ARCHIVIO
Prima
pagina
Arte
e spettacolo
Attualità
Comunicati stampa
Copertina
Cron(i)che Napolitane
Denunce ed appelli
Economia e sviluppo
Editoriali
Eventi socio-culturali
Fotoreportages & VideoNews
Giustizia
Identità
Messaggio N°12
Primato Meridionale
commenti
0
Messaggio N°26
La Febbre è prossima
commenti
5
Messaggio N°28
chiAma Napoli
commenti
0
Messaggio N°32
Considerazioni sui massimi sistemi
commenti
0
Messaggio N°58
La città del mistero: Napoli o Partenope
commenti
0
Messaggio N°82
Il
silenzio di Megaride
commenti
5
Messaggio N°86
Bandiera
identitaria
commenti
0
Messaggio N°94
Il
Mercato del Tempo Andato
commenti
0
Anno
2007
Anno 2008
Lettere
al Direttore
Personaggi
Piove (Governo Ladro)
Pizza e mandolino
Politica
Rassegna stampa
Segnalazioni utili
Società
Storia-Miti-Eroi
Turismo
|
Messaggio
N°94 del 26-12-2006 - 15:06
Tags: Identità
Il
Mercato del Tempo Andato
di Marina Salvadore
… Scandisce
il tempo l’orologio della Storia… di quell'antica Storia chetroppo
spesso obliata, diventa leggenda…e ch’è tuttavia viva sin da quando,
ben prima degli orologi, il sole e la luna, albe e tramonti…eppoi
le stagioni… eppoi i frutti ed i pesci, le semine e le messi, le
erbe e i fiori…e le voci del “mercato” scandivano l’inesorabile,
perfetto, trascorrere del tempo, su i gesti del passato e le attese
del futuro…quando – viaggiatori del tempo e dello spazio, nella
luce del varco d’uscita da un buco nero tra le galassie – in ogni
era ritrovavamo puntualmente sui banchi del Mercato del Tempo
Andato immagini di noi, così quali eravamo… Il Turismo privilegia
esclusivamente città italiane del centro-nord intese quali Città
d’Arte relegando ingiustamente Napoli – ch’è una città che rivela
la sua storia attraverso vestigia plurimillenarie – nei bassifondi
del folklore, nell’iconografia stereotipata di “pizza e mandolino”
nonostante sia Culla della Civiltà. E' vero che la microcriminalità
locale è un forte deterrente ma il problema di fondo è che i napoletani
medesimi non hanno consapevolezza della loro Storia; occultata
quindi dimenticata e ciò equivale ad immensa mancanza di rispetto
verso se stessi, verso le proprie radici ed anche verso le future
generazioni. I napoletani dovrebbero imparare a camminare, metabolizzandole,
attraverso le vestigia, le fonti ancora riconoscibili del loro
Passato, ch’è molto più remoto di quello di altre città italiane,
perché Napoli può offrire al mondo intero un panorama artistico
che va dall’arte antica alla moderna, in traboccante profusione.
A Napoli le pietre “cantano” e “raccontano”, sfogliando l’infinito
libro di pietra e tufo che non consentirà mai alla nostra città
di globalizzarsi negli usi, costumi e tradizioni e meno che mai
nello spirito identitario di questa meravigliosa patria. Anche
i napoletani più informati continuano a credere che la magnifica
San Lorenzo sia la Chiesa più antica della metropoli e quasi non
conoscono – se non, forse, qualche vecchio abitante dello storico
quartiere Mercato-Pendino – una delle più antiche Chiese della
città: S.Eligio Maggiore… Eppure, la celebre erma di fattura greco-arcaica
della sirena Parthenia – conosciuta quale “Marianna ‘a Capa ‘e
Napule”, il cui originale manufatto è ora visibile a Palazzo San
Giacomo, costretto tra lapidi inneggianti ai martiri dell’effimera
repubblica partenopea eppoi a Garibaldi e all’Italia UNA - trionfava
in tempi remotissimi, alla stregua di una golena sulla prora della
città ad accogliere le genti dal mare che nell’antico quartiere
del Mercato, porta di accesso alla città, sbarcavano. Probabilmente,
ornava un tempio dedicato alla sirena Parthenia. Nel medesimo
quartiere, la popolarità assunta dal culto della Madonna Bruna
nel tempo ha favorito sempre più il “primato” (se così si può
dire) della vicina Chiesa del Carmine, togliendo smalto e afflusso
di fedeli alle splendide chiese, architettonicamente UNICHE, di
S.Eligio (angioina) e della ancor più antica San Giovanni a Mare
(aragonese, così detta perchè il mare la lambiva), vittime per
anni anche dell’incuria che segue all’oblio. Esempio eclatante
dell’incuria è anche la Chiesa di Santa Croce al Mercato, oggi
chiusa per restauri…lenti… ed ormai dimentica dell’icona simbolica
che provvide ad ispirare la sua fabbrica: la stele in pietra sormontata
da una croce, a ricordo del supplizio di Corradino di Svevia nella
pubblica piazza… Addirittura, questo tempio - restaurato religiosamente
dai Borbone quando andò distrutto a causa di un incendio sviluppatosi
in seguito allo spettacolo pirotecnico del falò del vicino campanile
del Carmine - fino a qualche anno fa, veniva impropriamente utilizzato
quale deposito di giocattoli… Nella piazza, le due antiche fontane
settecentesche che servivano per abbeverare il bestiame, nonostante
siano state restaurate, sono state ancora derubate dei glifi e
dei leoni che ornavano di ognuna le quattro vasche e trionfano,
come obelischi, sulle montagne di rifiuti, dalle quali - specialmente
durante ogni "alta marea" di "emergenza monnezza" - spuntano per
un terzo della loro altezza, come gli "zen" dalle cuspidi delle
piramidi d'Egitto. Nel medesimo quartiere la Storia e le Vestigia
ad essa connesse sono state orribilmente accerchiate e sommerse
dalla speculazione edilizia, mediante la costruzione di mostruosi
condomini da squallida periferia…l’antico “mercato” del bestiame
che vi si teneva e le botteghe artigiane e le corporazioni che
vi pullulavano sono state sostituite da altri tipi di commerci….La
Storia, con i suoi Corradino, Masaniello e fra’ Diavolo, emblemi
della nostra Identità, giace appassita e incolore solo in polverosi
tomi e volumi addormentati sugli scaffali delle biblioteche, scritti
in maggior parte da stranieri conoscitori e amanti della nostra
Civiltà. Ma la Storia non può morire: non avremmo un futuro senza
cognizione del passato! La Storia è come una rosa del deserto;
basta una sola goccia di rugiada, per rianimarla. Celebrare i
nostri trascorsi significa anche sottolineare l’indistruttibile
connubio tra Fede e Civiltà che ha caratterizzato, nei secoli,
la Tradizione del popolo napoletano, il suo stesso humus. E’ bene
ricordare che il solo centro storico di Napoli conta più chiese
dell’antica città di Barcellona nella cattolicissima Spagna. Ed
è estremamente importante, in questa cruenta epoca di confusione
e declino morale, riproporre alle anime senzienti ma distratte
quell’inscindibile connubio, anche solo attraverso semplici informazioni,
senza scomodare gli accademici di solito impegnati in vetusti
salotti d’elite, che finirebbero col distogliere la già scarsa
attenzione che lo stress della vita moderna è in grado di concedere
ai comuni mortali. Le antiche pietre riprendono a “cantare” ed
a raccontare le storie della nostra Storia, tra le cui pagine
poter ritrovare qualcosa di bello e di buono che stimoli positivamente
la consapevolezza del presente mediante la cognizione del passato,
perché sia possibile intravedere un possibile futuro per la nostra
Civiltà. Necessita più che mai offrire Napoli ai napoletani, perché
se ne riapproprino consapevolmente. Perché la amino e la rispettino...
Perchè non si può amare ciò che non si conosce!
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0
-------------------------------------------------
Messaggio
N°86 del 18-12-2006 - 20:44
Tags: Identità
Bandiera
identitaria
dagli appunti di Angelo Manna
...
La lingua è corpo, non è testa, è sangue,
non è cervello. Le sue chiavi sono magiche ed è
il popolo a custodirle. Una parola pronunciata da
un popolano
ha un senso e un sapore che non sempre possono essere colti,
compresi dal letterato che è abituato a starsene comodamente
dietro una pila di libri, dietro una scrivania nel suo studio
isolato, panoramico, privilegiato da una grande quantità
di lauree e diplomi, luccicante di coppe e di medaglie. E
così un modo di dire racchiude a volte un’esperienza
storica che il popolano non conosce ma che ripetendo fa rivivere,
e che il dotto, il letterato,perfino l’esegeta non riescono
a penetrare, se non si calano in esso con umiltà.La lingua
di una nazione non è quella che parlano i suoi reggitori,
ma è quella che parla il suo popolo, perché
è il popolo il suo “inventore” continuo, il suo sacerdote,
il custode delle sue ortografie e delle sue fonazioni. I letterati
la forzano, la violentano, anticipano abusivamente evoluzioni
che non è detto che naturalmente si verificherebbero,
e che, semmai dovessero verificarsi, si verificherebbero secondo
natura, e cioè per gradi, rispecchiando l’evoluzione
sociale del popolo: perché popolo e lingua hanno sempre
lo stesso identico destino.
La lingua è il termometro della civiltà di un
popolo, il popolo è una vicenda narrata dalla propria
lingua.
Nella lingua di Napoli tutte le sofferenze del popolo di Napoli,
tutte le felicità, i sentimenti, i moti dell’anima e della
testa. Un letterato che violenti il linguaggio del popolo
e in TV faccia dire ad uno dei suoi personaggi inventati da
lui “ me so’ comprato dudece ova” tradisce il popolo il quale
ha sempre detto “ m’aggio accattato na dozzina d’ova” , inventa,
abusa, tradisce Napoli per una manciata di milioni: e la scusa
che il suo lavoro traditore deve essere compreso anche a Pordenone
e a Pinerolo è un’aggravante. E’ corpo la lingua di un popolo,
non è mai testa, è sangue, non è cervello. E le sue chiavi
sono magiche, ed è il popolo, soltanto il popolo a custodirle.
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0
-------------------------------------------------
Messaggio
N°82 del 15-12-2006 - 17:55
Tags: Identità
Il
silenzio di Megaride
di Marina Salvadore
Lei
era solare, flessuosa, appassionata e ciarliera. Viveva attaccata
alla sponda di Partenope, portandosi dietro l’oltraggio della
sua coda pescina che non le consentiva di toccare terra, di
camminare, correre, saltare sulla terraferma. Viveva perennemente
attaccata allo scoglio, per illudersi di condividere con i
pescatori di sotto il Castel dell’Ovo un vivo spirito di condominio,
per sentirsi parte di quel popolo del quale ascoltava, rapita,
i suoni onomatopeici della lingua, i canti struggenti, gli
accordi di chitarra, le parole d’amore, la passione di una
lite tra innamorati… i passi di una danza popolare e il suono
della tammorra… il profumo dei fiori d’arancio di una “pastiera”
o di un corteo nuziale… Non si rendeva conto di quanto fosse
stata fortunata a nascere sirena e non donna, a godere di
quel gran privilegio datole dal suo punto naturale di osservazione
del mondo…
poiché ignorava quanto Napoli fosse maledettamente bella… ma
solo se vista dal mare e dal cielo.
Cantava Megaride, nelle notti di luna piena sul golfo,
intrecciando le sue note argentine ai bagliori tremuli di stelle
d’argento sul pelo dell’acqua. Cantava le storie, i volti, le
voci di secoli e secoli di umanità, splendori e rovine di uomini
e donne passati su quella sponda. Cantava del bene e del male di
generazioni sempre appassionate, vitali, comunque sollecite nel
bene quanto nel male… scolpite nella luce o nelle tenebre,
comunque dotate di “carnalità”, di Passione; quel sentimento
instillato nei cuori delle genti marinare proprio dall’umoralità
scatenata del Mare Nostrum, esasperato dall’elemento del fuoco
vesuvino ma assente del tutto, assurdamente, nei cuori puri
delle creature marine che vivono di puro amore.
E la gente - gli indigeni ed i turisti - in ogni epoca
volgendo lo sguardo all’orizzonte, spaziando estasiati nel
surreale giro di giostra intorno al golfo… dal Castello al
Vesuvio, lungo la corona dei comuni vesuviani, fino a
Sorrento…quindi su Capri a fermare lo sguardo… sempre esclamava,
rapita :”Dio! Quant’è bella questa Napoli!” senza mai rendersi
conto che Napoli è quella che incombe alle spalle; non quella
riflessa nella baia azzurra di Megaride, confinante da Napoli
attraverso la linea segnata dai frangionde, dalle calette delle
imbarcazioni dei pescatori, dalle terrazze delle taverne
affacciate sul mare e dagli abbracci delle coppiette innamorate
incollate ai muretti. Lei, avrebbe voluto gridarlo, ogni volta,
che Napoli era solo lo specchio deformante in cui il suo regno
si rifletteva nel fuoco e nel tufo, trattenendo nella
“cartolina” i sentimenti, gli umori, la libertà e la potenza del
dio del Mare, che tanto aveva influito sul carattere dei
napoletani con il proprio carattere…fino a quando la divinità e
Megaride e le altre creature acquatiche ancora avevano il
piacere di parlare e di insegnare ai napoletani i misteri
divini.
Megaride cantava le leggende del mare ai napoletani e dei
napoletani raccontava le storie incredibili al Mare. Per
millenni, un’armonia perfetta, una musica celestiale, un canto
accorato si erano levati nel cielo su Napoli. Anche nelle epoche
infami delle ferite procurate dagli stranieri invasori a Napoli,
Megaride curava col sale del mare e quello delle sue lacrime
materne le ferite, ninnando soavemente sul suo seno e con dolci
melodie i vinti, i disperati, gli affranti figli suoi. E quel
canto risanava e rigenerava… e lo spirito del popolo di Napoli
riemergeva dagli inferi,ogni volta, con nuovi progetti e gioiose
speranze.
Poi,
lei vide nello specchio in cui si rifletteva il suo regno,
tempo dopo tempo, sfarinarsi lentamente quel presepe di tufo
e di fuoco, di case e di genti, si avvide che il sole baciava
sempre più raramente quella città non più
intrisa dell'aura azzurra del mare e che il grigiore del decadimento
abbrutiva i suoi figli che avevano preso a concorrere alla
distruzione della città, avendo smarrito oltrechè
tutti i doni del mare, speranze ed attese, amore e passione…
Megaride non cantò più.
Di lei
si raccontò solo la triste leggenda del bugiardo e
misogino Odisseo.
Non canta più, Megaride. Punisce con la peggiore delle
vendette i suoi figli ingrati e traditori: con il Silenzio
inquietante e terribile; unica potente arma di lotta ad uso
delle generose ma implacabili Sirene!
Inviato
da: vocedimegaride Trackback: 0 - Commenti: 5
Inviato
da kayfakayfa
il 16/12/06 @ 06:45
L'attualità del Mito, sapientemente
impastata dalla fantasia dell'autrice con la realtà urbana
di oggi, alimenta nel lettore nostalgiche rimembranze
di un passato lontano ma tuttora vivo nella memoria di
quanti sanno che Napoli non è solo la violenza e il disordine
che purtroppo conosciamo, bensì una città dove Magia,
sentimento, passione, genuina voglia di vivere si mescolano
tra loro come affluenti di un Grande fiume in cui purtroppo
convergono anche gli scarichi inquinanti di una società
cosi tesa all'accaparramento di danaro e potere tanto
da avere influito con la sua forza convincente a persuadere
i napoletani a non fermarsi un attimo ad ascoltare la
suadente voce della Sirena cantare la Vita, l'Amore. Perché
Megaride non ha deciso di tacere; la sirena non ha mai
smesso di cantare, sono i napoletani che hanno smesso
da tempo di ascoltarla...
Bellissimo il tuo post!!!!
------------------------------
Inviato
da vocedimegaride
il 16/12/06 @ 10:45
Intanto, grazie per aver manifestato
apprezzamento per il mio scritto. Trovo originale anche
la "variabile" che hai offerto, dalla quale potrebbe scaturire
un bel dibattito, posto l'amletico quesito: "E' muta la
sirena o è sordo il napoletano?"
-----------------------------------
Inviato
da kayfakayfa
il 16/12/06 @ 14:52
Davvero molto stimolante l'idea
di alimentare un dibatitto che abbia come spunto il dilemma
"è muta la Sirena o è sordo il popolo napoletanto?" Se
ti riesce di organizzare qualcosa del genere, tienimi
presente, vi presenzierò molto volentieri! Buona domenica,
Enzo
-----------------------------------
Inviato
da Anonimo
il 16/12/06 @ 15:58
Non resterebbe che tentare immergersi
nello stesso Mare ove nacquero «i sentimenti, gli umori,
la libertà e la potenza del dio del Mare, che tanto aveva
influito sul carattere dei napoletani con il proprio carattere…fino
a quando la divinità e Megaride e le altre creature acquatiche
ancora avevano il piacere di parlare e di insegnare ai
napoletani i misteri divini.». E ai napoletani di oggi
c’è quanto basta ancora di vivo in loro. Non è morta ,
la poesia, la canzone. Per esempio quando Russo e Di Capua
melodicamente inscenano «’I te vurria vasà». Ma la “sirena”
partenopea di questo scorcio poetico struggente, dorme
e con la sua bellezza sembra ammonire chi intende distoglierla
dal sonno. Il mitico “silenzio di Megarite” non lo permette
e allora non resta che entrare nel suo infero antro notturno
e far seguito al sommo desiderio del “bacio” soggiungendo,
«Ma ‘o core nun m’ ‘o ddice ‘e te scetà, ‘e te scetà.
‘I me vurria addurmì, i’ me vurria addurmì
Vicino ‘0 sciato tujo
N’ora pu’i’... N’ora pur’i’.».
Ecco, io credo che è questo un modo di capire la realtà
“marina” che è parte indissolubile del vero napoletano.
Egli in tal guisa è poeta e cantore: pure se nun è ghiut’
a’ scola, resta semp’ ‘nu guaglion’ 'nnammurat' dint’
‘o core. Da qualche settimana, colto da questo questo
“sentimento” smanioso di un irrinunciabile “senso di libertà”,
mi è piaciuto mettere su questo sonetto:
«QUANN’ERO GUAGLIUNCIELLO.
Ddoce è ‘a nuttata quanno
a fora, ‘o vient’ soscie forte.
Me stregn’ sott’ ‘e cuperte
e m’addormo penzanno.
Penzo a comm’era bello
quann’ero guagliunciello.
Complimenti per il post, molto vibrante. Gaetano Barbella
---------------------------------------
Inviato
da terranuova0
il 16/12/06 @ 19:08
Vedo con piacere che l'amico Gaetano
è entrato nel mare nostrum che bagna l'isolotto di Megaride
e da "perfetto " poeta usa il linguaggio della Bellezza
e dei Colori tipici di chi ha nel proprio sangue l'azzurro
del mare e il calore del Sole. Marina è brava: Mauro è
bravo. Vocedimegride ormai viaggia a ritmi velocissimi
verso il proprio essere un sicuro punto di riferimento
di chi ama il Sud senza finti isterismi o pietas deteriore.
Sono contento di Gaetano e conservo il piacere di averLo
come Ospite graditissimo nel mio blog.
BRAVI. Antimo Ceparano
-----------------------------------------
Messaggio
N°58 del 03-12-2006 - 12:47
Tags: Identità
La città del mistero: Napoli o Partenope
di Clara Negri
Napoli,
anticamente Neapolis, ossia Nuova città, appartiene
a una tradizione tutta incentrata sul mistero, l’occulto
e il femminile. Essa, e il suo incantevole golfo, che idealmente
va dalla Punta della Campanella a Capo Miseno, ha sempre
goduto di condizioni terrestri climatiche e magnetiche,
eccezionalmente buone.
Da circa tremila anni la zona partenopea palpita di vita
non soltanto per la sua terra ubertosa e fertile (essa veniva
appunto chiamata:Campania felix) ma soprattutto per la combinazione
naturale dei quattro magici elementi universali: Acqua,
Aria, Terra e Fuoco che hanno costituito l’amalgama ideale
per le innumerevoli alchimie mentali di uomini antichi e
moderni che si sono trovati a soggiornare in quei luoghi.
La città di Napoli è governata dal segno dell’Ariete
e dal pianeta Marte, dio del Fuoco, quindi ottimo rappresentante
del vulcano che la sovrasta: il Vesuvio. Ve, radice della
parola Vesuvio, secondo alcuni studiosi deriva da Venere,
sposa del brutto e gobbo Efesto, il fabbro degli dèi,
che aveva le sue fucine giusto nei vulcani. L’amante preferito
di Venere era però il focoso Marte, anch’egli, come
Efesto, dio del fuoco, nonché del ferro, della guerra
e…del sesso appassionato. Sappiamo tutti come finì
la loro storia adulterina, dopo che Efesto bloccò
con una rete il loro appassionato e illegittimo abbraccio
amoroso e poi li espose agli sguardi e al riso di tutti
gli dèi subitamente chiamati a gustarsi la scena.
Non è forse un caso che il metallo specifico dell’Ariete
e di
Marte sia il Ferro, che si trova in grande abbondanza
proprio nelle acque sorgive della città, in particolare
nella zona Chiatamone, che furono e sono tuttora chiamate
Acque ferrate. Come detto, Napoli è la città
magica per antonomasia ma è soprattutto città
femmina
perché ogni suo aspetto esalta i simboli femminili
tanto vituperati negli ultimi due millenni esasperatamente
maschilisti e fallocratici. Essa nasce nel IX secolo a.C.
sulle rocce del Monte Echia, odierno Pizzofalcone, alle
spalle di Santa Lucia. Secondo alcuni studiosi Echia risalirebbe
a Euplea,altro nome dato ad Afrodite, la dea della bellezza.
A questa dea i rodii eressero un piccolo tempio in una grotta
di Posillipo (che in greco vuol dire:pausa dal dolore),
verso la Gaiola, innalzandole una statua marmorea ai cui
piedi vi era un bassorilievo in marmo raffigurante scene
dell’Olimpo.
Si racconta che molto prima che scoppiasse la Guerra di
Troia alcune tribù preelleniche di razza camitica,
scacciate dalla loro terra di origine e abilissime nel solcare
i mari con agili imbarcazioni, si trasferirono sulle coste
dell’Italia meridionale, e della Campania in particolare.
Queste tribù, chiamate dei “Teleboi” (egei e rodii)
si stabilirono quindi sulle nostre coste, attirati dalla
dolcezza del clima e dalla bellezza dei luoghi. Costoro
praticavano il culto delle Sirene, culto risalente però
a tempi ancora più remoti degli antichi popoli siro-anatolici
dell’Asia Minore, assimilati solo nel 1400 a.C.
Questo culto è molto più complesso di quanto
si può immaginare perché affonda le sue radici
in quello delle dee-madri, un tempo considerate le uniche
detentrici della Conoscenza, della vita e della morte. I
nostri lontani progenitori avevano infatti un’unica grande
divinità femminile-lunare che occupava il posto principale:
Dêmeter, ovvero Dâ Mater o Terra Madre), riconosciuta
come padrona del mondo visibile ed invisibile, della terra,
del cielo e delle acque. Vi erano poi divinità femminili
minori associate a questi elementi, e al mare in particolare,
alcune chiamate Ninfe, altre Sirene.
Le Sirene, in un lontano matriarcato, erano esseri alati
col viso di fanciulle e il corpo di uccelli, detentrici
della parola sacra che ammaliava per la loro dolcezza e
veniva ascoltata come divino canto. I loro luoghi di residenza
erano soprattutto le meravigliose regioni del meridione
tra Napoli e Sorrento, che venivano chiamate Seirenea, nome
che indica una specie di api, insetti che possiedono un
simbolismo regale che risale addirittura a Caldei ed Egizi.
A questi insetti è associato il dono dell’eloquenza,
della poesia e dell’intelligenza e, nei misteri Eleusini,
anch’essi femminili, le sacerdotesse venivano chiamate api.
essendo considerate alla stregua di sacerdotesse o pitonesse
che possedevano il dono della profezia. Nell’Odissea di
Omero esse così parlano: “noi tutto sappiamo di quel
che avviene sulla terra nutrice dove gli uomini nascono,
vivono e muoiono. Nessuno si allontana da qui se prima non
sente (il nostro canto) e pieno di vigore riparte, conoscendo
più cose”.Col finire dell’era matriarcale e col nascere
di quella patriarcale il femminile però venne sempre
più demonizzato e il loro corpo di uccello fu trasformato
in quello d’un pesce, in rapporto analogico col simbolismo
delle acque, lunari e femminili.
Eraclito le definì “graziose baldracche” e Omero
le situò nei paraggi dell’Ade, la Porta degli Inferi,
che in seguito verrà individuata nel lago d’Averno.
Così,
a poco a poco esse persero il loro carattere iniziatico e ammaliatore
per entrare in quello infero, lascivo e distruttore dei mostri femminili
lunari connessi agli abissi marini. Ecco perché col tempo divennero
simili alle Lamie o arpie, nemiche dei navigatori che prima vengono
sedotti dal loro canto ammaliatore e poi, caduti in loro balia, crudelmente
uccisi.
A causa dell’inganno di Ulisse, che superò indenne
il pericolo mortale facendosi legare a un albero dai suoi
marinai a cui però tappò ben bene le orecchie,
le sirene Ligea, Leucosia e Partenope, ferite e umiliate,
si dettero spontaneamente la morte nelle acque di Capri
e, mentre i corpi delle prime due approdarono lontano, quello
di Partenope venne ad essere ritrovato sulle rive di Megaride,
nella zona compresa fra l’attuale Castel dell’Ovo e l’antico
Borgo Marinaro. Gli abitanti del luogo, impietositi, le
eressero un sepolcro e sorse così la città
che prese il suo nome: Partenope.
Per
questa ragione l’antica Napoli crebbe e si sviluppò nel culto d’una
semi-dea che la iniziò virtualmente ai misteri e all’occulto. La stessa
cittadina di Sorrento dovrebbe avere un rapporto etimologico con la
parola Sirena, così come lo hanno certamente le isole Sirenuse, enormi
scogli oggi chiamati Li Galli, di fronte a Positano. A testimoniare
l’antico rapporto tra Napoli e l’oracolo della Sirena oggi si può ancora
ammirare la splendida statua che raffigura una Sirena tra due delfini
nell’aiuola di Piazza Sannazzaro. Vi è poi il Corso Sirena che da Piazza
Procelle attraversa Barra oltre a numerosi elementi ornamentali su portoni
di antichi palazzi nella zona della vecchia Napoli.
web
personale di clara negri www.astrarmonia.com
immagini di Mauro caiano
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0
----------------------------------------------------
Messaggio
N°32 del 22-11-2006 - 19:33
Tags: Identità
Considerazioni sui massimi sistemi
di Antimo Ceparano
E’
impensabile che degli uomini debbano usare violenza verso i propri simili.
Accade che in metropoli coeve attrezzate con i più moderni sistemi
di pensiero alcune frange della popolazione vivano una condizione “infernale”:
costrette a subire le leggi di quello che loro stessi chiamano “sistema”
. Questi uomini convivono con l’incubo di una condanna a morte spesso
emessa nei loro confronti da tribunali eletti da personaggi raccapriccianti
e senza nessuna regola morale.
E’ il caso di quella genia di furfanti denominata “camorra”;
in realtà la “camorra” come organizzazione sociale
non esiste: esiste al contrario una malavita gestita da clan
territoriali spesso in lotta tra di loro, un po’ come succede
in Russia, negli USA o in Cina. La camorra è un’organizzazione
che con mezzi illeciti tende ad appropriarsi dei beni dello
Stato o del singolo: se questa definizione è esatta
allora significa che vi sono miriadi di camorre e che questo
termine deve intendersi estensivo e usabile anche per altre
realtà territoriali, oltre che per quella napoletana.
Il generale Della Chiesa usava dire che la mafia non esisteva:
credo che intendesse dare al significato della parola mafia
questo tipo di significato.
Combattere le camorre si può e si deve: una prima sfida
sarebbe quella di procedere all’istallazione di un inceneritore
per smaltire i rifiuti urbani del napoletano. Sappiamo che
il riciclaggio dei rifiuti urbani è da sempre un business
delle camorre territoriali. L’attivazione di un inceneritore
significa procedere ad una “messa in esercizio” di risorse
umane sotto-utilizzate e non impiegate sul territorio ma che
l’ente comunale e regionale paga e che rappresentano dei costi
notevoli a carico dei contribuenti: avremo così, l’esempio
valga per più casi, vigili urbani che nel mentre devono
controllare il territorio a loro affidato circa il perfetto
utilizzo dei contenitori dei rifiuti (la plastica nei contenitori
della plastica, il vetro in quello dei vetri e così
via…) possano svolgere un’adeguata funzione di educatori all’uso
del sociale, specie nei quartieri del sottoproletariato urbano.
Allo stesso tempo l’inceneritore può servire da volano
per l’attivazione di business paralleli al riciclaggio dei
rifiuti, quali il settore dei fertilizzanti, quello del riciclaggio
della carta (oggi ecologicamente conveniente), quello del
riciclaggio del vetro, oltre a quello già nominato
dell’energia alternativa. Se l’On. Bassolino ha fallito è
perché non ha saputo, o voluto, cogliere il nuovo che
veniva da una sfida seria e di vera trasformazione del territorio
urbano. Il sindaco signora Jervolino si è adeguata
alla gestione del quotidiano ma di fatto è come se
gestisse l’evolversi di un tumore maligno.
Le industrie sul territorio che oggi frenano la caduta vertiginosa
della città verso canoni sud americani, quali l’Ansaldo
e l’Alenia, dovrebbero entrare a pieno titolo in un organismo
extra parte dove programmare, insieme ad altre realtà
provenienti dai settori più vari, lo sviluppo industriale
di una città che essendo portuale non è assolutamente
a vocazione turistica! Ma che il turismo può affiancare
e trascinare verso una maggiore crescita economica.
Manca a nostro dire un coordinamento tra le forze sane e una
corretta visone non populistica ed elettorale delle forze
legate alla politica.
Napoli, il Sud ha tutto per farcela: mi domando c’è
la volontà e la reale convenienza per uscire dall’emergenza
voluta?
Pace e gioia.
Inviato
da: crocco57
- Commenti: 0
------------------------------------------------------
Messaggio
N°28 del 21-11-2006 - 23:07
Tags: Identità
chiAma Napoli
di Marina Salvadore
Chi
ama Napoli ha intima consapevolezza che Napoli esiste
oltre ogni volgare luogo comune, oltre ogni pittoresco
folklore, oltre la menzogna storica istituzionale,…oltre
l'offesa dell'ignoranza e del tempo. Chi ama Napoli
è ancora capace di vederla pulsare di vita
nelle antiche profondità del suo corpo di giallo
tufo imbibito di sole, di respirarla sulla superficie
del sacro calice d'acqua salata del golfo, di annusarla
lungo il sentiero delle spezie che cinge come corona
il suo cuore ardente di vigne, di agrumi, di arte,
di storia… profumato di umano genio e di tuberosa;
frutti e fiori…RADICI della sua fertile terra vulcanica. Silenzio!
Napoli parla a chi sa ascoltarla e racconta:
"Sono
nuda di panni eppur vestita di sale e d'acqua, di fuoco e di vento
e dall'eternità le mie ali leggere e possenti trattengono nel
fiero abbraccio questo cristallo di Paradiso, caduto sulla Terra direttamente
dalle mani congiunte di Dio.
Io
sono l'Angelo... il Deva, lo Spirito Immortale...
La Stella… la Sirena; ora il Castello su Megaride…
ora Nisida perduta dalle braccia di Posillipo… quindi
il Faro di questo luogo che mi fu affidato. Ho i mille
nomi che mi hanno imposto e altrettanti volti; ognuno
coniato nel tempo… dai "tempi" dei Mortali.
Vi fu chi, tra gli eroi omerici, mi scorse tra i flutti
di questo mare turchino e di metallo o tra le nuvole
arancio e viola di questo magnifico e terribile Cielo
Meridiano... o, anche, tra le pieghe della costa frastagliata
che qui si lancia - in lungo e in largo - dall'alito
caldo di messer Vesèvo nell'abisso, in rapido
balzo giù per le chiome dei pini, tra i rovi
e la ginestra, tra vestigia di rocche, ricordi di
pizzi e merli di templi e castelli decaduti, per sfiorare
più in basso gli odorosi agrumeti a mezza costa,
vigne e pergole, tra le cupole di mosaico e d'oro
zecchino delle chiese ed i tetti di rame e coccio
dei monasteri… per affondare le membra giù
in fondo, nei dolci giardini di fiori e spezie, palmeti,
gerani, affatate piantine di cetrangolo e fichi d'india,
distribuiti tra sfarinate di casarelle linde e austeri
palazzi, su e giù per scale, vicoli e scese…
eppoi, per numerose torri, grotte, insenature e fiordi
delle minuscole marine, tra barche e reti di pescatori,
a gloriosa corona dell'orlo dell'abisso Mistero Mare.
Altri, mi munì d'ali d'uccello e mi rassegnò
a popolar colonie di strigi piumate sulle
pareti scoscese
della costiera e sui minuti isolotti ... oppure mi
appellò regina delle Sirenuse, quando alle
ali gallinacee e agli speroni impietosi gli uomini
preferirono il fasciarmi in un corpo invitante di
donna, dal canto suadente e dalla coda pescina, perfidamente
seducente perché impenetrabile, asessuata,
contronatura, priva di fertile ventre... Oh! Quant'è
vero che la bellezza pura incute più gelido
orrore della mostruosa bruttezza! Non vi è
forse più familiare l'Ade di questo sfolgorante
Paradiso, che voi osate definire accecante? Sempre
e in ogni modo mi hanno percepito magnifica e terribile,
come magnifica e terribile è la suggestione
immutata di questo luogo che, invece, stringo materna
quale delicata creatura sul mio petto pulsante all'unisono
col pulsar delle stelle ed al ritmo incessante del
respiro del mare; talvolta, ninnandola al suono di
conchiglie e corni, d'antiche cetre, liuti, flauti
ed archicembali; tal' altra sollazzandola col tamburello,
il triccaballacche, il putipù e la voce di
un posteggiatore che accompagna e che racconta l'amara
storia del diletto figlio adolescente Corradino o
di uno dei tanti Masaniello "nemo propheta in
Patria"... Di quando - a questa creatura -rammento il suo antico censo marinaro, di quand'aveva
la flotta più imponente del Mediterraneo ed
anche, forse, d'Europa... ed allora improvviso sale,
come da canne d'organo, una musica trionfale: è
il dio
del vento che sfiora con le sue lunghe dita
i pinnacoli e le guglie delle nobili magioni e guglie delle nobili magioni e guglie delle nobili magioni
arroccate
sotto un cielo di stelle, laddove la storia di Napoli
da qui s'innalza come preghiera al Cielo, quale una
cattedrale gotica scolpita dalle note e dai silenzi
dei fasti. Lo sciabordio nelle
marine, la risacca, la spuma sulla e, la risacca, la spuma sulla
battigia della
calma, la tempesta e il fragore dell'onda, il frangersi
dei legni sugli scogli,… l'urlo vetroso del pietrisco…
Lo scalpiccio di sandali dei milioni di
antichi passi sulle scese del Decumano… Il crepitar
dei fuochi di taverna, in un presepe affollato di
San Gregorio Armeno… il vociare scanzonato dei bottegai:
così è qui composta l'orchestra ed il
coro di Dio!
Io
sono l'Angelo in piedi sull'ago della tua bussola,
segno il Sud tra i petali odorosi d'Oriente della
Rosa dei Venti che punta sempre il vorace Nord geloso.
Io sono l'anima della fornace che cuoce i pani per
il desco, le misere terraglie per le umili dimore
e le pregiate maioliche variopinte per i ricchi templi.
Sono lo scrigno di mille meraviglie… il forziere forzato
dai ladri d'ogni tempo e d'ogni guerra.Sono il genio che muove le mani del vasaio, del teatrante,
dell'artigiano di mille nobili mestieri ormai scomparsi;
quello che dirige le mani del direttore d'orchestra
nel tempio del San Carlo ed a San Pietro a Majella
e quelle che infilano l'ago che a Mergellina e a Coroglio
ripara con pazienza le reti e le vele sulla spiaggia…
Sono l'argento dei guizzanti pesci del mare e delle
mandolinate lune… piene di milioni di stelle… la farina
e l'acqua e il vento che mescolano nel tripudio a
Cerere la sacra libagione del frumento. Sono la luce
del Sole ardente, il plasma trasfuso ai succosi frutti
delle limonaie, il fuoco dell'elisir di lunga vita,
racchiuso religiosamente in ampolle, come reliquia
vivente del santo patrono di questa Terra.
Pigio il torchio delle profumate cartiere e con inchiostro
trasparente d'acqua di mare scrivo sulle migliaia
di fogli, odorosi di fiori campestri, tutte le storie
della incredibile Storia di quest' ameno luogo. Io
sono - assieme - l'eccelso spirito di Partenope e
la carnale sua serva Napoli! Ho il potere, da millenni,
di risvegliare dalla catarsi i dormienti, i misogini
odissei, gli ignavi, gli indifferenti, i distratti,
suscitando con il fulgore della mia spietata bellezza
e con il fuoco di questo cristallo di Paradiso, lo
sgomento, la scossa, l' "insulto opossico"
necessario ad ogni creatura che deve rinascere al
mondo superiore, alla consapevolezza… alla maestosità
di Dio, perché non si perda in eterno nel vuoto
infinito della bestemmia di un Limbo o vaghi esule
morto vivente nella Terra di Mezzo dei suoi dèmoni
istinti. Io, spezzo il fiato! Rigenero! Tu, invocami
se m'ami…Nelle tue tristi notti forestiere CHIAMA NAPOLI ed io, Partenope, verrò a regalarti
una carezza, una canzone…la promessa di un ritorno
e… un sogno."
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0
---------------------------------------------------------------
Messaggio
N°26 18-11-2006 - 22:06
Tags: Identità
LA FEBBRE E’ PROSSIMA
di Andrea Balìa
Bisogna smetterla e fare attenzione. Siamo vicini all’anno
zero: il Sud sta esplodendo! E’ più d’una sensazione;
è come quando avverti che non stai bene, che davvero
qualcosa non funziona e sta per venirti la febbre. Non stavi
già bene, non eri in forma, ma ora sai che la malattia
sta per colpirti. Il Sud deve smetterla con l’atteggiamento,
come si dice a Napoli, di “attaccare il ciuccio dove va
il padrone”, ovvero con il fatto che un Re vale un altro
per cui si accomodino anche i Savoia, con "andiamo
a fare la guerra per il nuovo Stato" tanto cantiamo
“ ‘o surdato ‘nnammurato”, con "si accomodino pure
il Duce e il suo fascismo" e facciamoci un’altra guerra,
con "il PCI ci salverà" ma poi più
che a Torino non ci porterà, con Lauro e l’elemosina
dei suoi squallidi pacchi di pasta e paia di scarpe, con
il codismo alla DC e al suo trentennio che ha fatto qualche
nuovo ricco collocato sulla collina di Posilllipo in case
panoramiche che trasudano voti di scambio, ma ci ha lasciato
una città scassata con periferie ghetto e con una
camorra sempre più grossa ed infiltrata, con Bassolino
nuovo acclamato monarca - pieno d’idee ma senza soldi e
troppi amici - per una corte piena d’intellettuali saccente
e autoreferenziale ma sfacciatamente impotente alle problematiche
dell’ex capitale, con una strizzatina compiacente al nuovo
unto del Signore discendente dalle brume lombarde che "vuoi
vedere ci compra il Napoli" (e meno male che è
arrivato De Laurentiis che almeno è di queste parti)
e possiamo riciclare i vecchi democristiani in un nuovo
“forzoso” papocchio politico. Insomma basta! Ad onor del
vero due volte, dico due, e prima che qualcuno pensi me
lo sia dimenticato, la reazione (ma sempre del popolo e
mai dell’intelletto) c’è stata : quella dei “briganti”
– purtroppo lontana e, ancor oggi, ai più quasi sconosciuta
– contro il nuovo Stato che chiudeva (ahimè!!!) i
conti col vecchio e secolare Regno del Sud, e una seconda
volta con le giornate napoletane di resistenza nell’ultima
guerra fatte da scugnizzi, “muschilli”, e da quella parte
di popolo che il Bocca continua a chiamare “plebaglia incivile
da millenni”. Sbaglia due volte il decano giornalista –
corroso da una rancorosa vecchiaia – perché :
1) la resistenza mica l’ha fatta solo lui e quindi per quale
ragione se ne dimentica e quella delle giornate di Napoli
sarebbe di serie B rispetto alla sua, e non tale da essere
ricordata e fargli dire e ritenere un popolo eroe invece
sempre appellabile come “ plebaglia incivile” ?
2) se fossi in lui non mi avventurerei indietro nei millenni
dove il paragone con le zone delle sue amate montagne lo
vedrebbe perdente in paragoni di cultura, civiltà,
status economico, condizioni igieniche, ecc… E poi glielo
si dica una volta e per tutte : non ci racconta nulla di
nuovo…infine lui e qualcun altro sono solo dei pivelli replicanti
di lontani e cattivi maestri (Croce docet!) che ben conosciamo!
Tornando a noi : quei due esempi dicono che è passato
troppo tempo dall’ultimo (più di mezzo secolo) e
che o ci si organizza o l’esplosione derivante dal degrado
economico e civile, il sottosviluppo, la criminalità
micro e maxi con regia camorristica scasserà definitivamente
il giocattolo. Ma l’avvertimento a smetterla vale anche
per il Nord e lo Stato italiano. In un sano e oserei dire
doveroso egoismo - derivante da una conoscenza e consapevolezza
storica -, e visti i nostri problemi, non è che dobbiamo
affliggercene più di tanto. Il Nord scoppierà
di conseguenza a scapito di quell’idea d’Italia che tale
è rimasta. Non servono eserciti, pannicelli caldi
e qualche retata temporanea di polizia. Serve ben altro
: banche, infrastrutture, imprese, lavoro, ecc…basterebbe
guardare alla Germania che è ritornata una dopo il
muro di Berlino, ed a fronte d’una volontà, non d’annessione
ma realmente di recupero ed integrazione, ha ricostituito
con sacrificio ma determinazione una nazione con diritti
ed economie ugualitarie in pochi anni. Noi possiamo attendere
e poi organizzarci, se succedesse come invoca un nostro
compatriota in fondo ad un suo articolo : “facite ‘sta maronna
‘e secessione e jatevenne..”, oppure adoperarci perché
si affronti veramente il problema Sud (auspicabile ma molto
poco praticabile con questi politici centro/nordisti e con
l’ascarume di quelli meridionali), o ancora seguire la difficile
ma dignitosissima idea separatista di Zitara. Poi facciano
come credono, e come è presumibilmente prevedibile,
ma attenzione a tutti : la febbre sta per arrivare!
Inviato da: napolitudine1 - Commenti: 5
Inviato da vocedimegaride
il 18/11/06 @ 22:25
Bel contributo, Balìa! Un'unica
eccezione: non crederai anche tu, spero, alla leggenda
metropolitana di "una scarpa prima; l'altra a voto avvenuto"
che circolava sul conto di Lauro... è esattamente come
quella del pane e delle brioches costruita sul mito
negativo della regina di francia... o come quella che
riguarda i comunisti pedo-antropofagi....nevvero?
--------------------------------------
Inviato
da Anonimo
il 01/12/06 @ 18:53
Non mi interessa e non credo alla
leggenda della scarpa prima e dopo. So solo che i napoletani
di tutto avevano ed hanno bisogno, tranne che dell'elemosina
e di un'edilizia selvaggia che fu permessa; il tutto
permeato da un atteggiamento paternalista. Andrea Balìa
-------------------------------------
Inviato
da terranuova0
il 19/11/06 @ 11:28
Lauro è stato un grande Sindaco
infamato dalle legioni massoniche. antimo ceparano
-------------------------------------
Inviato da Anonimo
il 01/12/06 @ 18:57
Sul fatto che uno che regalava
pacchi di pasta e permise quel pò pò di edilizia selvaggia,
e come ciliegina sulla torta era pure del Partito Monarchico
Savoiardo, fosse un gran sindaco avrei qualche dubbio
e stenderei un velo pietoso! Andrea Balìa
---------------------------------------
Inviato
da kuntz_t
il 19/11/06 @ 14:06
http://video.libero.it/app/search/
index.html?q= afterhours&nr=9&result=9
---------------------------------------
Messaggio
N°12 del 15-11-2006 - 13:55
Tags: Identità
Primato Meridionale
di Nunziante Minichiello
Nel
1231 Federico II, di ritorno dalla Crociata, assistette
a Venosa alla commedia in latino De Paulino et Polla
scritta per l’occasione da Riccardo da Venosa.
Per qualche meridionale il Medio Evo era finito con
oltre quattrocento anni di anticipo rispetto alla
data convenzionale e con oltre settecento anni di
anticipo dallo stesso Meridionale veniva descritta
la società attuale. Questo Meridionale risponde
al nome di
Riccardo da Venosa, che affermava, tra
le altre anticipazioni, come riportato in “ELZEVIRI
LUCANI” di Bruno – Caserta – Guerricchio – Padula
e Tortorelli ( edizioni OSANNA Venosa ):
“E’ buon compagno il danaro: qualunque cosa tu gli
chieda, esso ti dà; col danaro tutto puoi ottenere.
Per denaro verranno a te i pesci dal mare, dal monte
le capre, le pernici dall’aria, le lepri dai boschi.
Solo per denaro il medico cura il malato; e solo per
denaro l’avvocato tratta le liti di coloro che sono
in causa. Il danaro allieta gli infelici, consola
i tristi, rende attivi i pigri, fa correre anche gli
storpi, strappa la fame dallo stomaco, la sete dalla
gola, gli affanni dal petto,
acquieta gli irati. Col danaro lo stolto diventa sapiente,
il disonesto è onesto, il villano è
nobile, il cattivo è buono. Esso fa cantare
solennemente i preti”… ( Riccardo da Venosa, Le nozze
di Paolino e Polla, trad. e note di G. Pinto, NANI,
Como 1930, vv 109 – 122 ).
Queste rivoluzionarie affermazioni dovettero fare
il vuoto intorno al profetico Riccardo, che forse
pagò caramente le sue intuizioni, che però
avrebbero potuto evitare sofferenze e sacrifici a
tante generazioni.
Non può esistere una nazione od una comunità
cui fu tolta coscienza, dignità, orgoglio.
I Meridionali per poter partecipare con nome e cognome
alla vita dell’Universo abbiano l’umiltà ed
il coraggio di accettare le disgrazie, gli errori,
le debolezze, che caratterizzano la loro storia ed
in questa cercare anche motivi e motivazioni per un
onorevole futuro.
(www.minichiello.it)
Inviato da: vocedimegaride - Commenti: 0
|
|