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sezione terza

Riso Amaro
Malcontento nordico e garibaldino a proposito di Tasse

E' inutile cercare sulle enciclopedie della letteratura il nome di Lorenzo Ruggi. Sfogliare fra i lemmi ordinati dall'Asor Rosa o compulsare "garzantine". Proprio non c'é. Eppure, nel 1921, quando da Sonzogno pubblicava Re Buonsenso (discorsi senza retorica e senza riguardi) portava al suo attivo un gran numero di drammi e qualche romanzo, e tutti con editori di riguardo quali il Treves o lo Zanichelli. Aveva forse il torto di pensare in proprio, di far quella "spicciola filosofia" che nel paese dei professoroni insuperbiti pareva sconveniente, un non pensiero. "Americanate", si sarebbe detto più tardi. Le pagine che qui riprendiamo da Re Buonsenso sono quelle del paragrafo finale del capitolo dedicato alle tasse.
(da digilander.libero.it/biblioego)

Il problema tributario

Il giorno in cui lo Stato assorbe viceversa tutto o quasi tutto, svoglia, stanca, deprezza, isterilisce il valore dello stesso suo bottino. Da un lato raccoglie e dall'altro perde. Poi perde e perde, finché non racimola più che un qualche cosa che non è più ricchezza, che nelle sue mani inette, impersonali e svalutatrici, manca di forza propulsiva, diviene disutile, torna ad essere materia prima inerte e incommestibile.
Senza contare che, da quel momento, lo Stato cessa anche di compiere le sue funzioni naturali (le stesse, per cui il tacito contratto sociale iniziale gli conferì autorità e diritto sovrano sugli altri), di giovare ai consociati, rendere, mediante una funzione distributrice ed ordinatrice, meno gravosa ed affaticata la vita dei singoli.
E allora da molti si conclude: se questo anonimo e mastodontico congegno non deve servire più ad altro, nel periodo nel quale io vivo, che a taglieggiare il frutto del mio lavoro e ad assorbirlo quasi tutto, per darmi in compenso l'irrequietudine e la povertà, (due cose atte più di qualunque altra a preparare nuove guerre e a rendere mal sicura la pace posta in continuo rischio dallo stesso disagio economico dei singoli consociati) se per quello che dò (e dò tutto), debbo, quanto al resto, pagarmi e i lavori di spettanza dello Stato, inesiguibili per eccessivo costo, e la giustizia inavvicinabile per disordine e lentezza e i servizi pubblici arrugginiti da insufficienze divenute normali, tanto fa che io mi dimetta da cittadino dello Stato, e faccia tutto da me.
Le dimissioni, in questi casi, sotto forma di soliloquio, son date su per giù in questi termini e con queste giustificazioni: io, uomo medio, di mentalità media, di attitudini medie, di condizioni sociali medie, di costituzione famigliare normale, prendo oggi una decisione eroica: abbandono lo Stato. Mi rendo cittadino del mio fondo, suddito della sola mia famiglia, tributario soltanto di chi mi dà un vantaggio immediato e tangibile. Prendo domicilio quassù e mi rendo con i miei figlioli; i miei nipoti, la mia donna, le mie nuore e il mio servo, renitente a tutto: alla leva, alla chiamata del giudice, a tutto.
"E vi saluto tutti, o genti umane oganizzate. Ne ho piene le tasche dei vostri bei vantaggi del vivere insieme. Ve li regalo.
"Uno per tutti e tutti per uno" era una formula buona per altri tempi. Oggi dico: Ognun per sé, per i suoi e bella grazia! Così la penso e così mi regolo.
"La difesa nazionale? - voi dite -. Oh, quanto a quella, non datevi pensiero! Se, a tempo debito, ci vorrà anche il braccio mio e quello dei miei figlioli, ve li darò e non sarò fra gli ultimi. Ma non per guerre, intendiamoci, che non siano propiziate dalle vedute o dall'avventuroso spirito di certi maneggioni. Mi regolerò a seconda dei casi e giudicherò io. Fui garibaldino al miei tempi, il mio maschio maggiore pagò con la vita il suo tributo alla grande guerra e i figli che mi son rimasti non saranno da meno del loro padre e del loro fratello. Ma giudicherò io! Non mi fido più di nessuno.
"La sicurezza mia personale? Non vi preoccupate di quella! Ci: penseremo noi a difenderci e a difendere i nostri beni. Se deve costar tanto questo servizio di tutela delle cose nostre da portarci via, un po' alla volta, tutto quello che abbiamo, tanto vale pigliarci il disturbo di difendercelo da noi, caso per caso, correre qualche rischio, ma essere padroni del proprio. Cinteremo il nostro fondo di una buona siepe, ci procureremo delle armi, una buona muta di cani e, se occorre, anche qualche lupetto ammaestrato, da sguinzagliare a tempo. "La giustizia? dichiaro di farne a meno. Quanto ai predoni, l'ho già detto: ci pensiamo noi; Li accogliamo a trombonate e se qualcuno muore lungo il fossato, tanto meglio: il processo è fatto. Pel resto, so come regolarmi. Impegnerò preventivamente tutti coloro coi quali avrò negozi, a rimettersi alla sorte. Sicuro! Un sacchetto, due palle (una bianca e una nera) e basta. Quando sorge una questione seria, ci si rimette al caso. Tanto, attraverso i cosiddetti gradi di giurisdizione della giustizia civile, così com'è oggi ammini-strata da noi, il risultato medio non è diverso, credete a me. Per tutto quello che si dovesse perdere in fatto di giustizia ideale, ci sarà il suo compenso ad usura, nella gratuità, semplicità, rapidità del servizio. Istruzione? Scuole? Non ne ho bisogno. Penserò io ad istruire i miei figlioli ed i figli dei miei figli, e in misura molto maggiore di quella che non esiga lo Stato, come minimo. " Quanto ai servizi pubblici distinguo: quelli che sono oramai divenuti scuse per riscuoter
tasse devono, per me, sparire e per me spariranno. Pianterò nel mio fondo il mio tabacco e me lo fumerò pacifico nella mia pipa infischiandomene della finanza. E lo stesso farò (alla meglio) per tutti gli altri generi che, divenuti monopolio dello Stato, raggiunsero prezzi proibitivi.
"Ma voi in questo modo, mi si potrà dire da qualcuno, tendete al crac generale. Se tutti facessero come voi, se ne andrebbero in malora, in pochi giorni, tutte le risorse dello Stato e tutti i servizi pubblici.
"Risponderei: - Magari! - È appunto quello che desidero, per carità di patria.
"In tempi di prosperità ci potevamo. prendere anche il lusso dei servizi di Stato, ma in tempi di magra bisogna mettere il fermo anche su questi e ricominciare coi sistemi che tengono conto in primo luogo di quell'imponderabile, insostituibile, inimitabile molla di propulsione e di progresso, che è l'interesse privato. Esso lega al carro del successo la forza di tutti gli egoismi e di tutte le passioni, compresa l'avarizia, l'ambizione e l'invidia, le vere, le grandi forze dell'umanità.
So che qualcuno mi dirà: "Può darsi abbiate ragione. Vi caricherete però di molti incomodi, facendo tutto da voi". "Lo credo io!" potrei rispondergli. Ma non c'è risorsa al mondo senza sacrifici! D'altra parte, e i vantaggi? Non credete che valga la pena d'affrontare temporaneamente l'impopolarità del confino e la minaccia di esecuzioni e rappresaglie, pure di riconquistarsi, una volta tanto, l'indipendenza più assoluta, sul proprio e la, gioia di non dover spartir più, d'ora innanzi con nessuno - con nessuno! pensate, - il frutto della propria fatica? A me lo Stato non porterà via più nulla: del mio grano, neppure uno staio; della mia uva neppure un paniere; delle mie mucche neppure un litro di latte andato a male, perché di preferenza lo darò d'ora innanzi alla mia scrofa onesta che me lo rende in prosciutti.
" Tutto quello che produrrà la mia terra, tutto quello che realizzerò dalle mie fatiche o dai miei accorgimenti, o come impiego del mio risparmio, o come effetto della mia ingegnosità e della mia parsimonia; o come esito di una buona permuta, o come premio di una buona giocata, tutto, tutto sarà mio. E al netto! Vi par poco? Vi par poco, per noi, miserelli, abituati alla rapinazione di tutto il reddito, costretti quasi ad occultarlo, come se lo avessimo rubato; incerti del nostro domani, incitati a far mille imbrogli e ad escogitar falsità perché i nostri figli il giorno della nostra morte non
perdano col padre anche i loro beni? Vi par poco, vi par poco, poter pensare e dire, come a me sarà lecito: Ecco, il campo mi ha dato questo. E tutto questo è mio. Il mio lavoro mi ha reso questo, e tutto questo è mio. La mia arte, il mio ingegno, piccolo o grande che siano, mi hanno dato questo. E tutto questo è mio! "E poi non crediate mica che, una volta superata e vinta la questione di principio, quella cioè di pretendere che in tutto e su tutto si cominci da capo, io e i miei non siamo disposti, per le cose che sono giuste, per le cose che sono evidentemente utili a tutti, a non dare l'indispensabile. Verremo a patti con lo Stato nuovo; ed a ragion veduta, si potrà ricominciare ad assumere anche certi gravami. Oh, d 'accordo!
"Ma, prima che tutto ciò si verifichi, l'ho detto e lo faccio., mi rendo e mi conserverò dimissionario del social consorzio con tutta l'energia che possiedo, sia morale che materiale. Spero che molti mi seguiranno. E allora saremo a buon punto.
"Tutt'a la forza dello Stato è nella sua organizzazione; nell'obbidienza o coatta o spontanea dei consociati. Dove questa gli venga meno, diviene anch' esso un debole che si dona al più forte.
"Ciao, dunque, collettività tassata e tartassata. Non sono più dei vostri! Addio".
(Lorenzo Ruggi - "Re Buonsenso" - Sonzogno/1921
)



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