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sezione quarta
Letture e documenti
di approfondimento
Campania... terra felix
Nella seconda metà del VIII sec. a.C.
coloni greci si stabilirono su quel tratto di costa che va da Cuma a Elea
(Velia) fondando città quali Parthenope e Posidonia (Paestum).
Nelle pianure dell'interno l'influsso etrusco risale però al VI
sec. a.C. rinvenendosi, nella penetrazione più meridionale, fin
nel Vallo di Diano, mentre la dimostrazione tangibile di questa colonizzazione
si ha con la fondazione (VI sec. a.C.) di "Capua" (S. Maria
Capua Vetere).
Nelle splendide montagne interne popoli autoctoni quali gli Irpini, della
stirpe dei Sanniti, e, più a sud, i Lucani (Vallo di Diano e Cilento)
costituiscono quelle che sono unanimemente riconosciute come le "origini"
della regione che correntemente è chiamata Campania.
La regione, verso il terzo secolo a.C., entra nella sfera del dominio
romano e può già vantare una
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popolazione
di tutto rispetto se si considera che sfiorava il milione di abitanti.
Per dare un'idea tangibile di quanto affermato basti pensare che
la sola zona del golfo di Napoli aveva una densità abitativa
di circa 200 ab/kmq. Sotto il dominio di Roma, centri che ebbero
pure origini e storia di un certo rilievo (Pompei, Pozzuoli) divennero
importanti snodi commerciali e centri di cultura. Emblematico il
caso di Pompei il cui destino era già scritto nel nome. Nata
per la "fusione" di cinque villaggi osci voluta dai greci
nel VII sec. a.C., Pompei (da "pèmpe", cioè
cinque, secondo alcune |
interpretazioni) subì la dominazione
greca etrusca e sannita e sempre conservò la sua vocazione di città
snodo di transiti e commerci. Questa caratteristica ha portato a ritenere
che il nome Pompei derivi dalla parola greca "pompè",
ossia invio, (luogo di) smistamento e scambio. Città vivacissima
e intraprendente che la famosissima eruzione del Vesuvio (79 a.C.) subissò,
insieme alla vicina Ercolano, sotto metri e metri di cenere e lapilli.
Col declino dell'Impero Romano la Campania felix, terra dell'incanto e
della bellezza tanto cara agli Imperatori, comincia il suo cammino verso
i secoli "bui" del Medio Evo lascian-dosi alle spalle una storia
di sfavillante protagonismo. L'ultima conseguenza, a causa dello spopolamen-to
progressivo e l'avanzare delle paludi, è l'abbandono delle città
fra cui Cuma, Literno, Sinuessa, Atella ecc.. La stessa sorte riporta
indietro nei secoli molti centri e paesi della fascia costiera. Sotto
il dominio longobardo, che prese il posto di quello bizantino, gran parte
dell'entroterra campano è sotto il ducato di Benevento mentre le
città della costa, pur sotto ordinamento bizantino, si costituirono
in altrettanti ducati e repubbliche che vivevano di economie basate sul
commercio marittimo. La Repubblica di Amalfi, la più antica delle
quattro famose Repubbliche Marinare, stupiva per la sua opulenza i forestieri
che vi giungevano dai ricchi porti del Levante. Nel giro di un secolo,
fra il 1038 (epoca in cui Sergio IV, Duca di Napoli, dona al normanno
Rainulfo Drengot la borgata di Aversa) e il 1139 (anno in cui Sergio VII
cede il ducato di Napoli a Ruggero II), la Campania si ritrovò
sotto il domino dei Normanni che, dopo aver liquidato le residue resistenze
saracene sulla costa (Agropoli), favorirono lo sviluppo di autonomie locali
come dimostrano i centri di Aversa, Teano, Sarno, Caiazzo, Castellammare
di Stabia e Nocera. Con i Normanni nasce il Regno di Sicilia che comprendeva
la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Lucania, la Campania e l'Abruzzo
con capitale Palermo. Su questo trono si susseguirono parecchie dinastie.
In ordine di successione: gli Svevi: il più famoso di loro, Federico
II, primo in Europa, diede un
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ordine amministrativo
nuovo che sanciva il passaggio dal sistema feudale a quello statale
centralizzato; gli Angioini di Carlo d'Angiò, i quali, pur
ripristinando l'antica feudalità, diedero una nuova divisione
alle province e posero le basi per il controllo demografico dello
Stato; indi, fra guerre in successione e lussurie regali, la parentesi
durazzesca di Ladislao e della regina Giovanna; infine gli Aragonesi
di Alfonso II il Magnanimo e Ferrante d'Aragona, che diedero a Napoli
pace e ordine urbanistico, pur avendo da rintuzzare le congiure
dei baroni; gli spagnoli del viceregno, fra quartieri costruiti,
pestilenze e rivolte (Masaniello) di popolo; il quasi trentennio
austriaco, fra indolenza e inettitudine.Il 3 luglio del 1735 Carlo
di Borbone fu incoronato, a Palermo, re delle Due Sicilie dando
così inizio a quel Regno borbonico che, fra molte, discusse,
vicissitudini, si protrasse fino al fatidico 1860. |
Con Carlo di Borbone, successivamente indicato
come Carlo III, Napoli e la Campania vivono 24 anni di governo incui si
cercò, in parte riuscendovi, di risorgere dal malgoverno austriaco
e dai danni da esso prodotti. Nel periodo di Carlo III l'impulso riformista
si diffonde in molti campi, assumendo una connotazione tangibile anche
nelle opere civili commissionate ai migliori architetti dell'epoca. L'Albergo
dei Poveri, di Ferdinando Fuga, a distanz
a di molti anni dalla costruzione costituì ancora motivo di gran
stupore per i grandi viaggiatori stranieri. Stendhal, infatti, in un suo
viaggio a Napoli nel 1817, annotò sul diario: "
Napoli,
9 Febbraio. Ingresso grandioso: si scende per un'ora verso il mare su
una larga strada incisa nella tenera roccia sulla quale è costruita
la città. Solidità delle mura. Albergo de' poveri, primo
edificio. Assai più notevole di quella bomboniera millantata che
è la Porta del Popolo a Roma". A Carlo III succedette il terzogenito
Ferdinando IV che regnò fino al 1825 e che ben due volte fu
costretto, dalla parentesi
giacobina della Repubblica Partenopea (1799) e dalla conquista francese
con i re Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat (1806-1815), a lasciare
Napoli e a riparare a Palermo. Ma fu il nipote, Ferdinando II re
delle Due Sicilie, che con una politica interna decisa e con una
politica estera poco conciliante determinò le fortune (economiche
e civili) del regno (prima potenza peninsulare e terza continentale)
ma anche segnò la sua fine. Al figlio, Francesco II, non
rimase che cedere onorevolmente il regno all'invasore piemontese.
Dalla conquista piemontese in poi la Campania e l'intero sud della
penisola vivono il periodo più oscuro della loro storia.
La distruzione della società civile, l'esproprio delle risorse
economiche, il trasferimento delle industrie dal Sud al Nord, la
repressione feroce della resistenza spregevolmente definita Brigantaggio
(durò oltre 10 anni) e il tradimento della |
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classe dirigente meridionale posero le basi
per quella emigrazione di massa che, ancora oggi, risulta inarrestabile.
Il tributo, che la Campania ha pagato e paga alla causa unitaria voluta
da forze esterne e cospiratrici, si è progressivamente incrementato
dopo le due guerre del secolo scorso. Tanto sangue e tante energie succhiate
al Sud non hanno consentito, a Napoli e alla Campania, di riprendere l'antico
e felice splendore. Molta di questa grandezza è riscontrabile nelle
diffuse testimonianze dell'antichità classica che in Campania,
fuori da ogni luogo comune e sterile campanilismo, assumono carattere
di unicità. I complessi archeologici delle già citate Cuma,
Paestum, Pompei, Ercolano, Pozzuoli e Santa Maria Capua Vetere, unitamente
ad uno fra i maggiori e importanti musei archeologici (Napoli) e ai tanti
altri siti sparsi fra il Garigliano e il Golfo di Policastro, ne rappresentano
la prova tangibile.
Ripercorrendo la storia, focalizzando il suo divenire attraverso l'opera
dell'uomo, potremmo ricordare la villa romana di Capri (villa Jovis);
il battistero di S. Giovanni in Fonte e le catacombe di S. Gennaro a Napoli,
S. Maria Maggiore a Nocera Sup. e le basiliche (paleocristiane) di Cimitile;
la chiesa di S. Sofia a Benevento fondata dal longobardo Arechi II; Casertavecchia,
mescolanza di stili architettonici diversi e la bizantina S. Angelo in
Formis; il gotico-francese della chiesa di S. Eligio (pressi di P.zza
Mercato) di fondazione angioina; l'Arco Trionfale aragonese al Maschio
Angioino in onore di Alfonso d'Aragona e il Castello di Ischia; le Porte
e le Mura spagnole; la maestosa Reggia borbonica di Caserta, opera del
Vanvitelli, e le decine di ville del famoso "miglio d'oro".
Oggi la Campania occupa una superficie di circa 13.500 kmq e ha una popolazione
di circa 5.600.000 abitanti, di cui oltre 1.200.000 sono gli abitanti
del capoluogo Napoli. La regione è bagnata dal mar Tirreno dalla
foce del fiume Garigliano (Golfo di Gaeta) al Golfo di Policastro (comune
di Sapri). Confina a nord con il Lazio, a nord-est col Molise, ad est
con la Puglia e a sud con la Basilicata. Le cinque province, aventi come
capoluoghi Avellino (57.000 ab.), Benevento (63.000 ab.), Caserta (66.000
ab.), Salerno (149.000 ab.) e Napoli, sono comprensive, complessivamente,
di 549 comuni.
L'Appennino campano è composto dai massicci del Matese (Monte Miletto
2050 m) e del Cilento (Monte Cervati 1869 m) e dai rilievi vulcanici di
Roccamonfina, dei Campi Flegrei e del Vesuvio (1281 m). La costa campana
varia dal paesaggio di dune del litorale domizio fino alle selvagge e
bellissime spiagge della costa cilentana fra S. Maria di Castellabate
e Scario, mentre non hanno bisogno di parole le perle del Golfo di Napoli,
Ischia, Capri e Procida e la splendide Costiere, sorrentina e amalfitana.
Fra questi monti e il mare si distendono pianure fertilissime, dalla casertana
"Terra di lavoro" al Salernitano Vallo di Diano della splendida
Certosa di Padula, passando per l'odorosa piana dell'agro nocerino-sarnese.
Oltre al ricordato Garigliano, i principali fiumi della Campania sono:
il Volturno, il Sele, il Calore, l'Ofanto e il Sabato. Fra le ottime produzioni
ortofrutticole della Campania occorre dare rilievo alla tanto buona, quanto
dimenticata, mela annurca (dal latino "indulcare", far dolce),
magistralmente coltivata e "curata" nella valle di Maddaloni
vicino a Caserta (esse si raccolgono acerbe e si pongono a maturare al
sole su apposite pagliarelle con l'accortezza di girarle, una ad una,
per favorirne una maturazione omogenea).
Molte altre prelibatezze - dalla pizza alla mozzarella di bufala, dai
dolci di alta scuola pasticciera quali
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la sfogliatella,
il babà o la magnifica pastiera, ai salumi di dichiarata
fama - contribuiscono in modo determinante a fare della Campania
una meta turistica di primissimo piano, in Italia e nel mondo. Dove
però la cucina campana diviene arte, semplice e geniale,
è con la pasta di semola di grano duro trafilata in rame.
Centinaia di formati atti a meglio sposare i sughi e i condimenti
in una strabiliante fantasia di forme e dimensioni, di rigature
e porosità: Paccheri, Ziti, Vermicelli e Lasagne; Mafalde,
Mafaldine e Perciatelli (ossia Bucatini); Penne, Mezze Penne e Mezzani.
Corta o lunga, liscia o rigata, nominatela come vi pare, ma alla
fine sempre Maccheroni sono. Così, con questo canto, un venditore
di maccheroni |
nell' Ottocento promoveva e accompagnava la
vendita della propria merce: "Fatte so' pe' chesta vita/ maccarune
li cchiù belli,/ maccarune aggio de zita/ vermicielle e tagliatelle,/
vonno n'ora de cottura/ hanno 'ncuorpo l'ossatura!/ tengo pure de Gragnano/
chille toste a rusecà/ pasta bbona, fatta a mano,/ chi la magna
stà a scialà". Notevoli per pregio e storia sono i
vini campani dai bianchi d'Ischia al Fiano di Avellino, dal rosso di Taurasi
al Gragnano di Lettere.
Infine le feste tradizionali che, come quella per l'Addolorata a Mirabella
Eclano (AV), affondano le proprie origini in epoche lontanissime. Feste
popolari di ringraziamento, come la Sagra del Grano di Foglianise (BN),
sono la dimostrazione tangibile del tentativo di resistere al progressivo
sradicamento dalle proprie tradizioni. Menzione particolare meritano la
pluri secolare Festa dei Gigli a Nola (otto pin-nacoli detti "gigli"
fatti di legno e cartapesta, alti quasi 30 metri e pesanti oltre 40 quintali,
danzano nelle strade e nelle piazze della cittadina) e la Processione
del Venerdì Santo a Procida. Tra le Feste popolari napoletane,
tralasciando le più famose, ricordiamo quelle del Monacone (prima
domenica di luglio al Rione Sanità) e la Madonna del Carmine (quartiere
Mercato 16 luglio festa della Madonna bruna).
Ogni angolo
della costa campana è ricordato e immortalato in detti famosi
o in celebri canzoni tanto che sarebbe difficile operarne una scelta
significativa. Pertanto preferiamo concludere questo parziale e
modesto viaggio attraverso la Campania con un detto popolare che
ci riporta allo spirito più sincero con cui i Campani, in
genere, si avvicinano ai piaceri della tavola: "'E peccate
so' chille ca èsceno e no chille ca tràseno".
Cosa che non deve trarre in inganno circa l'inclinazione |
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dei Campani a preferire la quantità (abbuffata)
dimostra come i Campani, e i Napoletani in particolare, abbiano saputo
trarre il meglio da ogni condizione socio-economica in cui si sono trovati.
Giordano Bruno definì i Napoletani come gente "hilaris in
tristizia et tristis in hilaritate" quasi a volerne sottolineare
la capacità "filosofica" con cui affrontano il corso
della vita. Questa capacità è proiettata anche nel rapporto
col cibo tanto che adeguatamente, Riccardo Pazzaglia, la definisce "gastrofilosofia"
napoletana. Di questa arte vi offriamo il suo senso radicato nel popolo
e nella sua stessa espressione di avanguardia culturale con l'anonima
iscrizione in una taverna di Chiaia :
"Magnammo, amice
mieie, e po' bevimmo
fin tanto ch'arde l'uoglio a la lucerna:
chi sa si all'auto munno ce vedimmo,
chi sa si all'auto munno c'è taverna!" |
Francesco Chiappetta - www.adsic.it
- 2002)
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