corrente
di pensiero o in articolo dotto. Sbiadita è nel sacro. Ma c’è
un solo modo per viverla…
Chi vuole l’ultima "fella" di baccalà?
Inviato
da Anonimo
il 19/03/07 @ 18:43
Grazie! Mò capisco perchè noi meridionali
siamo talmente fessi che ci chiamano baccalà!
Carmine
_____________________________
Inviato
da Anonimo
il 20/03/07 @ 14:34
Io, per non sbagliare, mi continuo a mangiare
il baccala' (per la verita' mi piace molto anche lo stocco) e
a sentirmi orgoglioso di essere Napulitano :) -
Ambro
______________________________
Messaggio N°209 del 15-03-2007 - 17:42
Tags: Identità
Caro
Capodanno questa volta Megaride è dubbiosa
Mercato di Antignano: “ Sì alla chiusura “
denuncia-appello di Gennaro Capodanno pres. comitato valori collinari
intervento di Marina Salvadore
Il
mercato di Antignano, retaggio di tempi arcaici quando il Vomero
era considerato il “quartiere dei broccoli” e ad in quella zona,
tra poche casupole e tanta campagna, vi era la stazione del dazio,
è fuori dal tempo oltre che emblema di degrado ed illegalità.
Oggi il Vomero è un quartiere residenziale con una densità di
quasi 30mila abitanti a chilometro quadrato e circa duemila esercizi
commerciali a posto fisso. Questo mercato non ha alcuna ragione
di esistere, anzi è pericoloso perché la maggior parte dei prodotti
venduti, alimentari, vanno ad imbandire quotidianamente le tavole
dei napoletani, dopo essere rimasti esposti, per ore se non per
giorni, agli agenti inquinanti che non da oggi appestano il quartiere
collinare. Da quando ero presidente della Circoscrizione, negli
anni ’80, portò avanti questa battaglia di civiltà per restituire
un’area, costituita essenzialmente da strade che collegano piazza
degli Artisti con la zona del polisportivo Collana, alla loro
funzione originaria di arterie destinate alla viabilità, delle
quali il quartiere ha urgente bisogno per decongestionare il traffico.
Quelle strade non hanno peraltro nessuno dei requisiti richiesti
dalle norme per diventare aree mercatali. Difatti, a parte l’esposizione
delle merci sulla pubblica via, vietata anche da diverse ordinanze
sindacali, l’ultima delle quali, la n. 1342 firmata il 10 agosto
dell’anno scorso, che, non consentendo espressamente la commercializzazione
di prodotti alimentari, nocivi per la salute, prevede il sequestro
e la distruzione di alimenti posti in tali condizioni, mancano
i servizi igienici, le bocche d’acqua per la pulizia ed i contenitori
a scomparsa per la raccolta dei rifiuti solidi. In altre parole
si opera in condizioni igienico-sanitarie di estremo degrado e
pericolose per la pubblica salute. A riprova il dato che le numerose
famiglie residenti della zona devono convivere da lustri con strutture
arrugginite e precarie, lasciate perennemente per le strade interessate,
molte delle quali a fianco di esercizi a posto fisso, che preferiscono
utilizzare la pubblica via piuttosto che i locali commerciali
retrostanti, devono districarsi tra montagne di rifiuti organici
maleodoranti che peraltro costituiscono il tabulo della fauna
cresciuta a dismisura in zona, formata essenzialmente da blatte
e roditori. Un bubbone da eliminare dopo anni ed anni di battaglie
che in passato hanno visto già l’intervento della Magistratura
penale. Battaglie che si scontrano evidentemente contro i cosiddetti
poteri forti che, presumibilmente, si annidano anche nelle istituzioni
e che, in qualche caso, vengono sostenuti anche da campagne medianiche,
tese ad enfatizzare la presunta volontà dei vomeresi a mantenere
una bruttura che rappresenta, per come si manifesta, solo l’esistenza
di una zona della città dove le leggi dello Stato non vengono
rispettate e dove si mette a rischio la salute dei cittadini.
Mi auguro che l’iniziativa della Procura della Repubblica partenopea
vada avanti, e che l’area di Antignano, venga liberata al più
presto, eliminando definitivamente questo assurdo ed anacronistico
mercato anche al fine di poter porre mano ad un serio progetto
di riqualificazione urbanistica nel rispetto dei valori storici
dell’antico quartiere collinare della Città.
Una risposta umile e forse incompetente dalla redazione:
Carissimo Gennaro Capodanno, condivido molte delle tue civili
battaglie, avendo ben chiara l’attuale mortificazione urbanistica,
sociologica ed umanistica della mia adorata città ma, per favore,
il mercato di Antignano lasciamelo stare! Non è cancellando con
la gomma-pane un’antica – e non come dici tu, “anacronistica”
– vestigia popolare che Napoli si rifà la faccia. Di chirurgia
plastica, fatta di anonimi volti inespressivi e dalla pelle tirata
a lucido come il popò di pesca di un bimbo, collocati su corpi
sfasciati e vecchi, n’è già piena l’umanità che ci circonda. Le
rughe danno espressività, scrivono sul volto – anche del quartiere
di una città – capitoli di storia e di tradizioni, di belle usanze…
e profumano, come nel caso del mercatino di Antignano, della via
delle spezie e dei colori che noi napoletani-vomeresi emigrati
al Nord veniamo, a Natale e d’estate, a respirare come fosse droga,
per ritrovare noi stessi, la nostra serena infanzia. Non puoi
capirlo, tu che hai avuto la fortuna di continuare a risiedere
al Vomero quotidianamente e che, forse stressato dall’anarchia
municipale, vorresti importare regolamenti da condominio milanese
laddove non esiste la cultura stessa della disciplina. Prova a
chiedere agli indigeni di cancellare il folkloristico mercato
di Porta Capuana o della Pignasecca, ben più – come tu dici –
“pericolosi per la salute pubblica” oppure, ai siciliani, di chiudere
la Vuccirìa e Ballarò… Sarebbe come chiudere un libro di storia
e buttarlo nella mondezza, quale cosa inutile. Il mercato di Antignano
andrebbe regolato da interventi costanti dell’Annona, della ASL,
della Nettezza Urbana, com’è d’uopo, quotidianamente, nelle municipalità
del nord che pullulano di ridenti e pittoreschi mercati rionali
che da circa trent’anni frequento. Sono queste, le istituzioni,
che devono garantire gli ambulanti ed i cittadini! I supermercati,
gli ipermercati, i discount mettono tristezza e…le loro mercanzie
sono asettiche e prive di colore, di profumo, di storia. Sono
nata e sono stata pasciuta, fino ad età adulta, con le primizie
e le specialità di stagione degli ortolani, dei pescivendoli,
dei panettieri, dei macellai, dei pollivendoli, degli acquaioli
del mercato di Antignano, senza mai prendere neppure un raffreddore
allergico, una tenia, il tifo: li conosco per nome, quegli ambulanti
cresciuti appresso a me; mi riconoscono, ogni volta che torno,
nostalgica, alla mia “via delle spezie”. Non puoi togliermi anche
questi momenti meravigliosi di “amarcord” , dopo che ho perso
patria, casa e cittadinanza! Io non so immaginarmi una Antignano
senza il mercato, ridotto a deviazione di corsia di tangenziale.
Preferirei che fosse, invece, come meriterebbe, un’isola pedonale,
questo sì! Antignano è antichissima, come San Gennaro che passò
proprio da via Case Puntellate, per qui, al “conte dell’Acerra,
ora propriamente detta via San Gennaro ad Antignano… ed io amo
immaginare San Gennaro salutato al suo passaggio dagli ambulanti
di allora, con le ceste cariche di pani, di broccoli, uova, pesci
e mummare d’acqua ferrata e vino dei campi flegrei. Le loro antiche
voci si mescolano alle voci degli ambulanti del presente; sono
le stesse! Un’osteria al Vomero, in via Luca Giordano,si affaccia
con il suo giardino proprio in pieno mercatino d’Antignano: si
chiama “Il Giardino del Pontano” e, da anni, il suo biglietto
da visita alberga nel mio nostalgico portafogli napoletano. Il
cartoncino così recita: “Nel 1501 Giovanni Pontano scrisse un
poemetto intitolato De hortis Hesperidum, sive de cultu citriorum
(Sul giardino delle Esperidi, ovvero sulla coltivazione degli
agrumi), nel quale parla di tre specie di agrumi: l’arancio amaro
(citrus aurantium), il limone (citrus limon) e il cedro (citrus
medica). Pontano si era ispirato al mito delle Esperidi, figlie
di Atlante e custodi di un leggendario giardino, dove cresceva
l’albero delle mele d’oro.” Inutile ricordarti che fu proprio
il giardinetto della sua residenza napoletana di Antignano ad
ispirarlo… e che anche lui avrà aperto gli occhi in ogni nuovo
giorno alle voci degli ambulanti sotto le sue finestre affacciate
sulla mia antica via delle spezie!
marina salvadore
Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 18:39
Ma stiamo dando i numeri? Perchè non vietate
il traffico? quello è sporco e inquinante e fa venire il cancro
ai polmoni! I generi alimentari, le persone civili, dopo averli
scelti e comprati di norma li lavano e li cuociono. Il comune
deve occuparsi dello smaltimento dei rifiuti! Mo' vuoi vedere
che i torzi di scarola di antignano hanno creato l'emergenza rifiuti????
Jàteve cocca'!
Giuseppe
______________________________
Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 18:47
Di blatte, scarrafoni e zoccole è piena
pure Parigi, Londra, Milano, Roma. I lavori fognari spettano alla
municipalità e non ai commercianti. Vorrei vedere, lei, signor
Capodanno, dalla mattina alla sera in piedi, ogni giorno, alla
pioggia e al sole, a vendere al minuto per raccattare due euro
per campare una famiglia!
Carmen Di Biase
______________________________
Inviato da Anonimo
il 15/03/07 @ 20:05
ci vogliono le regole e il rispetto delle
regole. La municipalità pretenda e incameri la relativa tassa
per l'occupazione del suolo pubblico, la tosap e la tarsu ma assicuri
agli ambulanti i servizi essenziali pre-pagati.Non è da sottovalutare,
per i cittadini, la convenienza dell'acquisto di prodotti a prezzi
più accessibili, quali quelli praticati nei mercatini rionali.
_______________________________
Inviato da Anonimo
il 16/03/07 @ 00:18
Cara Marina, ciascuno di noi in cuor suo
vorrebbe conservare vivi gli affetti ed i siti dell'infanzia,
ma purtroppo ciò non è possibile.Come affermava il grande filosofo
greco Eraclide "panta rei". Arriva il momento nel quale bisogna
adeguare le situazioni alla storia. Il Vomero, descritto dal Celano,
come il quartiere dove nei giorni festivi si recava la gioventù
napoletana per fare una gara che vedeva vincitore colui che tracciava
il solco più lungo e diritto, oggi, a distanza di quattro secoli,
è un agglomrato informe di case e di negozi, di verde ne è rimasto
ben poco e anche quel poco è scempiato quotidianamente, come è
accaduto di recente ad un ultimo fazzoletto dell'antica dimora
denominata villa Doria, cementificato per far sorgere l'ennesimo
parcheggio privato.Questa è la realtà con la quale ci dobbiamo
misurare. Afflitto, è lo confermato i dati diffusi anche oggi,
dall'omai endemico problema dell'inquinamento dell'aria, con valori
di agenti inquinanti superiori ai massimi fissati dalla norma.
Anche i bambini sanno che la "pelle" della frutta e degli ortaggi
e porosa e che assorbe avidamente la miscela velenosa di gas di
scarico e di polveri di cui oggi è costituita essenzialmente l'aria
vomerese. Consentire che questi alimenti, esposti 24 ore su 24
ai prodotti di combustione incompleta degli idrocarburi, continuino
ad essere imbanditi sulle tavole dei vomeresi significa contribuire
ad attentare alla loro salute. Se la Magistratura inquirente ritiene,
dopo aver fatto eseguire i necessari controlli dagli uffici competenti,
che la situazione di degrado igienico-ambientale esista, dobbiamo
rispettare anche l'eventuale decisione, che a giorni potrebbe
essere presa, di porre sotto sequestro questo mercato e, poi,
di consentirne il trasferimento in un'area al coperto, nei nuovi
locali in via dell'Erba, ad esempio, appositamente realizzati
dall'amministrazione comunale. Sparirà un pezzo di storia del
Vomero, come sono sparite le vecchie vetture della funicolare
Centrale o i tanti esercizi commerciali di tradizione, Coppola,
Lama, Aruta, Daniele, Stanzione, Marino e tanti altri, che costellavano
le strade del quartiere collinare. E' il prezzo che si paga alla
modernità, ma anche alla dissenata politica degli Enti locali,
incapaci di programmare e di pianificare. E per queste ragioni
che, a malincuore, con le immagini del ragazzo, quale sono stato,
nato e cresciuto in via Luca Giordano, devo insistere: " Sì alla
chiusura del mercato di Antignano ". Con l'affetto di sempre.
Gennaro Capodanno
__________________________________
Inviato da Anonimo
il 16/03/07 @ 09:17
La "soluzione finale" attira sempre: sotto
ogni latitudine! Il mercato rionale è un luogo di aggregazione
dove la popolazione ritrova le proprie radici...Gennaro: non farti
carico di problemi che tali sono solo per chi vuole cancellare
ancora quel poco di buono che rimane! con affetto.
antimo ceparano
________________________________
Inviato da Anonimo
il 16/03/07 @ 09:48
Egregio dott. Capodanno, risiedo al quartiere
Arenella e frequento il mercatino di Antignano. Perlomeno in orario
di mercato mi risulta che lungo il percorso occupato dagli ambulanti
non vi sia traffico automobilistico. Le auto passano infatti in
via Recco in direzione piazza degli Artisti, per cui la zona del
mercatino è un'isola pedonale. Del resto, trattasi di due viuzze
anguste e di uno slargo che sarebbe impossibile percorrere in
auto anche in assenza di banchi di vendita. Se poi la necessità
degli amministrativi è quella di fare di Antignano un'altra piccola
Bagnoli Futura, magari per rivalutare i bassi e le casette pittoresche
d'epoca, per altro tipo di affari, allora è inutile trovare tante
scuse. Tutta napoli è appestata dallo smog ed è piena, specie
nella lunga e bella stagione di banchi per l'esposizione e vendita
di generi alimentari e, addirittura, di tavoli e sedie per la
consumazione di prodotti pasticcieri e pizzaioli. Ci sono molte
altre porcherie che andrebbero abolite, come le numerosissime
ed inopportune quanto strambe e costosissime opere d' "ARTE" moderne
disseminate in tutta la città!
Bruno De Cesare
_________________________________
Inviato da Anonimo
il 17/03/07 @ 13:32
Siamo o non siamo in democrazia? Allora
perchè la municipalità non propone ai residenti un referendum,
invece di gestire in maniera dittatoriale i propri esclusivi interessi?
Claudia
_________________________________
Inviato
da Anonimo
il 19/03/07 @ 18:32
siamo in democrazia? sorbole! da quando?
non me n'ero accorto! ero intento a combattere un mulino a vento.
scusate!
don CHI?SCIOTTE.
________________________________
Messaggio
N°208 del 14-03-2007 - 13:46
Tags: Identità
I
cristicchi e i cristiani acCATTOnINTELLETTUALOIDI
per la novella persecuzione ai Cristiani da redazione de "La Voce
di Megaride"
Abbiamo rivolto
ad alcuni lettori personale invito a voler giudicare il testo
di una nota canzone del vincitore di Sanremo 2007, Simone Cristicchi,
per aprire un dibattito sull’ampia tematica della novella persecuzione
ai Cristiani che troppo spesso viene sordidamente addebitata ai
conflitti interreligiosi con l’Islam. Siamo abbastanza adulti
per ritenere che l’Islam non debba essere il capro espiatorio
di questa sudicia tenzone ch’è invece strumentale ad altri “poteri”
ed imperialismi che gestiscono, sfasciandolo, il mondo, poiché
Islam e Cristianesimo sono entrambi vittime del diabolico gioco.
Pubblichiamo di seguito il testo della canzone ed alcuni dei giudizi
già pervenutici, con l’intesa di assommarne altri nell’opportuna
sezione “commenti”, per arricchire una sorta di dossier che sia
un autentico manifesto di protesta rivendicativa dei nostri originari
valori identitari. M.S.
PRETE/di Simone
Cristicchi
Mi ricordo da bambino mi portavano alla messa
ed io seguivo la funzione con un'aria un po' perplessa...
il prete stava in piedi sull'altare col microfono
spiegava i passi del Vangelo con tono monotono
col tempo e con la scusa di giocare all'oratorio
mi infilarono nel mucchio catechismo obbligatorio
perché non sta bene, non puoi essere diverso
emarginato come pecora smarrita
dentro a un bosco
al di fuori del contesto...
inginocchiati per bene, adesso dì le preghierine
non dubitare mai dell'esistenza del Signore
lascia stare le tue fantasie sessuali di bambino
quante volte ti sei masturbato il pistolino?
Il prete in molti casi è un uomo molto presuntuoso
nonostante l'apparenza di un sorriso zuccheroso
crede di essere il depositario di una verità assoluta
ad ogni tua obiezione, lui rigira la frittata!
Prete! Io non ho voglia di ascoltarti
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia.
La bugia più grande della storia
La storia della Chiesa è seminata di violenza, di soprusi
la Santa Inquisizione è prepotenza
e poi genuflessioni collettive dei politici
salvezza delle anime, la rendita degli immobili
ma quanti begli affari fate con il Giubileo
e quanti bei miliardi che sta alzando Padre Pio
Se Gesù Cristo fosse vivo si vergognerebbe
Delle tonnellate di oro e delle vostre banche
Prete! Io non ho voglia di ascoltarti
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia
La bugia più grande della storia
Perdonate questo sfogo troppo anti-clericale
in fondo ognuno è libero di scegliersi la sua prigione
libero di farsi abbindolare, ipnotizzare
dal papa, dal Guru, dal capo spirituale
ma la cosa deprimente e che mi butta giù
è vedere quella folla alla Giornata della Gioventù
la mia sola religione è vocazione per il dubbio , IO
non crederò a qualsiasi cosa dica un
Prete! Io non ho voglia di ascoltarti
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi
Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un
Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia!
Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi
La bugia più grande della storia
PRETE!
I commenti,
di diverso carattere, emblematici, da noi selezionati e che aprono
il dibattito:
a) don Giuseppe Bonomo, parroco di “Santa Marina vergine” – Casoli
d’Atri (TE):
“Io non vedo Sanremo...Ma con un clima culturale così, mi immaginavo
che a vincere sarebbe stato un anticattolico dichiarato. Ciò che
bisogna capire bene è come vengono selezionati i cosiddetti "giovani"...
Certo è che in parte questo testo è un autogol: l'ho fatto leggere
ai miei alunni (liceo classico) e ne sono rimasti inorriditi.
Non è tanto un anticattolicesimo che si respira, bensì l'abbandono
della ragione per ogni forma di "emotivismo". L'emozione, ciò
che sento, è andato al potere. Occorre riportare la ragione al
centro dei nostri dibattiti. La ragione infatti non può essere
nemica della fede. Testi di canzoni irrazionali come questo fanno
pensare che l'epoca d'oro di un Gaber stia tramontando. Mi fermo
qui. Ti saluto marina, Ciao don giuseppe bonomo, PRETE!"
b) Giuseppe Marchiori – impiegato– Roma.
“Ma è pazzesco! Questo presuntuoso si è mai chiesto il perchè
di "quella folla alla Giornata della Gioventù" ed al Giubileo?
Anche Maometto (sì. lo sò, è un po' una mia fissazione...) rispettava
i Cristiani, perchè "tra i Cristiani vi sono sacerdoti e monaci
che servono Dio in umiltà e la superbia non regna tra chi segue
Gesù. figlio di Maria", ancora "tra i Cristiani troverai i più
sicuri amici" (versetto 82 della Sura quinta "del Convito"). Invece
arriva uno squallido individuo che, per farsi un po' di pubblicità
e vendere qualche disco, fà dello scandalo fuori luogo! Gesù ci
ha insegnato a perdonare, ma è veramente difficile farlo davanti
a tale triste pochezza umana... Ribadisco: non facciamo caso a
tali persone, la nostra risposta deve essere di spegnere la TV
quando appaiono, cambiare la nostra strada se ci incrociano. Loro
vivono della nostra attenzione: IGNORIAMOLI! Giuseppe"
c) Enzo Vitale
da Pizzoferrato (l’aquila) segretario della pro-loco:
“Il povero (perché di un povero uomo parliamo) autore deve essere
rimasto traumatizzato fin da bambino da qualcosa e da qualcuno.
Colpa dei genitori? Colpa del prete che ha conosciuto? Egli è
rimasto bambino, ma nel senso puerile , perché i bambini quelli
veri, con la loro ingenuità, il loro candore, la loro purezza
sono più vicini a Dio. A sua insaputa forse lo è anche l’autore,
visto che si ostina a negarne l’esistenza. Perché tanto accanimento?
Sembra un assurdo: un uomo che si dichiara ateo e che bestemmia
Dio, dimostra invece che crede nella sua esistenza. Che la Chiesa
e quindi i suoi ministri non sia perfetta è un’altra cosa. Non
dimentichiamo che mentre Gesù si è fatto uomo, molti uomini si
sono fatti Preti, e sono rimasti uomini con tutti i pregi e tutti
haimè i loro moltissimi difetti.Ma la perfezione, sappiamo non
è degli uomini. La Chiesa opulenta, con le sue banche, le sue
ricchezze non mi ha mai convinto, ma non per questo nego l’esistenza
di Dio. Gli alti prelati e…. gli altri pelati grassocci che sfoggiano
a tavola la loro opulenza, prima di pranzare pregano davanti a
portate da corte reale. Pregano forse che qualche boccone non
vada loro storto o pregano per chi muore di fame? Sono a conoscenza
di preti che: Negano la benedizione di un bambino colpevole di
essere stato chiamato dal Signore dopo 10 giorni di vita terrena,
solo perché non ancora battezzato. Negano la benedizione di un
morto perché era divorziato e convivente. Negano la prima comunione
ad un bambino perché frutto di una relazione fra due persone sposate
solo con rito civile o conviventi. Negano la comunione ad una
donna perché divorziata….ma, per fortuna, affiorano alla mia mente
e nel mio cuore i sacrifici di tanti preti che accolgono i poveri
non solo alla Mensa del Signore, ma anche alla loro mensa, preti
che accolgono in Chiesa i peccatori invece di scacciarli, preti
che gioiscono alle voci ed al chiasso dei bambini e giocano con
loro. Preti che sono davvero preti, anzi, preferisco chiamarli
sacerdoti, veri ministri di Dio. L’autore della canzone è un povero
peccatore in mala fede e come tale va considerato. Non mi lascio
sopraffare dalle ingiustizie, dai peccatori e dai miei peccati
, non giudico e non condanno perché la giustizia appartiene a
Dio. Chi è senza peccato scagli la prima pietra. Come gli altri
anch’io ho da sempre una pietra in mano pronta a scagliarla, ma
non potrò mai farlo, né potrò dire quando altrimenti peccherei
di presunzione. Sono come l’autore, un povero peccatore e per
questo spero nel perdono di Dio anche per quanto ho detto adesso
anch’io sui preti.
enzo"
Il dibattito è aperto.
Vi invitiamo caldamente a partecipare. Grazie- la redazione
Inviato
da crocco57
il 14/03/07 @ 20:33
Da qualche tempo faccio molta fatica a scrivere...a
parlare...a dire cosa penso...l'affetto che nutro verso le persone
come voi mi spinge a dare una testimonianza di un semplice pensiero:
E' un cantante e tale deve essere considerato...se voleva esprimere
una valutazione su di un argomento non lo sa fare, non lo puo'
fare: gli mancano gli strumenti culturali e si vede da come esprime
il proprio pensiero. Parlare male dei preti era il mestiere preferito
dagli anarchici e comunisti del secolo scorso e dvo dire che lo
facevano bene...si nutrivano di cose che non conoscevano con la
genuinità dei "cafoni" ed erano persino simpatici. Questo cantante
ha l'aspetto di un depresso e di una persona smarrita...cerca
notorietà: che l'abbia e che non rompa l'anima con cose serie!
Saluti.
Antimo
Ceparano
_______________________________
Inviato
da Anonimo
il 14/03/07 @ 22:41
Forse vi è scappato questo pensiero insito
nel testo: " / ma la cosa deprimente e che mi butta giù / è vedere
quella folla alla Giornata della Gioventù /" che sottolinea quasi
un'invidia, una gelosia, un'impossibilità a far parte della parte
buona della gioventù, dovuta ad un'autoemarginazione volontaria...
Mi fa quasi pena 'sto ragazzo così logorroico e brontolone come
un vecchio.
Claudia
____________________________________
Inviato
da Anonimo
il 15/03/07 @ 00:39
Il prblema è che fa notizia un fesso blasfemo
e non la moltitudine che seguiva Wojtyla. Il problema è che Wojtyla
non c'è più ed i POVERI DIAVOLI ballano come i topi da quando
non c'è il gatto!
Giuseppe De Rienzo- Napoli - commerciante
________________________________
Inviato
da Anonimo
il 15/03/07 @ 00:40
La storia della Chiesa è seminata di violenza,
di soprusi la Santa Inquisizione è prepotenza e poi genuflessioni
collettive dei politici salvezza delle anime, la rendita degli
immobili ma quanti begli affari fate con il Giubileo e quanti
bei miliardi che sta alzando Padre Pio Se Gesù Cristo fosse vivo
si vergognerebbe Delle tonnellate di oro e delle vostre banche
Prete! Io non ho voglia di ascoltarti Prete! Non hai il diritto
di insegnarmi Niente! Sei bravo ad inventare e a raccontare favole
Per addomesticare le paure della gente! Non ho bisogno più di
credere a un Prete! Se la Madonna piange sangue, è noia! Sei bravo
e fai di tutto per alimentare, per tenere in piedi La bugia più
grande della storia La bugia più grande della storia Perdonate
questo sfogo troppo anti-clericale in fondo ognuno è libero di
scegliersi la sua prigione libero di farsi abbindolare, ipnotizzare
dal papa, dal Guru, dal capo spirituale ma la cosa deprimente
e che mi butta giù è vedere quella folla alla Giornata della Gioventù
la mia sola religione è vocazione per il dubbio , IO non crederò
a qualsiasi cosa dica un Prete! Io non ho voglia di ascoltarti
Prete! Non hai il diritto di insegnarmi Niente! Sei bravo ad inventare
e a raccontare favole Per addomesticare le paure della gente!
Non ho bisogno più di credere a un Prete! Se la Madonna piange
sangue, è noia! Sei bravo e fai di tutto per alimentare, per tenere
in piedi La bugia più grande della storia PRETE Oggi siamo in
piena contestazione dei DICO il Papa interviene quotidianamente
per invitare i CATTOLICI a respingere l'approvazione della legge
... anni or sono fu censurata a Sanremo Jula de Palma per il brano
"TUA TRA LE BRACCIA TUE etc ..." ... oggi il CHIRICHETTO PIPPO
BAUDO consente che si offendano i preti, dai quali non si può
apprenderenulla, la chiesa che attraverso Padre PIO mira all'arricchimento...
ma le opere realizzate non hanno nessun valore? Allora caro CRISTICCHI
mostra la TUA "PUREZZA" e comincia da ieri a donare a coloro che
sono privi dell'indispensabile i TUOI PROVENTI del festival ...
solo allora, forse, sarai credibile nella TUA MISSIONE di giudice
della CHIESA
Mauro
_________________________________
Inviato
da Anonimo
il 15/03/07 @ 00:55
Sono fiero di essere cristiano e cattolico
ed in quanto tale condivido tutte le sofferenze dei miei fratelli
dell'Islam, perchè sono fiero di essere meridionale, TERRONE,
invaso e occupato come i miei fratelli Palestinesi! Non dimentichiamo
che l'antico popolo di Palestina è musulmano ma anche cristiano.
C'è un potere, è vero, come dice Megaride, che va al di là di
ogni insospettabile nazismo e razzismo e che vuole imporre l'imperialismo
del DIO DANARO. Si comincia con le patatine, la Coca Cola e i
Mac Donald's, per finire alle banche, alla stampa, alla borsa
mondiali!
Caterina D'Ambrosio - insegnante - Battipaglia
_______________________________
Inviato
da Anonimo
il 15/03/07 @ 14:43
Mi è piaciuto l'intervento di Don Giuseppe,
in particolare cito due frasi: "Non è tanto un anticattolicesimo
che si respira, bensì l'abbandono della ragione per ogni forma
di "emotivismo"." e "Occorre riportare la ragione al centro dei
nostri dibattiti". Io fondamentalmente non dissento dalla linea
seguita dai commenti precedenti; questo poveretto, non riesco
a definirlo in altro modo, fa solo parte di una generazione molto
sfortunata (che è anche la mia). Sfortunata perchè segnata da
tre tratti fondamentali: l'incapacità di ragionare, la mancanza
di morale e una grossa superficialità. Se avesse avuto un minimo
di capacità intellettiva si sarebbe reso conto di portare un testo
indifendibile da qualunque punto di vista (i ragazzi del liceo
se sono accorti!). Se avesse avuto un minimo di moralità e ragione
si sarebbe reso conto che portare in giro questo messaggio avrebbe
potuto influenzare in maniera negativa le generazioni più giovani
e inoltre avrebbe pensato che una generalizzazione di questo tipo
è offensiva e palesemente falsa. Se non fosse stato superficiale
non avrebbe portato quella canzone, lucrando su temi che meritano
un tipo di attenzione e dibattito di stampo diverso. D'altro canto
però la nostra generazione sta vivendo un periodo durissimo. Stiamo
assistendo ad una de-moralizzazione generalizzata (nel senso di
perdita di moralità), anche nelle generazioni che ci precedono.
Porto ad esempio storie come recenti scandali finanziari, intercettazioni
illegali, leggi ad personam... ma anche più banalmente l'esempio
che ci viene proposto giornalmente come: prepotenze nella circolazione
sulle strade, stereotipi di donna-oggetto, successo economico
come unica strada di realizzazione personale... potrei continuare
per ore... Certo questo non scusa la canzone... Ma vorrei anche
cercare di analizzare razionalmente (appunto!) l'argomento Chiesa
per come viene visto e vissuto dalla mia generazione. Il mio parere
è che in Italia per troppo tempo la gente sia andata in chiesa
per "facciata" ("col tempo e con la scusa di giocare all'oratorio,
mi infilarono nel mucchio catechismo obbligatorio") e i giovani
ormai si ribellano a quello che è percepito come un dovere, specialmente
se da piccoli non gli si danno gli strumenti per comprendere il
messaggio e l'importanza del messaggio di Cristo. In più la Chiesa
non aiuta se stessa in questo campo; una delle critiche a cui
io mi associo è la mancanza di modernità, l'aggrapparsi a precetti
che devono necessariamente essere aggiornati. Come può un marito
in crisi con la moglie chiedere aiuto ad un prete che non è mai
stato sposato? Ed una madre con un figlio? Di recente i preti
sono stati invitati a riprendere l'uso del latino durante la messa.
Vorrei ricordare che l'uso della lingua "volgare" era stato deciso
per rendere i fedeli più partecipi ai sacramenti. Vogliamo tornare
al Medioevo? E che dire del capitolo aborto o divorzio? Una persona
che sposa un divorziato non può più prendere la comunione... Oltre
ad essere discriminatorio è palesemente controproducente! Il numero
di divorziati aumenta e continuerà a farlo, tra poco una persona
su due non potrà più prendere la comunione! E non entrerò nella
questione dei DICO, non vorrei allontanarmi troppo dal tracciato...
Riconosco comunque, come già detto in questo forum, le indiscutibili
opere di Bene che sono state fatte dalla Chiesa. Ma perchè accontentarsi?
L'uomo può sempre migliorarsi e a questo dovrebbe tendere... Purtroppo
non mi sembra si stia andando in questa direzione e questo, più
di tante altre cose, mi intristisce.
Gianmichele.
____________________________________
Inviato
da Anonimo
il 15/03/07 @ 16:21
Ci piacerebbe, Gianmichele, avendo molto
apprezzato il tuo intervento, saperne qualcosa di più sul tuo
conto. Puoi scriverci all'indirizzo redazione@vocedimegaride.it
declinando i tuoi recapiti. La partecipazione dei giovani ai dibattiti
che possono scaturire dalle tematiche da noi sviluppate è molto
ambita. Intanto, complimenti per la tua lucida analisi!
la redazione
__________________________________
Inviato
da Anonimo
il 15/03/07 @ 20:14
Se non fosse esistita la Chiesa con i suoi
frati, suore e preti non ci sarebbe stato il Rinascimento e neppure
la diffusione della Cultura, della Scienza e delle Arti. Soprattutto,
non esisterebbero le opere missionarie e molti piccoli popoli
sarebbero già stati cancellati dalla faccia del pianeta!
________________________________
Inviato
da Anonimo
il 15/03/07 @ 20:20
Concordo perfettamente col precedente anonimo
lettore. Aggiungo, però, che la Chiesa dovrebbe essere sempre
quella dell'Amore ovvero Chiesa di Gesù Cristo e non Chiesa delle
Leggi ovvero Chiesa di Pietro.Purtroppo, la contraddizione impera
ed in questa società sregolata, alcune Leggi deve mantenerle in
essere proprio la Chiesa!
marina
___________________________________
Inviato
da Anonimo
il 28/03/07 @ 12:07
Ci sono Preti e preti. Ci piace qui ricordare
i famosi "Preti Coraggio" degli anni 90 a Napoli dai quali la
Curia cittadina prese le debite distanze. Allora, purtroppo, non
c'era Crescenzio Sepe alla guida della Diocesi partenopea e molti
preti erano più vicini allo scudo crociato che alla croce di Cristo.
Vi invito pertanto a voler prendere visione di un eccellente dossier
sui Preti Coraggio, sul sito dell'associazione La Mano sulla Roccia
il cui leader carismatico è don Antonio Maione, Prete Coraggio
superstite. http://www.lamanosullaroccia.it/ANTONIO/RaccoltaA/tabid/74/Default.aspx
marina salvadore
_______________________________
Messaggio
N°197 del 08-03-2007 - 21:51
Tags: Identità
Evviva quel
Sud capace di sfatare i luoghi comuni della menzogna unitaria!
segnalatoci dal lettore Gianfranco Nassisi www.ilfrizzo.it
L’istruzione
scolastica? Fu organizzata già nel Regno delle Due Sicilie da
Ferdinando IV di Borbone. Un documento del 1778, conservato tra
le deliberazioni dell’Università di Lucera, rivela l’obbligo,
per gli enti ecclesiastici della città, di dar vita a scuole pubbliche
per l’insegnamento gratuito Lucera, marzo 2007 Tra le deliberazioni
dell’Università di Lucera, conservate presso la locale biblioteca,
vi è quella inerente la copia di un dispaccio, non privo di interesse,
emanato da Ferdinando IV di Borbone e relativo alla organizzazione
scolastica da attuare nell’intero Regno. Il dispaccio in questione
prevedeva, per Lucera, l’ordine di istituire, da parte dei religiosi,
pubbliche scuole dove «…coloro che vorranno concorrervidi qualsiasi
ceto, senza distinzione alcuna, e specialmente quelli della più
infima plebe, siano gratuitamenteistruiti nel leggere, scrivere
e far di aritmetica, nei primi erudimenti della grammatica, e
nel catechismo…». E pensare che l’atto di nascita della legislazione
scolastica risalente al costituendo Stato italiano conla L. 13
novembre 1859 sottolineava la «…gratuità scolastica» quasi come
un fatto nuovo ed esclusivo. Nel censimento del 1871, poi, si
accerta che dopo 10 anni di scuola obbligatoria, l’analfabetismo,
invece di diminuire, era notevolmente aumentato. Nel 1907 F.S.
Nitti, in un discorso pronunciato in Parlamento, dichiara: «In
Italia la popolazione scolastica è così scarsa dopo 50 anni di
unità e dopo 30 anni di istruzione obbligatoria, che si può dire
che lo scopo della legge del 1877 non fu mai realizzato. Vi sono
almeno 4 milioni e mezzo di bambini che avrebbero l’obbligo di
seguire le scuole, ma sono appena 2 milioni e settecento mila
che la frequentano…». Se si pensa ancora che la stessa legge Orlando
del 1904 imponeva ai comuni di istituire scuole fino alla 4ª classe,
nonché di assistere gli alunni più poveri, allora sì che c’è da
riflettere.
Inviato
da vocedimegaride
il 08/03/07 @ 22:12
Testo del documento originale pubblicato in corpo di articolo:
«Ferdinando IV, Dei grace Rex utriusque Sicilie, et Hyerusalem,
Infan Hispaniaru, DuxParme, Placentie, Castri, ac Magnu, Princeps
Hereditariu Hetrurie. D. Stefano Antonelli Brigadiere nei Reali
Eserciti, Preside, Governatore delle armi, e Commissario Generaledella
campagna in queste due Provincie di Capitanata, e Contado di Molise.
Mag.ci Governatori e Luogotenenti delle Corti, tanto Reggie, quanto
Baronali, e mag.ci amministratori delle Università di questa Provincia
di Capitanata vi significhiamo come colla posta di questa settimanaè
pervenuto il seguente R.Dispaccio…
Se bene il Re colla sua paterna cura abbia disposto, e nella Capitale,
e nel Regno, che vi siano dei Convitti, e delle scuole per la
pubblica educazione, nommenodella nobiltà, che degli altri ceti,
e anche della più povera gente; considerando nondimeno, che non
potrà mai corrispondere all’eccessiva popolazione qualunque stabilimento;
ha perciò risoluto e vuole, checoncorrano ad un’oggetto si vantaggioso
al ben pubblico, e necessario allo stato ,anche i Regolari, iquali,
essendo parte della società civile, devono rendersi alla medesima;
non solo colla preghiera, ecoll’opera spirituale, ma in qualunque
altra maniera ancora, che per essi si possa, insegnando egualmentela
pietà, che le lettere. Vuole dunque Sua Maestà, che si ordini
con dispaccio circolare, che non solamente nella Capitale, ma
anche in tutti gli altri luoghi del Regno Demaniali, o Baronali,
ed anche neiluoghi di campagna ove siano Conventi di frati delle
religioni mendicandi, si obblighino, colla comminazione ancora
di pene, tutti i superiori di tali Conventi ad introdurre nei
rispettivi chiostri lePubbliche Scuole, dove coloro che vorranno
concorrervi di qualche ceto senza distinzione alcuna, e specialmente
quelli della più infime Plebe, siano gratuitamente istruiti nel
leggere, scrivere ed aritmetica, nei primi erudimenti della grammatica,
e nel Catechismo, destinando a tal uopo i Religiosi più abili;
ben’inteso, che riguardo al Catechismo debbano di quello, di cui
si servono gli ordinari nelle rispettive Diocesi.
Nel Regal nome partecipo pertanto a sv. Illustrissima questa Real
Risoluzione percomunicarla ai superiori Regolari della sua Provincia
per l’adempimento.
Napoli 5 dicembre 1778, Carlo Demarco, Sig. Preside di Lucera.
In pronto esecuzione dunque del preinserto Real Dispaccio a voi
su.di mag.ci Governatori così Reggi, come Baronali dicemo, ed
ordinamo, che in ricevere il presente immediatamente per mezzo
dei rispettivi Mastrodatti delle vostre Corti in presenza del
prossimo Governatore dell’Università, e di due testi letterati
dovessivo comunicare tal Sovrana deliberazione di S.M. a superiori
Regolari di tutti i Conventi esistenti nella vostra giurisdizione,
imponendoli nel Real nome e prontamente eseguirla sotto pena di
docati trecento per controveniente in beneficio del Regio Fisco,
ed altre ad arbitrio della M.S. ed indi da Mastrodatti ritersi
dovessivo in piè del presente ordine far formare un certificato
continente la notificazione già detta, il nome del superiore del
Convento, del Sindaco, dei testimoni presenti, ed il giorno, in
cui è seguito. Finalmente ordiniamo a rispettivi mag.ci cancellieri
delle Università di dovere il presente ordine registrare nel solito
libro delle Università istesse, perché la corte e le future età
esaltino la somma clemenza del Re’ Nostro Signore dichiarando
anch’essi Cancellieri in piè del presente ordine di avere così
adempito. E li mag.ci del Governo delle sotto Università paghino
subito al presente corriere il suo giusto pedatico di accesso,
e ricesso de loco ad locum a norma delle ultime Regali disposizioni,
atteso si manda per servigio Reggio. E così in Lucera li 8 dicembre
1778. Stefano Antonetti, Vincentiu Villani Secretariu, loco sigilli,
ordine circolare come sopra… Certifico io qui sotto ordinario
Mastrodatti della Regia Corte di questa Città di Lucera, come
oggi sotto giorno, essendo stati chiamati avanti del Sig. D. Giacopao
Monteroli Governatore e giudice di questa Città di Lucera, il
D. Paolo Brescia Priore del Venerabile Convento del Carmine, P.
Gio. Donato da Cerignola Guardiano del Convento dei PP. Riformati
di S. Francesco sotto il titolo del SS. Salvatore, P. Pasquale
de Monti Guardiano del Convento del Padri osservanti sotto il
titolo della Pietà, P.Giuseppe Ricci dell’ordine Eremitano di
S. Agostino in luogo del P. Nicola Rizzi Priore, P. Antonio la
Scala Presidente del Convento dei Padri Conventuali di S. Francesco,
P. Domenico da Francavilla Guardiano del Convento dei Cappuccini,
P. Lettore F. Vincenzo Maria del Pesce in luogo al P. lettore
Maestro F. Vincenzo Negri dell’ordine dei Predicatori, tutti residenti
nei loro rispettivi Conventi di questa suddetta Città, alle quali
è stato letto il retrotto Real Dispaccio parola per parola ad
alta, ed intelligibile voce ad ordine di esso Sig. Governatore
per me certificante, ed è stata loro ordinata, sotto la pena di
docati trecento per ciascun controvente la puntuale, ed esatta
osservanza di tutto, e questo si contiene nel sopra del Real Dispaccio.
Essendo stato presente all’atto di tal notificante il Sig. D.
Giuseppe Scassa primo eletto del ceto dei nobili al magistero
di questa Città ce sono stati i seguenti testimoni letterati della
medesima città D. Francisco Ciaburri, D. Nunzio Lombardi, e D.
Michelangelo de Grazia; onde in fede del vero ne ho formato il
presente scritto, e sotto di mia propria mano, Lucera li 3 marzo
1779. Antonio Caiazzo Mastrodatti della Regia Corte di Lucera
in fede. Lucera il dì quattro marzo 1779. Fo fede io infra scritto
regio Notaio Cancelliere di questa Illustrissima e Fedelissima
Città di Lucera S. Maria, che non solo dall’ordinario Giurato
della medesima Andrea Gentile si è pubblicato il retrotto bando
per i luoghi soliti di questa Città medesima oggi sopradetto giorno;
ma ancora da me l’intiero retrotto ordinande si è trascritto,
e registrato nel solito libro di questa istessa Città in esecuzione
dell’ordinato nell’ordine mesedimo, onde,
Notaio Giuseppe de Palma Cancelliere in fede».
_________________________________
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N°134 del 26-01-2007 - 23:55
Tags: Identità
Autorevole
convegno sulla "Napoli-Portici"
di Mauro Caiano e Mario Carillo
Oggi venerdi, alle 10,30 nella Sala consiliare della Provincia
di Napoli, nel chiostro di Santa Maria La Nova, si è tenuto il
convegno sul tema "La strada di ferro Napoli-Portici", voluta
da Ferdinando II di Borbone nel 1839. All'incontro, suddiviso
in due sezioni, hanno preso parte l'architetto Mario De Cunzo,
l'assessore all'edilizia del comune di Napoli Felice Laudadio,
l'architetto Franco Lista e l'urbanista Aldo Loris
Rossi, il sindaco di Portici Vincenzo Cuomo, per la tematica concernente
il progetto "Traguardo Restauro". Quindi, per la sezione prettamente
storica, intitolata " La Storia Inesausta", hanno preso la parola,
descrivendo le nostre glorie trascorse e raccontando episodi salienti
della Civiltà che ci ha partoriti nonchè gustosissimi aneddoti
legati alla inaugurazione della storica ferrovia, importanti storici
meridionalisti quali Antonio Formicola, Antonio Gamboni, Gabriele
Marzocco e Luciano Salera. Interessantissimo e vivace, frizzante
e senza cali di tono, il convegno coordinato da Umberto Franzese,
si inserisce a meraviglia nel progetto identitario, di gran levatura
culturale, che il dinamico consigliere provinciale Luigi Rispoli
sta costruendo da tempo, come un enorme puzzle, per sensibilizzare
in particolare le nuove generazioni di napoletani alla riacquisizione
di quelle radici patrie occultate dalla menzogna risorgimentale.
Il consigliere Rispoli ha infatti presentato il convegno e gli
autorevoli relatori ad una numerosa platea di cultori ed amanti
appassionati della AUTENTICA CIVILTA' PARTENOPEA. Tra i presenti,
con piacere abbiamo osservato una folta ed attenta rappresentanza
di studenti del Suor Orsola Benincasa che, oggi, si sono illuminati
di qualche bagliore di positiva napoletanità, scevra delle solite
iconografie e folklori e molto... molto distante dalle cronache
quotidiane del presente. Intanto, il percorso culturale intrapreso
da Luigi Rispoli prosegue in fase di accelerazione e ben presto
altre perle si aggiungeranno alla collana preziosa di Partenope.
Ma addentriamoci nei lavori del convegno... Luigi Rispoli, ha
evidenziato lo stato di fatiscenza di quello che rimane del primo
tratto di ferrovia d’Italia, inaugurato nel 1839 da re Ferdinando
II di Borbone. Il sindaco di Portici, Vincenzo Cuomo, ricordando
le potenzialità di un recupero dell’antica ferrovia, si è soffermato
sulla possibilità di creare un collegamento dal Granatello, vecchia
stazione della gloriosa ferrovia, al Vesuvio. Anche l’assessore
all’edilizia del Comune di Napoli, Felice Laudadio, ha auspicato
interventi su quello che rimane della stazione Nolana, struttura
ridotta a poco più di un rudere, sostenuta all’interno da un albero
di fico e all’esterno da tabelloni pubblicitari, tubi di ferro
e circondata da venditori di prodotti di infima qualità. Gli architetti
Mario De Cunzo e Franco Lista, si sono soffermati su “Traguardo
recupero”; l’urbanista prof. Aldo Loris Rossi, da par suo ha spiegato
lo sviluppo abnorme della città. Per la Storia Inesausta i relatori
Antonio Formicola, Antonio Gamboni, Gabriele Marzocco Luciano
Salera hanno, ognuno, contribuito a ricostruire l’affascinante
storia di uno dei primati dell’Italia pre-unitaria. La ferrovia,
costruita in soli tre anni, su unico binario, si snodava lungo
il sobborgo di Santa Maria di Loreto, sui ponti dell’Arenaccia,
del fiume Sebeto per poi proseguire verso la strada Regia delle
Calabrie, costeggiando la spiaggia, lungo il miglio d’oro, dove
l’aristocrazia napoletana iniziava a costruire lussuose ville
per le vacanze.Testimonianza della lungimiranza di Re Ferdinando,
il Regio Opificio Pirotecnico e della locomotiva, che arrivò a
contare fino a 700 dipendenti, oggi Museo di Pietrarsa, unico
nel suo genere e momentaneamente chiuso. Si estendeva su 45.000
metri quadrati e comprendeva fonderie, officine meccaniche e scuole
per carpentieri e rimase in funzione sino al 1975. Tra i modelli
esposti la locomotiva del 1839, quattro vagoni del viaggio inaugurale,
caldaie termiche, lanterne, magli, tronconi di binari. nelle foto
di Mauro Caiano:i relatori ed il Consigliere Luigi Rispoli
Inviato
da: vocedimegaride - Commenti: 0
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N°126 del 21-01-2007 - 20:22
Tags: Identità
PARTENOGENESI
Elucubrazioni semiserie
di Marina Salvadore
Io credo nel
destino ch’è racchiuso nei nomi. I nomi non sono altro che dei
mantra, formule divinatorie evocative ed invocative che se declamate
con intenzione dagli occultisti di turno - nel bene e nel male
- suggellano incantesimi e sortilegi. Gli operatori della “magia”,
infatti, si premurano di presentarsi alla collettività con uno
pseudonimo, mantenendo ben segreto il proprio nome, per non cadere
vittime delle temute malìe altrui, così com’é sempre valida per
loro, da millenni, la regola aurea del VOLERE – OSARE – POTERE
e… TACERE. Nei nomi c’è un’energia sottile, un’intelligenza autonoma…
uno spiritello elementale che fornisce una sorta di imprimatur
alla personalità del “nomato”… perché un nome non è altro che
un suono, una vibrazione e nel Kibalion di Ermete Trismegisto
- tra i principi ermetici sui quali si basa la vita dell’Universo
- il terzo principio enunciato è proprio quello della vibrazione:
“Tutto si muove, tutto vibra e niente è in quiete. … chi comprende
questa grande regola ha in mano lo scettro della potenza.” Il
potere del suono del nome è nel riattivarsi delle sue primitive
vibrazioni. In innumerevoli casi, quando poi ci mette lo zampino
pure l’invidia degli Dei, alla sfiga del battesimo celeste si
aggiunge la rogna totale, com'è nel caso di Napoli. Le Moire della
tradizione greca presiedevano al destino dei terrestri; venivano
chiamate anche Fatae - dalla parola Fato - già in epoca romana
quando le medesime Moire furono appellate (nella mitologia) Parche…
Stranamente, il termine “parco” in italiano è anche un’aggettivazione
e sta ad intendere moderato, sobrio, frugale… parsimonioso… molto
contenuto… ovvero anche TIRCHIO… Insomma le Parche sarebbero “fini
a se stesse” nel distribuire doni ai mortali: taccagne! Se il
nome di Napoli è quello della creatura mortale
Parthénos (vergine),
una sirena bellissima, dolcissima, femminilissima ma…ahinoi!…
inviolabile, asessuata e non prolifica, per giunta oppressa dal
fato drammatico e triste che la condusse alla morte… praticamente,
uno spietato caso di “nomen omen”… i dettagli per comprendere
il destino di Napoli sono a questo punto lampanti! Paradossalmente,
il popolo napoletano ch’è figlio della Sirena, si sarebbe riprodotto
– nomen omen – per PARTENO-GENESI, tenuto presente che in natura
la partenogenesi è un modo di riproduzione in cui lo sviluppo
dell’uovo avviene senza che questo sia stato fecondato… già li
vedo, i napoletani, gloriarsi in proposito, convinti d’essere
“razza eletta” ovvero il prodotto di un’altra mistica “Betlemme”
in terra, anche loro di origine divina… ma devo assolutamente
frenare l’ingiustificato entusiasmo, aggiungendo subito che la
modalità della partenogenesi è comune solo – testualmente - a
“piante e animali INFERIORI”. Soprattutto osservando il prodotto
del ripetersi delle clonazioni nelle ultime generazioni napoletane,
in particolare la sua classe dirigente, non v’è ombra di dubbio
circa la partenogenesi napoletana. Se foste
ancora ostili o alquanto
increduli, aggiungerò un altro elemento a favore della tesi della
moltiplicazione dei napoletani per partenogenesi: cosa nascose
Virgilio “mago” nelle fondamenta di Castel dell’Ovo?… lo dice
il nome stesso del luogo; un UOVO!… Ebbene, è il famoso uovo di
un animale inferiore, non fecondato, dal quale per PARTHENOS-genesis
si sarebbero clonati all’infinito esemplari quali, tanto per fare
qualche nome: TORE 'e CRESCIENZO.... LIBORIO ROMANO... quindi
i contemporanei, tanto per citare qualche nomen omen: POMICINO…
BASSOLINO… eccetera... Non ci resta che sperare nell’avverarsi
della profezia virgiliana ovvero nel frittatone finale di quell’uovo
ormai marcio!
Inviato da Anonimo
il 24/01/07 @ 18:23
Grandeee! Che fantasia che cultura che dialettica!
Complimenti!
Laura Ruocco.
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N°125 del 20-01-2007 - 10:29
Tags: Identità
Parlami e ti dirò chi sei
di Mario Carillo
La presidente
del Consiglio regionale Sandra Lonardo e il vicepresidente Salvatore
Ronghi in un incontro con il consigliere provinciale Luigi Rispoli
e con docenti, storici e cultori della lingua napoletana, si sono
impegnati a sollecitare la VI commissione cultura del Consiglio,
"affinché venga approvata, in tempi brevi, la legge per l'insegnamento
della lingua napoletana nelle scuole medie". L'iniziativa, partita
del capogruppo di Alleanza Nazionale, Luigi Rispoli fu presentata
il 22 marzo scorso al Consiglio Provinciale ottenendo il massimo
consenso dell'assemblea. Dal mese di maggio è ferma a Palazzo
di Santa Lucia. "La lingua napoletana - ha dichiarato Rispoli
- è una grande opportunità ed un grande patrimonio culturale che
va salvaguardato, al di là delle appartenenze politiche. Nella
Regione Lazio sono stati più tempestivi di noi, approvando all'unanimità
una legge per la tutela e la valorizzazione dei dialetti laziali
con particolare riferimento al romanesco". I convenuti hanno rappresentato
alla Presidente "che, al pari dello studio di lingue 'morte' come
il latino ed il greco, di cui giustamente nessuno contesta la
validità dell'impegno perché rappresenta un modo per avvicinarsi
alle civiltà di cui quei sistemi linguistici erano espressione
e di cui noi oggi siamo eredi, allo stesso modo lo studio della
lingua napoletana può rappresentare un modo per fare riscoprire,
soprattutto ai nostri giovani, le nostre radici". La Presidente
Lonardo si è impegnata, come accennato all'inizio, a portare l'argomento
all'attenzione della Conferenza dei Capigruppo al fine di far
giungere il provvedimento all'esame dell'aula sin dalle prossime
riunioni del Consiglio Regionale. Nel convegno svoltosi nell'autunno
scorso a Santa Maria La Nova, il presidente della Provincia Dino
Di Palma, ricordò come "i nostri emigranti, con tutte le contaminazioni
dei vari casi specifici, continuano a parlare in dialetto napoletano
e non italiano, conservandone la musicalità". Nel cordiale incontro
la delegazione formata da Silvana Capuano, Umberto Franzese, Franco
Lista, Carlo Iandolo, Maurizio Cuzzolin, Mario Carillo la presidente
Lonardo non ha escluso un seminario con la partecipazione di una
nobile napoletana trasferitasi negli Stati Uniti dove ha costituito
un'Accademia del dialetto napoletano. L'editore Cuzzolin, ha rilevato
come i libri sulla napoletanità, rispetto a quelli di altre regioni,
sono i più venduti a livello nazionale. Iandolo, autore della
grammatica napoletana ha ricordato che in molte università italiane
esistono cattedre di lingua partenopea. Nel progetto di legge
è prevista l'istituzione dell'Accademia della Vicaria Vecchia,
punto di riferimento per la conservazione di elaborati, ricerca
storica e linguistica, percorsi formativi, preparazione di una
grammatica e un vocabolario, archivi sonori e videocinematografici.
La Direzione Generale per gli Ordinamenti Scolastici, per il quarto
anno consecutivo, ha approvato un piano d'interventi e di finanziamenti
per la realizzazione di progetti nazionali e locali nel campo
dello studio, delle lingue e delle tradizioni culturali. Rientrano
in questo piano, la lingua sarda, friulana, arbereshe, croata,
ladina, slovena, germanica, francese-occidentale-franco/provenzale,
un ricco patrimonio a rischio estinzione. L'auspicio degli intervenuti,
come per la lingua arabesche che si parla a Greci in provincia
di Avellino e molti paesi del Molise, anche per la lingua napoletana
la Regione Campania, approvi al più presto, una legge per la difesa
dell'idioma partenopeo.
nella foto: il consigliere provinciale Luigi Rispoli
Caiazzo-Santo Stefano Menecillo Rinvenuto sarcofago dell’anno 1023
Importante scoperta archeologica presso la Cattedrale di Caiazzo
dove, mentre erano in corso lavori per il risanamento di alcune
macchie di umidità provenienti dalla pavimentazione, è
emerso il sarcofago che ha custodito il corpo di Santo Stefano
Menecillo, Vescovo e Patrono della Città di Caiazzo. Lungo
due metri e largo ottanta centimetri, il sarcofago scavato in
un unico blocco di tufo fu portato alla luce per la prima volta
nell’anno 1512 ad opera del Vescovo Vincio Maffa il quale, dopo
vari tentativi, ritrovò il corpo del Santo che era rimasto
nascosto per circa 500 anni. Stefano Menecillo, consacrato Vescovo
il 1 novembre del 979 nella Chiesa Metropolitana di Capua governò
la Chiesa Caiatina per 44 anni e morì il 20 ottobre dell’anno
1023; da allora il culto e la devozione dei caiatini per il santo
protettore non si è mai interrotto. «Un’eccezionale
scoperta -ha dichiarato monsignor Antonio Chichierchia, parroco
della cattedrale- sia dal punto di vista archeologico che religioso.
Una grossa emozione quando, in seguito al cedimento di una volta,
è emerso il sarcofago che ha custodito il corpo di Santo
Stefano; quello stesso sarcofago che il vescovo Vincio Maffa ritrovò
nell’anno 1512. Sulla sommità del blocco di tufo vi è
la lapide che lo stesso Vescovo fece apporre a seguito del ritrovamento
del corpo del Santo e che reca la seguente scritta:
“DIVI STEPHANI CAPUT ED OSSA HINC EXUMATA VINCIUS SALERNITANUS,
TUNC CALATINUS EPISCOPUS CUM POPOLI APPLAUSU, PULPITO RECONDI
CURAVIT ANNO DNI MDXII – XXVIII MAJI”. Questa scoperta consente
di affermare con esattezza che il primo ritrovamento avvenne nell’anno
1512, il giorno 28 di maggio e non il 24 o addirittura il 2 maggio
come veniva finora riportato dagli storici. Dell’importante evento,
avvenuto nel corso di lavori regolarmente autorizzati, ho dato
subito comunicazione a Sua Eccellenza il Vescovo Pietro Farina
ed alla Soprintendenza affinché gli organi superiori possano
disporre nel merito per una degna valorizzazione del sacro luogo
dove, com’è scritto nei libri di storia, nel passato avvennero
diversi miracoli ad opera e per intercessione di Santo Stefano.
Tra poco il sarcofago sarà visitabile per i fedeli i quali
potranno ancora di più avvicinarsi a Colui che per il popolo
di Caiazzo rappresenta la guida, la fortezza e la roccia di fede».
Grande entusiasmo per il ritrovamento della tomba del Santo si
è registrato anche presso la comunità di Macerata
Campania che ha dato i natali a Santo Stefano Menecillo.
foto teleradionews
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N°111 del 07-01-2007 - 22:27
Tags: Identità
Bandiera arlecchina
per il Paese di Pulcinella di Marina Salvadore
La matematica è un’opinione? L’uomo della strada si chiede: L’Italia UNA non ha
neppure 150 anni eppure la sua bandiera, oggi, festeggia il 210.mo
compleanno. Qualcosa non torna. Viene spontaneo pensare agli ignari
sovrani degli italici stati pre-unitari che di certo, nel 1797,
manco nella lettura della palla di cristallo e delle profezie
del Ragno Nero avrebbero lontanamente immaginato, all’apice della
“sovranità”, di dover smammare dalla Storia con le singole identità
e geopolitiche, per svanire sotto un drappo tricolore, nonostante,
qui e là, qualche intemperanza di qualche isolato reazionario
quasi sempre filo-massone. Che il nostro variegato popolo italico
si sentisse italiano e tricolore già nel 1797 è fantascienza a
bordo della macchina del tempo! Umilmente dichiarando tutta la
nostra ignoranza invochiamo lumi in proposito ai dotti professoroni
di storia patria, se avranno la bontà di dedicarci un po' della
loro scienza umanistica. Altro dilemma curioso riguarda l'ultimo
Plebiscito italiano che vide trionfare la Repubblica sulla monarchia
sabauda; ancora oggi, la Repubblica si ammanta delle vestigia
e dei simboli sabaudi: l'inno di Mameli ed i corazzieri, per citarne
qualcuno. La retorica regge difficilmente in equilibrio le motivazioni
ed i metodi che si spesero per fondare alla chetichella l'Italia
UNA e alla "carlona" si arrabatta monocorde tra una "botta" di
Risorgimento ed una "botta" di Resistenza, ammannite fino alla
nausea per tener desto lo spirito nazionale ed un'italianità che
a distanza di centocinquant'anni è ancora evanescente. Se qualcuno
avesse l'intelligenza di spiegare agli "italiani" tutti i misteri
ed i peccati che concorsero alla Unità fatta di indiscutibili
pregi (per pochi eletti) ma di eclatanti difetti, finalmente ci
si potrebbe intingere nell'italianità e non sentirci più terra
di conquista; forse, cesserebbero anche tanti "razzismi" tra le
etnìe italiche del "sù" e del "giù". Finchè perdurerà il dogma
ovvero questo tabù, prolificheranno le contraddizioni, gli inganni,
i comportamenti illeciti, le esterofilie alla ricerca di bandiere
più consone. Errare è umano, la Storia ritorna spesso sui suoi
errori, così come è in grado di rivendicare se stessa. Dai "padri"
della Patria abbiamo ereditato il peggio: capita l'antifona, da
sempre ci sforziamo di emularli, soprattutto nella contraddizione.
Questo è, infatti, quello strano Paese dove qualcuno fa lo sciopero
della fame e della sete contro la Pena di Morte, mentre due settimane
prima aveva combattuto contro la Pena di Vita. Che differenza
c'è tra una sentenza capitale e l'eutanasia... o... ad esempio,
l'aborto? Non è comunque pratica di morte provocata da mano umana?...
Perchè tutta questa caritatevole pietà per Saddam e non anche
per le migliaia di sudditi condannati a morte ogni anno in Cina?
Perchè invocare i diritti umani per Saddam e calpestarli e rinnegarli
nei confronti dei cinesi, degli americani stipati nei bracci della
morte, delle donne in chador lapidate ogni anno? Per loro, chi
scende in piazza, chi chiede moratorie, chi sciopera?... Eppoi,
gli italiani, glistessi che aiutarono l'America a fabbricare Saddam
ed a stringere, poi, la mano a Bush per averlo buttato via...
gli stessi che praticano, oggi, il buonismo pro-Saddam, dimentichi
della vergogna di piazzale Loreto! Gli italiani che combatterono
la Mafia la rivollero poi a curare lo sbarco alleato in Sicilia
ed il buon Lucky Luciano si cambiò d'abito come un trasformista:
da bandito a istruttore dei partigiani, paracadutato come l'eroe
Nembo Kid in montagna. I vandeani del Mezzogiorno, invece, nel
risorgimento, ce li cambiarono da partigiani in banditi... Altre
contraddizioni, sintomo del costume italiano? Pagare i ricercatori
ottocento euri al mese con contratto a tempo determinato ed i
calciatori e le veline milioni di milioni. Pagare le forze dell'ordine
con stipendi da fame, fargli rischiare la vita per assicurare
criminali alla Giustizia che vengono poi rimessi in libera circolazione,
carichi dell'opportuno spirito di vendetta verso chi li aveva
arrestati.... "Lavorare" appena 35 mesi, i deputati (anche quelli
già ricchi che fanno la "spesa proletaria" dove noi paghiamo anche
i sacchetti con il logo pubblicitario dell'esercizio) per assicurarsi
una super-pensione a vita e mandare in pensione i veri lavoratori
solo quando sono all'ultimo stadio della mummificazione... Promulgare
una legge Finanziaria durissima ed iniqua per la gente comune,
con la scusa di riparare ai disastri economici degli anni precedenti,
darle lo "start" al primo di gennaio, per poi confessare, il tre
di gennaio, che quei disastri non c'erano e che... anzi... si
sono avuti risultati economici impensabili!... Dichiarare di voler,
per onestà, eliminare le spese ministeriali superflue ed inutili,
per riossigenare le casse e magari destinare fondi alla ricerca,
alla sanità, alle dame di san vincenzo, agli orfanelli... eppoi
organizzare i conclave ministeriali fuori delle sedi deputate,
in località prestigiose, muovendo migliaia di poliziotti, carabinieri,
vigili urbani, giornalisti e giornalai, Tv, elicotteri, automobili,
mezzi corazzati, camerieri e maggiordomi, autisti, segretarie...
spendendo e spandendo per ogni starnuto che a questi "cesari "
gli capiterà di fare in un conclave peraltro non di emergenza.
Meno male che hanno inventato le teleconferenze... forse, le usano
solo per chattare su Yahoo!... Altre contraddizioni?... Pagare
un canone alla RaiTV per vedere repliche delle repliche ad ogni
ora di ogni giorno ed imbottirci di demagogia e pubblicità pro-consumismo,
come dei masochisti!... Ed ancora... dichiararsi padano, anti-italiano,
anti-tricolorico e sedere nel Parlamento Italiano... Se non è
questo il Paese di Pulcinella, fate voi... ma per rimanere sudditi
di questa Commedia dell'Arte allora non basta un tricolore sotto
cui identificarci: ci vuole una bandiera multicolore, arlecchina!
Arlecchino, servo di più padroni!
Inviato da Anonimo il 07/01/07 @ 22:38
C'è tanta malinconia nelle tue parole! Tutte vere! oh serva Italia di dolore ostello, nave sanza nocchier in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello! (Dante) Noi la vorremmo diversa: gloriosa come l'antica Roma non imperiale ma dal cuore generoso come i tanti eroi che l'hanno innalzata dal fango e che ora questi ominidi di fine impero del male la vogliono riportare: Viva l'Italia, mia sirena e mio crudo dio dei colori zumati viva l'Italia una ed indivisibile con il cuore rosso di passione, verde di speranza e bianco come il candore del giglio napoletano. ad majore Megaride sirena dalla voce sempre limpida e generosa, ad majora mio caro dio delle zumate che con le tue immagini freni il colare del sangue partenopeo. suddalcuorealzato
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Inviato da Anonimo
il 08/01/07 @ 00:49
da "Breve storia del nome Italia" Il nome Italia
inizia ad essere usato nel sesto secolo avanti Cristo e si riferisce
solo alla regione che oggi chiamiamo Calabria.
Alla fine del '700 si manifestano i primi segni del Risorgimento Italiano.
Nel 1797 a Reggio Emilia uno degli Stati satelliti creati in Italia
da Napoleone, la Repubblica Cispadana, adotta la bandiera tricolore,
che poi diventerà la bandiera d'Italia. Vengono considerati primi segni
del Risorgimento Italiano anche la Repubblica Romana (1798) e la Repubblica
Partenopea (1799). Nel 1802 Napoleone si proclama Presidente d’Italia,
e poi Re nel 1805. Ma il suo Regno d'Italia comprende solo il Nord e
dura pochi anni. Nel 1814 lo stesso Napoleone, prigioniero all'isola
d'Elba, dichiarerà di voler riunificare l'Italia Nel 1814 Gioacchino
Murat, Re di Napoli e cognato di Napoleone, nel "Proclama di Rimini”
inneggia all'unificazione e all'indipendenza d'Italia (v. punti 140
e 141). Ma pochi mesi dopo, la Restaurazione ad opera del Congresso
di Vienna riporta tutto come prima. Il ministro austriaco Metternich
spegne le speranze dei patrioti italiani con un'affermazione che oggi
viene spesso abbreviata in questi termini: "L'Italia è solo un'espressione
geografica". In realtà l’affermazione originale di Metternich è più
completa e meno drastica. Redazione