Prima parte

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Pronosticava Ghandi che sulla Terra sarebbero rimasti, alla fine dei tempi, 5 Re : quelli del "mazzo di carte" e quello d'Inghilterra.
Più o meno ci siamo ma ogni re di cuori, di picche, di fiori o di quadri ch'è passato, ci ha lasciato in eredità una sconfinata serie di principi, marchesi, conti e baroni, la cui nobiltà di sangue, attraverso la linfa dei propri feudi, si è arroccata in una nobiltà di suolo; principi- agricoltori, contadini nobili,grano e gigli d'oro, sangue broulè di vino e ambrosia, stearica progenie su ubertosi colli. Sole sfavillante non su scudi alzati ma su pannocchie. Soldati sostituiti da oche, polli, mucche e tori, dietro una cortina fumogena di fairplay, noblesse oblige, stucchi dorati e... forme di parmigiano.
C'è da ammirarli o da compiangerli, questi Signori che si sono rimboccate le maniche non per dar di scherma ma per zappare la terra?
Qualcuno è sinceramente ammirevole ma se qualcosa di molti ci irrita è la loro staticità, la loro debolezza. Quella assenza di orgoglio e di combattività che fece grandi e temerari, nel bene e nel male, i loro antenati, i Padri, i nostri "sancta santorum".
Nel mentre questi ultimi svaporano nell'oblìo, quelli si lasciano vivere tra i loro piccoli lussi ed i blasoni anneriti che piovono giù dall'arco d'ingresso dei loro Palazzi obsoleti, per i quali, se non concorrono i comuni ed i patronati, gli enti a tutela dei beni artistici e architettonici, ne sarebbe decretata la scomparsa.
Si ostinano a mescolare fasti e nostalgie, guardandosi alle spalle, sopravvivendo "alla memoria", immersi totalmente nella grazia degli antenati ma incapaci di arrivarla, in quanto a spirito ed a volontà.
Privi di iniziativa, sprofondati nella pigrizia mentre il sangue più nobile, quello del popolo autenticamente italico, ribolle e schiuma. Nobili, retrocessi a "snob".
Ma come fanno a non inorridire, a non provare un senso di nobile rivalsa, dinanzi al panorama politico e sociale attuale? Come fanno, con quale animo depresso e spento, a lasciarsi sopravvivere nell'inerzia, di fronte al volgare regime che ha contaminato e offeso la terra, le genti, i propositi, i giuramenti sacri, la stirpe?
Perchè la nobiltà, iperdotata di storia, tradizione, cultura è così molliccia e vischiosa? Perchè è priva di slanci, di vita? Proviamo a rispondere, anche se la nobiltà di chi scrive non è sancita da un pedigree ma si estrinseca esclusivamente nel ricordo ancestrale sempre incombente e nel più elevato senso di "appartenenza" che, di per sè, la nobilita. Giovanna d'Arco non era forse solo una contadina? Forse trattasi, in questa sede, del ricordo di qualche altra antica pira di cui fu protagonista chi scrive o chi, a distanza di un grappolo di decenni da certi "fuochi purificatori" intende gettare acqua su quel fuoco, per invitare alla meditazione il popolo, ed all'azione i nuovi Puffi di sangue blu.
Abbondantemente prima, ci ha provato un rigido Walther Darrè, Ingegnere Agronomo e Ingegnere della Scuola Coloniale, germanico, da Saaleck, nella primavera del 1930, con il saggio "La nuova nobiltà di Sangue e di Suolo"; uno sproloquio razzista e allucinato ma perchè destinato esclusivamente alla nobiltà tedesca ed al contadino tedesco, ovviamente ariani purissimi. Ma nel vaso di Pandora delle sue tempestose e apologetiche argomentazioni, il Darrè lascia naufragare, come ogni folle che si rispetti, due pillole di saggezza, ben digeribili da "nobiltà" e "ignobiltà" d'ogni ceppo europeo; due grandi verità, alla base di ogni declino di nobile schiatta e di sovrano popolo." Il binomio di sangue e di suolo si connette a quanto, nella tradizione occidentale ebbe senso di fedeltà alle origini, chiarezza, semplicità, compostezza. I valori del sangue e del suolo rivestirono un'importanza fondamentale nell'Ellade luminosa dei Dori, nella Roma primordiale dei patres e in quella guerriera e rurale del periodo repubblicano, nell'ordinamento feudale del Sacro Romano Impero". Prosegue - il Darrè - "Concepito come simbolo di una realtà corporea che è stata rimossa dalla sua n a t u r a l i t à ed è divenuta, in una unità assoluta di spirito, anima e corpo, espressione vivente dell'elemento spirituale, il Sangue veniva inteso come il veicolo di influenze superiori" Riserva e "fonte di vita" della aristocrazia fu il contadino fedele alla terra e radicato nel suolo : esso costituiva la base sociale ed economica dello Stato.
In alternativa al tipo d'uomo indifferente, apolide, sradicato, democratico e meticcio che caratterizza l'epoca borghese, le parole d'ordine "sangue" e "suolo", sentenzia il germanico, rappresentano dunque le condizioni imprescindibili per un'autentica "restaurazione dell'umano". Spiega poi la crisi e il declino della nobiltà tedesca con un giudizio d'analisi, facilmente rapportabile al declino delle nostre famiglie autoctone :"A parte qualche eccezione, la nobiltà tedesca ha fatto così poco per il nostro popolo e per la ricostruzione dell'Impero, che essa ha diritto alla nostra stima solo in casi isolati...I nostri Nobili preferiscono fare affidamento sulle loro terre e sui loro conti in banca per cavarsi d'impaccio." Per loro, così come constatava G.Ferrero a proposito della nobiltà romana e della sua abdicazione nel 1 sec.A.C., si tratta di salvare se stessi ed i propri beni in mezzo al disgregamento dello Stato e di camuffare questo tentativo dietro l'etichetta di "Partito Conservatore" . "Oggi - prosegue Darrè - a Berlino, la nostra nobiltà preferisce illuminare con la propria presenza i ricevimenti dei mercanti e dei nuovi ricchi della Guerra e della Rivoluzione, e frequenta i nuovi padroni della Repubblica".
Tali concetti avrebbe saputo esprimerli, oggi, persino l'ultimo dei meridionalisti non monarchici ma appena appena nostalgico, a proposito dell'infimo decadimento della Storia di un Regno; l'ultimo "borbonico", per il quale la immotivata distanza di Casa Borbone Due Sicilie dallo spirito e dagli intenti di revisione storica sulle diffamazioni di un secolo e mezzo di rivendicazioni giuste assume i toni dello sconcerto e se non proprio del disonore, almeno del "poco onorevole".
Oggi, Casa Borbone Due Sicilie non esiste più, conforme alla sua definizione, malgrado gli sforzi di quei membri, nobili o meno, non responsabili di questa decadenza, che lottano sia con le idee che con le opere per farla rivivere, dimostrando così, più o meno consapevolmente, come almeno loro siano degni di essere "nobili"! Ecco quindi che dalla nobiltà del Sangue si passa a quella del Suolo, per comune condivisione d'amore per la propria storia, per il radicamento sul Suolo amato, nelle ferite della Patria, immersi nel sangue dei martiri e degli eroi d'allora e nel fertile terreno vulcanico dei vigneti di perle purpuree del nostro mito e del nostro presente.
Coltiviamo la Terra, così come coltiviamo la Storia, con amore e sacrificio, col nobile intento di rendere fertili l'una e l'altra, per il sostentamento dello spirito dei figli dei nostri figli, ai quali non deve essere negata la propria storia, il senso di appartenenza, il lignaggio. Ecco che il nobile e il contadino sono ugualmente sovrani sul proprio suolo, in onore della Tradizione, delle Radici, degli Antenati; con una sola differenza da allora : tutti due, ora, il sangue lo versano insieme e l'uno dipende dall'altro e viceversa.
Dissodare il terreno è compito duro ma è anche un'arte, alchemicamente parlando, nella piena armonia con la natura della Terra e dei suoi elementi. Non si possono piantare aiuole ove crescono solo rape; occorre accontentarsi delle rape! Ogni quercia nasce da una ghianda ed a nessun comune mortale è dato tutto il tempo per assistere al prodigioso mutarsi di un seme nel maestoso albero.L'importante è l'aver seminato e vivere nel desiderio della quercia che verrà...e la quercia fioccherà altre ghiande, come i blasoni di ieri hanno prodotto i nuovi contadini di oggi che, senza più elmo nè spada ma con vanga e aratro, si sono sostituiti ( con un briciolo di stile in più, forse) ai loro ruspanti sottomessi, probabilmente nella giusta mistura di sangue e di suolo, prestando attenzione e facendo conoscenza con madre Terra, Nostra Patria.
Per molti nobili, oggi, "terra" non è più solo un quadrato di confini tra un feudo e l'altro, un vessillo di colore diverso o una semplice questione di proprietà ed affittanze. C'è chi sul serio ha compreso che il risveglio di antichi valori deve partire dal basso verso l'alto, dal più umile dei compiti, quale quello di spezzarsi la schiena per proteggere ogni filo d'erba, ogni spiga di grano, ogni profumato giglio nella notte estrema. E c'è chi, al di là dei "ricchi premi e cotillons" di antichi privilegi, rispolverati in questa fasulla società dell'immagine, desidera seriamente privare dell'ignobile etichetta di "parassita" l'olografica immagine della Nobiltà.
Il nobile di sangue e di suolo, a prescindere dagli illustri natali, è costretto ad un viaggio interiore nel passato del "magus" rinascimentale che ben coniugava la propria cultura con la sua semplice essenza umana, che cercava l'equilibrio perfetto della propria natura nella Natura: Praticava quell'arte detta - appunto - Regale, che trovava il suo presupposto più significativo nella SINTESI, aborrendo l'ANALISI; che protendeva all'Unità e non alla FRAMMENTARIETA' delle discipline; che creò le UNIVERSITA', così definite perchè "di senso universale" e non l'accozzaglia di discipline tra loro slegate che, oggi, privano l'università del loro primordiale senso.
Il "magus" era il vero nobile dei suoi tempi. Esatta mescolanza di sangre royal(cioè, divino) e di suolo ( cioè, comprensione e rispetto dei cicli della natura e della sua essenza).
Ogni "ismo" succedutosi, nelle epoche, alla qualifica di "ermetismo" e quindi "marxismo", "fascismo", "maoismo" e "capitalismo" ha solo creato sconcerto nell'umanità, sempre alla ricerca di un senso e di una guida per la propria esistenza e che si è trovata di fronte una massa di teorie "assolute" ed in netta contraddizione tra loro (come saggiamente affermano Baigent e Leigh ne "L'Elisir e la Pietra"). Ciascuna di queste teorie pretende di avere le risposte che l'umanità sta cercando ed impone la propria peculiare interpretazione della realtà quando non addirittura la costante manipolazione della realtà.
Di fronte a tutte queste rivendicazioni, nessuno può fare una scelta consapevole e, di esperienza in esperienza, quelli che sono appena senzienti e non masochisti interiorizzano ogni parte di vissuto e dopo l'opportuna catarsi o discesa agli inferi lo spirito si libera e corre a cercare il senso della propria appartenenza.
Questo è il tempo maturo perchè ogni individuo di sangre royal, con o senza blasone, dotato di spada o di aratro, seguito da un esercito di soldati o di polli, principe di un casato o semplice regina di un focolare, danzi nudo nel vento e riparta da zero. Da sè. Dalla sua UMANITA'!
Il desiderio di "appartenenza", innanzitutto, tocca i coscienti, i dignitosi e smuove onore e fierezza: l'orgoglio della stirpe. Si torna a combattere per la propria dignità, libertà ed indipendenza, per i propri ideali e quanto sarebbe auspicabile che il processo evolutivo comprendesse in sè non solo, come sta avvenendo, il popolo, il contadino, il cittadino comune ma soprattutto gli eredi di sangue di certe famiglie che erano per noi una bandiera, per la quale i nostri antenati hanno combattuto.
Ecco, l'attuale nobile di sangue e di suolo, comunque archivio storico vivente della sua Patria, dovrebbe ritrovare in se stesso quella grande forza di riscatto che si estrinseca nel coraggioso e quasi "eretico" rispetto per la dignità della gente comune. Per la sua gente! Compenetrarsi nella forza e nell'orgoglio del "semplice" che, con forza e orgoglio, desidera risvegliare pari requisiti nel prìncipe. Nella Bandiera!
In ogni fiaba, il contadino si distingue dal principe per la sua saggezza e per l'"azione"; il prìncipe, solitamente, è indicato come un uomo-di-pensiero, solitamente narcisista, pigro, indolente e un pò fricchettone. Quando è "al massimo" è semplicemente "AZZURRO" ma oggi nessuna Cenerentola si accontenterebbe più di un simile bamboccio, senza Arte, nè Parte. La Cenerentola del 2000 d.C. vuole un Uomo, non un fotomodello infiocchettato, a passeggio per campi da golf in groppa al cavallo della Barbie.
La nostra bandiera deve tornare a svettare. Dovrà essere un vessillo e non uno straccio o un festone di Piedigrotta. Dovrà essere nè AZZURRO, nè BARBIE. Umana!...Dalla radice del termine UMANITA', "UOMO"; quella figura miracolosa che Leonardo Magus da Vinci inscrisse in una perfetta stella a cinque punte.
Noi, osiamo sperare che la nostra nobiltà rialzi la testa e torni degnamente a rappresentarci, rivendicando ogni onore per il Sangue e per il Suolo, per la propria gente, per la Storia che ci ha partoriti e ci piace immaginare che il piacere ed il lavoro della Terra, questa "nuova occupazione" o "necessità" per molti, produca succosi frutti, tra i quali, la saggezza del contadino, assieme al "coraggio", all'"azione" ed al "rispetto" del Sangue. Contiamo sulla Forza del Nostro appello di Risvegliati al Risveglio della Dignità e della Vera Nobiltà. Quella, dell'Animo.
Signori! La campanella ha suonato. La ricreazione è finita! Si torna ad "essere" e come tanti provetti Indiana Jones si va "alla ricerca dell'Identità Perduta".

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II Parte

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Si può provare nostalgia per un tempo che crediamo non appartenerci, ch'è remoto e ignoto; inimmaginabile, forse.
Eppure, di fronte alle testimonianze ed ai reperti a noi giunti da un lontano "allora", è come se la memoria delle nostre memorie, un guizzo del più profondo sè, ricostruisse il puzzle dell'eternità. A piccoli interi, a fotogrammi. Di età in età.
Di ricordi ancestrali e di quelle strane, inevitabili malinconie.
Malinconia, per cosa, per chi? Per un tempo che fu e forse ci abbracciò; un'onda di esistenza che dal tempo dei tempi, scorre per intere generazioni, con vite sempre nuove, in un sangue sempre antico.
E' questa, infine, la "cerca" del Graal, nel suo senso più autentico; la via del nostro santo graal personale ed universale, dove la malinconia ne è il mistero e la porta dell'iniziazione.
Si è esordito, in questa sede, con la presentazione della valutazione pan-germanista della Nobiltà, semplicemente per aprire il corso allo sviluppo del tema.
Come ogni organismo vivente , anche la Nobiltà è soggetta a flussi e riflussi, modificazioni "genetiche", dipendenti dall'ambiente e dal microclima storico, giacchè l'umanità, per dirla con il poeta libanese Khalil Gibran è un "luminoso flusso che scorre dall'interno all'eterno", affermandone quindi l'estrema mobilità ed evoluzione.
Si è partiti quindi dalla concezione più assolutista e rigida dell'Aristocrazia : quel Sangue che il folle Hitler, alla stregua di un alchimista pazzo, volle trasfondere dal cadavere della Antica Nobiltà germanica nel III Reich, tentando disperatamente di creare in "carne ed ossa" e quale organismo vivente e dominante, il suo personalissimo Golem, volle trasfondervi l'essenza di miti ed "eroi" legati alla leggenda e, purtroppo per lui, inconsapevole, e per tutti coloro che lo subirono non fu in grado di comprendere che quei miti e quegli eroi erano stati partoriti ab origine da eventi di segno diametralmente opposto al suo pensiero.
Il Regno idealizzato dal Fuhrer, che intendeva rifarsi ai miti della Saga del Graal, con i cavalieri puri e senza macchia, l'eroe Artù, re dei Britanni, nasceva in realtà, insieme al mito di Robin Hood, quale espressione popolare di riscatto delle fasce derelitte dalle fauci bramose ed avide della Nobiltà Britannica, sconsiderevolmente opprimente.
Non dimentichiamo che la paternità del famoso Artù fu imputata ad Uther Pendragon e che "Uther" in antico gallese significa "capo dei soldati". Questi era il Sovrano del Regno di Britannia, diviso da aspre lotte intestine che vedevano gli uni contro gli altri i piccoli regni che lo componevano. Le tensioni interne erano peraltro aggravate all'esterno in virtù dei numerosi assalti conquistatori di orde di Sassoni rapaci e barbari, provenienti dal continente europeo, con tutto il comprensibile disagio dei mai considerati sudditi britanni che, come si può immaginare, se la passavano molto male e che tentarono di rendere più vivibile la loro tetra quotidianità e le scarsissime aspettative di vita, affidandosi alla fantasia, per reagire alla tirannide endogena ed esogena della loro Terra.(vedasi raccolta "Miti e Leggende" della Sperling & Kupfler).
Ecco, questa fu la grande contraddizione di fondo sulla quale nacque il nazismo del Sovrano Uther-Hitler che, fino a prova contraria e dimostrabile, pare sia incorso maldestramente nell'apoteosi di un conflitto mentale irrisolvibile tra due distinte "minzioni" di pensiero, di segno opposto, in ordine alla loro matrice culturale ; dimostrazione che la presunzione è figlia legittima dell'ignoranza e l'ignoranza è madre di molte tragedie.
Soprattutto, quando pensiamo allo stimolo sociale indotto negli oppressi e che dette vita alla Saga di re Artù, in rapporto alla ideologia germanista, basata sulla Triade : Contadinato, Popolo, Nobiltà, sul favore che ha incontrato la dottrina dell'ereditarietà e l'idea della razza. "Come i contadini sono la fonte essenziale e primordiale del rinnovamento del Sangue del popolo, così l'Aristocrazia, in quanto emanazione dell'èlite del contadinato e formante un solo corpo con questo, è destinata a dispensare al popolo intero il frutto naturale della sua azione di comando - Darrè-". Si può notare come i miti del Graal, di Artù, di Giuseppe di Arimatea, di Lancelot o Perceval ma anche del più umanizzato Robin Hood, che riscoprivano in sè il senso religioso ed anche la fede, il regno del sovrano Giusto e del popolo appagato, sia nettamente in contrapposizione con il senso istituzionale della Nobiltà germanica, che si riduce sinteticamente ad essere la "conservazione della capacità indiscussa di "capo" in un ceppo ereditario che garantisce al popolo un supporto inesauribile di capi selezionati".
L'esperienza della Storia insegna che un popolo la cui Nobiltà è degenerata, partorisce da sè una nuova nobiltà.
Agli albori della Storia Romana, quando insorsero guerre cruente tra i patrizi di origine agraria ed i plebei dell'urbe, la Nobilitas della Roma antica sorse dalla mescolanza delle famiglie patrizie e plebee e produsse la nozione di Stato, così come era concepita dall'antica Repubblica romana (dal IV al I sec.a.C.)Quando la Repubblica romana degenerò ed il potere fu raccolto da Giulio Cesare, il concetto di Stato - secondo Altheim ed Evola - tramutò in dispotismo la libertà del popolo, poichè Cesare ricevette ed esercitò una quantità di prerogative e di privilegi che ricordavano i Re delle origini.
Nel tardo Medioevo, i Sovrani rispondevano solo a Dio del loro operato, poichè, secondo risposta di Filippo il Bello a Papa Bonifacio VIII, nel 1301, "...il re ed i suoi predecessori hanno sempre avuto il diritto di governare direttamente da Dio e il re non ha superiori nell'esercizio del potere temporale".
Tuttavia, le corti europee medievali, da conclamati ed ameni luoghi di frivolezze e sfrenatezze, ci sorprendono perchè iniziano a divenire veri e propri centri di gestione politica dello Stato. Lo storico francese Jacques Le Goff sostiene che già nel Medioevo le corti esprimevano in embrione ciò che sono i moderni organi di governo : il Consiglio di Stato, la Corte Costituzionale, la Corte dei Conti e il Parlamento. In breve, nel tardo medioevo, con l'espandersi del potere alle monarchie europee, anche la primaria organizzazione delle corti fu coinvolta nel processo; se prima la corte era una comunità di individui attenta alle cure del sovrano e dei suoi beni, con un entourage di gransignori in alleanza politico-strategica e il parterre di artisti che curavano l'immagine del sovrano, ora divenivano siti di pubblica amministrazione, con funzionari, uffici specifici ed addirittura "consigli di governo". Chi vide accrescere il suo potere personale fu il burocrate( confronta la rivista "Medio EVO" luglio'99) il cancelliere. Certamente, con il trionfo della "scrittura" si palesò uno strumento di governo indispensabile ed era il cancelliere a stilare editti, ordinanze, decreti, per diramare la volontà del sovrano. Era il cancelliere, a capo di tutti gli uffici che producevano secondo competenza i documenti scritti che regolavano le leggi dell'amministrazione del Regno; era il cancelliere, custode ed utilizzatore del Sigillo Reale, senza il cui imprimatur, ogni documento perdeva efficacia e risultava nullo. Aveva il potere, mediante l'imposizione del Sigillo Reale, di "vitae et necis" di qualsiasi legge o ordinanza, di qualsiasi atto di governo. Il cancelliere. Un ruolo ambito e potente che esiste ancor oggi, e riflette la nostra modernità non più solo in ambito monarchico.
Mentre i regni romano-barbarici producevano scritti inerenti solo le consuetudini dei popoli germanici, l'epoca carolingia riattiva possentemente l'attività legislativa, utilizzando lo strumento della scrittura. Infatti, Capitolare è il termine con il quale si indica, a partire da Carlomagno i "capitoli" di leggi ed editti, con i quali i carolingi emanavano norme a tutela della vita del regno. Tale codificazione capitolare è ritenuta la fonte di studio più ambita dagli storici, per l'interpretazione del tessuto sociale, politico ed istituzionale del governo dei re italici (fino alla fine del IX sec.) e la scioltezza del linguaggio dei cancellieri di ieri potrebbe a rigore essere d'esempio per i burocrati d'oggi, ampollosi ed inconsistenti.(confronta, sempre, la rivista Medio Evo n. citato).
Ed il Meridione, il Sud Italico? Diversità etniche e culturali, magistralmente interpretate e dirette dai Normanni, nel pieno rispetto del pluralismo.
Durò forse meno di due secoli il periodo normanno della conquista del Sud e della Sicilia. Si era nell'XI secolo e fu l'età dell'oro. Comparvero strutture politiche e sociali che lasciarono il segno anche oltre quella dinastia. Creazione di nuovi insediamenti rurali, con il miglioramento delle condizioni di vita dei contadini e lo sviluppo del commercio e dell'artigianato.
Noi, oggi, si fa del sano e responsabile revisionismo sull'ultima era felice del Meridione che corrisponde alla dinastia borbonica, semplicemente perchè riflette la nostra modernità ed il periodo di massimo splendore della nostra Nazione, ben prima di un Regno d'italia inventato sulla nostra pelle ma potremmo dirci, a piacimento, a seconda degli impulsi e delle necessità dell'anima e dei guizzi della nostra mente critica,"greci" "normanni", "angioini" o "aragonesi", perchè questi, con i nostri Borbone, rappresentano i nostri 800 anni di Stato Indipendente, un primato che spetta a pochi.
Anche quando fummo sotto la Spagna, all'epoca del Vicereame (e il termine stesso, lo dice) non fummo mai considerati una "colonia", come, per contro, c'è capitato di diventare (ed ancora oggi lo siamo) con l'occupazione sanguisuga dei Savoia, per i fatti storici e tragici ben noti; così come ci è capitato di prenderne atto, più volte, in epoca immediatamente successiva all'Unità d'Itaglia, con Mussolini, per esempio, che bonificò le campagne ciociare e vi insediò i contadini veneti; come Agnelli, che sul trafugamento piemontese delle nostre industrie pesanti, oltre tutto il resto, con Giolitti s'inventò la FIAT, per rinchiudervi come schiavi, per cento e più anni, spersonalizzandoli, i nostri contadini non più signori sul proprio Sacro Suolo.
Fu così che CAMPANIA FELIX, TERRA DI LAVORO, semplicemente quel macroregno che andava dalla TErRA AL DI QUA DEL FARO alla TERRA AL DI LA' DEL FARO, felicissime oasi agricole d'Europa, con sistemi avanzatissimi, persero la loro tipicità e la loro ricchezza.
La genìa rurale, quella del Nobile SUOLO, fu deportata a costruire trattori e mezzi meccanici per lande e paludi di altri contadini più fortunati che parlavano un'altra lingua ed erano, non per colpa loro beninteso, di miserrima tradizione.
Ma non divaghiamo oltre, anche se la trasgressione letteraria è stata qui posta per comprendere meglio come la Nobiltà di Sangue abbia infine perso oltrechè se stessa anche la Nobiltà di Suolo e la politica agraria che, insieme alle circa 5000 aziende che possedevamo all'atto dell'occupazione piemontese, era, con gli scambi ed il commercio, fonte di ineguagliabile ricchezza, per il soddisfacimento del fabbisogno interno e delle esportazioni, laddove il Meridione fu nobilitato quale CAMPANIA FELIX perchè, per grazia del clima soavissimo si poteva durante un anno solare raddoppiare il ciclo del raccolto su quel fertile suolo; mentre altrove, al Nord, il terreno sterile o paludoso ed il clima rigido consentivano a stento, se non devastato prima da intemperanze climatiche, un solo scarso raccolto, di un'unica seminagione...E non lasciatevi fuorviare dalle immagini bucoliche dei vari "Mulino Bianco" : la Polenta, bandiera e pane del Nord, era in realtà una pietanza da ricchi e sicuramente non il cibo tradizionale dei poveri villani padani, così come non è vero che Maria Antonietta di Francia suggeriva di mangiare brioches in assenza di pane. Ambedue i "luoghi comuni", sono frutto della campagna denigratoria di due opposti regimi.
A tal proposito, un'audace ed intelligente riflessione è obbligatoria : dei tre libri post-risorgimentali più celebri ,due - "Cuore" e "Pinocchio" - sono beceramente collegati all'iconografia classica dei lacrimevoli piemontesismi circa il "lavoro", l'"eroismo", la "fatica", la "morale", l'"educazione", falsi collanti utilizzati per mettere insieme pezzetti d'Italia e uomini annessi, secondo propaganda di regime mentre il terzo libro - di cucina - è chiaramente anti-risorgimentale perchè sancisce ulteriormente l'impossibilità dell'Italia Unita, a causa delle enormi differenze storiche e di tradizioni delle varie regioni; questo libro è l'"ARTUSI", libro di cucina celeberrimo che divinizza le differenze in ambito gastronomico di ogni popolo sul suolo italico e, si sa, il cibo è cultura! L'ARTUSI resta quindi il più grande avversario politico, insieme a Pio IX, delle teorie unitarie savoiarde e dei suoi deus ex machina. L'ARTUSI celebra e sancisce la verità primordiale e lo fa con colore, con poesia...soprattutto, con "gusto".
Considerata quindi l'occupazione, la distruzione, l'emigrazione, il nobile vede privarsi anche del Suolo. I grandi possedimenti, atti a sostenere l'economia nazionale, si riducono, nei casi migliori, a piccoli feudi, a fazzoletti di terra. Potremmo qui dire che "chi di spada ferisce di spada perisce", rammentando la Congiura dei Baroni quindi la politica dei Massari dei Feudi contro casa Borbone che intendeva garantire i contadini con l'emissione di leggi demaniali e agrarie innovative e lungimiranti che tanto disturbo arrecarono alle baronìe locali precostituite. (vedi Leggi su I Demani e gli Usi Civici).
Si sa, il nostro nemico fu il Savoia, fu la Massoneria, i Giacobini, il Protestantesimo...Garibaldi...Cavour e Cialdini ma tanta responsabilità va suddivisa equamente tra i nobili meridionali che per primi tradirono il loro Re e la loro Patria. Il Sangue ed il Suolo!


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III Parte

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Carlo I duca di Parma, figlio di Filippo V Re di Spagna e di Elisabetta Farnese, fu il peggior Duca che Parma potesse mai avere ma fu il più grande Re di Napoli ed il più illuminato tra i Sovrani di Spagna.
Ancora oggi, i parmensi obiettano circa il trafugamento delle opere d'arte della Collezione Farnese, per mano di questo Duca che si portò a Napoli, nel 1734, quando venne a prenderne il Trono, mobili, suppellettili e persino i marmi delle scale di Palazzo Ducale nonchè l'ordine cavalleresco, perchè, giustamente, ne era unico proprietario.
In realtà, nell'intento di Carlo I di Parma (VII di Napoli..o, emplicemente, Carlo di Borbone) il nobile intendimento era che questo ben di Dio rimanesse comunque in Famiglia e non finisse nelle mani degli Austriaci. Ma questo, gli amici parmensi non vogliono intenderlo e si reputano a tutt'oggi defraudati dai "napolitani", tantochè nelle dispute cameratesche e ridanciane tra emiliani e napolitani seduti allo stesso generoso ed ospitale desco, qualche napolitano è ben riuscito a capovolgere i luoghi comuni sulla napoletanità, ribadendo che la qualifica di "mariòlo" i meridionali l'hanno ereditata da un nordico parmense, che a loro fu d'esempio.
Carlo fu molto amato dai napoletani e molto amò Napoli. A malincuore lasciò la "sua" città, per andare a prendere il Trono di Spagna ed anche da lì, non smise mai di regnare idealmente sui napoletani, preoccupandosi di tenere sempre il filo diretto con suo figlio Ferdinando, suo erede (quello che passò alla storia soltanto come "lazzarone") consigliandolo saggiamente circa gli adempimenti cui tener fede, per non deludere mai i suoi tanto amati sudditi.
Carlo divenne un perfetto napolitano e, da Lui, tutta la genìa dei Re Borbone fu pienamente, esclusivamente, NAPOLITANA (pur se non si può asserire che i Borbone fossero "di razza" napoletana).
Ciò, vale a dire che ribaltando le teorie pan-germaniche sull'assolutismo dinastico e la rigidità della istituzione monarchica, il Sangue del Graal ed il Suolo si mescolano ed il Sangue del Popolo finisce con il fornire l'identità al Suolo eppoi allo stesso Sovrano.
Qui, il Sovrano, non è il padreterno, l'essere intoccabile, innominabile, puro e senza macchia, assiso su di un trono collocato al di sopra dell'ottica comune; con i Borbone, il Sovrano incarna le qualità e le peculiarità del suo popolo, rappresentandolo.
In pratica, a questo punto dell'excursus su Sangue e Suolo, con i Borbone assistiamo al fenomeno della "circolarizzazione" della Monarchia, in sprezzo della "verticalizzazione" dall'alto verso il basso del senso della Regalità pan-germanica.
Il termine "circolarizzazione" è, in verità, brutto ma serve a rendere schematicamente comprensibile l'abbraccio a tutto tondo e la fusione perfetta in sinergia assoluta delle forze monarchia-suolo-sudditi, in rapporto d'interscambio assoluto fra loro.
I Re Borbone parlavano un pò di francese, come era buon uso, allora, presso tutte le corti, ma si esprimevano in ogni manifestazione e moto dell'anima o del governo, in lingua napoletana.
E la lingua è l'identità di un popolo.
Attraverso i suoni, i toni...la "parlata" stretta o larga, dura o morbida, composta da suoni musicali o da grugniti, si identificano le caratteristiche peculiari di un popolo.
Il napoletano, dalla "parlata larga", si rivela simpatico e di buon carattere, come l'emiliano; il piemontese e il lombardo hanno toni più cupi, studiati, cadenzati; un pò troppo affettato il primo, un pò più "pieno" , il secondo.....pensate, ad esempio, alla fonetica della lingua tedesca: i tedeschi SONO effettivamente LA LINGUA CHE PARLANO.
Perchè una lingua "SI E'", non "si parla"!
E la lingua è il primo carattere identificativo dei Re Borbone, perfettamente radicati sul Suolo, in totale complicità con i Sudditi.
Sembrerebbe quasi che sia stato il popolo, il suolo, la NAZIONE INTERA a partorire i propri Re.
Altro elemento singolare e non trascurabile è che le vivande servite alla tavola dei Sovrani, erano le medesime che imbandivano il desco delle famiglie abbienti e non abbienti del Regno. Le medesime pietanze. Tanto è vero che, qualche anno fa, il famoso cantautore Lucio Dalla, trovandosi a Napoli nei giorni delle festività natalizie, piacevolmente stupito affermò in un'intervista ad un giornale che Napoli è l'unica città dove sulle tavole imbandite di poveri e ricchi, il Natale si celebra con le medesime pietanze, in quantità e qualità, in onore proprio al dettato evangelico ed al senso di grande democrazia, innato nei napolitani.
Partendo da due elementi, la lingua e il cibo, che parrebbero essere "dettagli", agli occhi di qualsiasi imbonitore politico ma che, all'analisi attenta di un sociologo o anche di un "antropologo" risultano essere gli elementi primari con i quali misurare il grado di civiltà di una popolazione, si può asserire che il Regno di Napoli, prima ed il Regno delle Due Sicilie, poi, toccarono vertici di civilizzazione mai raggiunti, ancor oggi, in molti paesi (anche europei e non solo terzomondisti).
I nostri amati cinque re Borbone, regnarono in totale 126 anni, dal 1734 al 1860, regalando, ognuno, incessanti stimoli al progresso sociale, politico, culturale, tecnologico, economico, istituzionale.
La dinastia risale a Roberto duca di Borbone, sesto figlio di San Luigi re di Francia, morto nel 1270. Da San Luigi, discende il re di Navarra, Enrico, che nel 1587 ascese al Trono Francese rimasto vacante dopo la morte del cugino Enrico III di Valois.
Enrico di Navarra, nell'atto di conseguire il Trono francese, decise di abbracciare la fede cattolica. E' sua la famosa frase "Parigi val bene una Messa", che sottintendeva, appunto, la sua volontà di conversione.
Dal ramo francese si dipartirono i rami di Spagna, con Filippo V (padre del nostro Carlo), di Parma, con Filippo I e di Napoli, appunto, con Carlo.
Oggi, capo della Casa Borbone delle Due Sicilie è Ferdinando duca di Castro e, suo erede, il figlio Carlo duca di Calabria, pur se i monarchici di spirito dinastico, legittimisti, concordano sul pieno diritto al titolo ed al Trono delle Due Sicilie , in rigorosa linea di discendenza, di don Carlos di Spagna.
Il 6 ottobre 1759, il nostro primo sovrano di Borbone, lasciò Palazzo Reale e si diresse verso il vascello "La Fenice". Il capitano generale della flotta spagnola, Navarro, e gli uomini dell'equipaggio accoglievano e salutavano così il nuovo Re di Spagna, il nostro amatissimo Re Carlo di Borbone.
Dopo 25 anni lasciava Napoli e la lasciava ben diversa da come l'aveva ereditata dal Vicereame Spagnolo. Sotto il suo regno, Napoli era cresciuta, si era estesa lungo la baia ed arrampicata sulle colline di Posillipo, S.Elmo, Portici e alle pendici del Vesuvio. Era ricca di palazzi, ville, strade. Raggiungeva il mezzo milione di abitanti, più di Parigi e Vienna e, con Londra e Pietroburgo, era divenuta una delle cinque capitali d'Europa.
Enzo Poli, in un suo "ridotto" su i re Borbone, attesta che Carlo non ha mai usato le tre famose "F" dei suoi predecessori : la forca l'ha usata pochissimo, i festini li ha ridotti, la farina l'ha sempre assicurata.
Carlo fa erigere il Teatro S.Carlo, amplia la Reggia di Napoli, costruisce la residenze estive di Capodimonte, Portici e Procida e da inizio alla costruzione della Reggia di Caserta.
L'inizio degli imponenti scavi archeologici di Pompei ed Ercolano sono un suo vanto ed un suo intelligente "affaire" per attirare su Napoli l'interesse di tutto il mondo.
Sul piano sociale, ridimensiona il potere del clero e dell'aristocrazia, costringendoli a pagare le tasse, eppure stringe rapporto di ottima collaborazione proprio con un prete, padre Gregorio Rocco, con cui s'inventa il sistema di illuminazione per le vie cittadine, le famose "Madonnelle" con i lumini a olio perennemente accesi in ogni vicolo e, soprattutto, frutto di questa collaborazione è il Real "Albergo dei poveri"....
Lascia una Napoli prestigiosa e ricca, con le ceramiche di Capodimonte, fabbriche di seta, di passamaneria, lini e cotoni.
Lascia a Napoli un bimbetto di otto anni, solo; suo figlio Ferdinando, il futuro "re lazzarone" della menzognera storiografia ufficiale.
Ed anche a riguardo dei titoli poco nobiliari affibbiati ai nostri re Borbone dal "nemico" di sempre, vana sarebbe ogni ulteriore polemica : lo spirito sano della gente equilibrata e senziente non può non rendersi conto dell'insano artifizio creato ad hoc per distruggere l'immagine di una intera dinastia e di un intero Popolo. Parrà strano ai più, infatti, che nei ranghi reali dei Savoia figurino solo "re galantuomini", "re buoni", "re soldati"; mentre, tra le fila borboniche contiamo "re lazzaroni", "re bomba" , "re pennaroli" e "re lasagna".............
Il nostro amato "lazzarone", Ferdinando IV di Borbone, si trova ad essere re di Napoli a soli otto anni, comunque appoggiato da una schiera di otto reggenti del Consiglio della Corona, nominati dal padre.
Il ragazzino, è autenticamente napoletano : intelligenza vivace, amore per la vita all'aria aperta, dotato nella caccia, nella pesca e nella meccanica e, soprattutto, molto curioso. Non disdegna affatto di andare a pescare ed a rivendere il pesce con i pescatori di S.Lucia, i luciani, dei quali conosce, uno per uno, il soprannome e con i quali ama accompagnarsi nei momenti di svago. Avete notizia di qualche altro sovrano così integrato presso il suo popolo?
Nonostante lo spirito da scugnizzo, nonostante l'opprimente matrimonio con Maria Carolina Asburgo Lorena, per la quale governare significava "dare ordini" e che mai apprezzò la ruspante vita di corte partenopea nè tantomeno il marito che, a suo dire, parlava in maniera "volgare" (solo perchè si esprimeva nella lingua nazionale ed era praticamente inconsapevole circa i farraginosi schemi dell'asfissiante protocollo asburgico); nonostante questi freni, Ferdinando si dimostrò anch'egli un sovrano illuminato. Riordinò l'Università, creando sei nuove cattedre, avviò parecchie riforme e, unico sovrano di tutti i tempi, realizzò l'utopia socialista della celebre comunità di San Leucio, che meriterebbe un capitolo a parte. Possiamo solo aggiungere che, in tempi moderni, nessuno, neppure certi famosi industriali del Nord che han voluto cimentarsi con un progetto sociale simile, sono mai riusciti ad attuare la perfetta "isola felice" che fu realtà sotto Ferdinando IV. Incredibile è pensare che una comunità socialista abbia trovato ragione d'essere e stimolo, proprio sotto il regno di un sovrano di una casa Reale definita "oscurantista"......
Ferdinando IV di Napoli eppoi I delle Due Sicilie mantenne il Trono per circa sessant'anni ed in questo lungo periodo si misurò in tenzoni difficilissime, quali la Repubblica Partenopea e il regno di Gioacchino Murat.
Ci piace ricordare, tra le personalità che lo affiancarono per circa quarant'anni della sua vita, il marchese Bernardo Tanucci, al quale i napoletani ed i borbonici, ancor oggi, devono molto.
Francesco I, figlio di Ferdinando IV, succede a suo padre. E' completamente all'opposto della personalità paterna, nel senso che ama la tranquillità, gli studi, la vita di campagna rispetto a quella di città.
Regna per soli 5 anni, sotto il peso delle difficoltà della Restaurazione. Ciononostante, incoraggia chi impiega capitali nell'industria, ridando slancio all'economia del Regno, decaduta a causa degli ultimi avvenimenti storico-politici.
Muore purtroppo ben presto e lascia suo erede il grande Ferdinando II.
Il nuovo sovrano, di carattere allegro, abbandona del tutto l'uso della lingua francese e si esprimerà sempre e comunque in napoletano, conquistandosi la simpatia e la fedeltà dei sudditi. In breve, Ferdinando II, privilegia i rapporti con il popolo, controllando invece ogni attività dei cortigiani, dei diplomatici e degli "intellettuali", memore degli strascichi e degli sfasci operati dalla Repubblica Napoletana, sotto il regno di suo nonno.
Ferdinando, può essere considerato a pieno titolo il "Padre della Patria" e il Padre dei suoi sudditi. Sotto di lui, numerose riforme, regalano modernità al Reame. Ricordiamo con piacere la riforma delle Finanze, la politica industriale, il vanto della marineria e della flotta navale, l'importanza che rivestì, sotto il suo regno, l'industria meccanica e metalmeccanica, lo sviluppo delle linee ferroviarie, delle industrie correlate e la razionale supervisione dello Stato.
Per poter meglio comprendere lo spirito cristiano che animava questo sovrano, si consiglia la lettura degli ordinamenti, relativi al settore economato degli ospedali militari, per comprendere con quali cure "paterne" egli tenesse a cuore i suoi sudditi!
Non è affatto vero che usò la sferza, con i confinati sulle isolette del Regno. Il famoso "untore" Gladstone, che solo dall'esterno visionò un carcere borbonico, non ebbe modo di verificare con quale e quanta umanità i "detenuti" vi fossero costretti e delle possibilità che avevano di svolgervi comunque vita sociale...Se Gladstone avesse messo più cura nel visitare i luoghi di costrizione, pena e tortura, riservati da Sua Maestà Britannica agli indipendentisti irlandesi...forse, la famosa lettera che dette avvio allo sfascio della cattolicità europea e dei regni ad essa collegati, mediante le premurose cure della massoneria inglese e del protestantesimo, non l'avrebbe mai scritta.
Francesco II, ultimo re Borbone Due Sicilie, è stato presentato sempre come una larva, un mollacchione, non a caso. E' stato infatti l'unica persona fisica Reale con cui i Savojardi hanno dovuto misurarsi.
Poco dopo la morte del Padre, la tragedia si abbatte sul Regno ed è una tragedia annunciata dal tradimento della borghesia del Regno, in combutta con i famosi "liberali", "massoni". La fine del Regno delle Due Sicilie è da reperire, infatti, in quella che potremmo chiamare una GUERRA SANTA tra due opposte CHIESE; quella cattolica e quella massonica; la prima, capitanata dalla Corona Inglese; la seconda, rappresentata dallo Stato Pontificio e dagli Stati cattolici. Non a caso saranno spazzati via, oltre al Regno delle Due Sicilie - che, secondo le parole di Ferdinando II "confinava con l'acqua Santa e con l'acqua del Mare" - l'Austria ed anche la Russia : i tre grandi stati cristiani d'Europa!
Francesco, fa quello che può per salvare il suo Regno ma il problema è costituito dagli uomini che lo circondano e non è affatto più imbecille di quel cugino re di Sardegna, quel Vittorio Emanuele, attorniato invece e sostenuto da ben altre forze e uomini.
Francesco e Mariasofia, giovanissimi, si dimostrano eroici nella difesa dell'ultima roccaforte del Regno, Gaeta "la fedelissima", e la loro vicenda prende risalto su tutta la stampa europea, che finisce con l'ammirare questa coppia regale che, di persona, a rischio della propria incolumità, difende la Patria ed i Sudditi. E siccome scripta manent, ci chiediamo come mai, a Regno caduto, la storia ci abbia presentato un re ignavo, pigro e stolto, al posto dell'eroico ragazzo che è stato.
Il mattino del 6 settembre 1860, per sventare il pericolo di un bombardamento su Napoli, Francesco e Mariasofia si ritirarono a Gaeta. Il re portò con sè carri colmi di documenti, tralasciando ogni oggetto di valore. Non andò neppure a ritirare dalla banca la sua fortuna personale, ammontante a circa 11 milioni di ducati più 50 milioni di franchi d'oro. Queste ingenti somme, oltre al vasellame d'oro, ai quadri ed alle altre ricchezze, furono incamerate dai piemontesi!
Di valore, Francesco II portò con sè solo un quadro di Raffaello che regalò all'ambasciatore di Spagna, Bermudez de Castro, fedelissimo collaboratore.
Mariasofia divenne il simbolo dell'assedio di Gaeta.
Cadde il Regno, furono costretti all'esilio i nostri amati sovrani ma...da allora, da quel 13 febbraio del 1861, "Franceschiello" e Mariasofia, vivono nei cuori e nel ricordo dei figli di tutti i meridionali autentici ed il loro regno spirituale non avrà mai fine!
Avremmo potuto dire grandi cose sugli 800 anni del Nostro Regno indipendente.
Avremmo potuto parlare degli Aragonesi, degli Svevi, degli Angioini...degli antichi Greci....Parliamo dei Borbone, perchè loro furono l'ultima espressione della nostra grandezza, della nostra libertà, della nostra indipendenza. ..Perchè, per quelle bandiere gigliate molti dei nostri bisnonni combatterono e morirono...Perchè, quei morti, attendono ancora di essere vendicati e, soprattutto, ricordati....Perchè, a quei morti - sangue del nostro sangue - dobbiamo ridare un'identità, restituire le loro speranze, integre e, soprattutto, dobbiamo restituirli alla nostra storia!(vedi "La storia proibita" -ediz. CONTROCORRENTE Napoli, marzo 2001 di AA.VV., tra i quali l'autrice del presente pamphlet)
Quindi, abbiamo trattato della Monarchia, partendo dal pan-germanesimo, fino ad arrivare ai Borbone Due Sicilie, che restano unico esempio di Monarchia di uomini integrata sul territorio: I Borbone Due Sicilie che parlano la lingua nazionale, che si nutrono dei frutti locali, che sono espressione stessa delle peculiarità di quel popolo e di quella terra.
Purtuttavia, ripetiamo, i Borbone non sono "di razza" napoletana ed a questo punto, anche per meglio chiarire le motivazioni che portarono alla caduta del Regno, riportiamo una fiche tratta dall'ottimo romanzo "L'eredità della Priora" del celebre meridionalista Carlo Alianello, perchè, dopo aver detto ogni bene del Sangue e del Suolo Meridionali, è anche opportuno conoscere e debellare l'unico grande difetto dei meridionali generosi, eroici, sinceri, affabili, pacifici ma, àhinoi, individualisti! E l'individualismo, ancor oggi, è freno durissimo al nostro riscatto, come allora lo fu della nostra vittoria.
"....Allora disse don Totonno Spera che parlava piano piano, tomo tomo :"Questo, signor generale è il vertice supremo, il motore, l'essenza medesima dell'animo meridionale : l'invidia. La gente dice : neh, perchè quello sì e io no? Fossi più fesso io? Impossibile; neanche pensarlo...siccome l'invidia si sposa con la vanità. E non pensano al lavoro, al sacrifizio, magari alla fortuna. Nossignore : chiunque si alzi (da intendere, "si èlevi") li fa fessi e quindi deve essere abbassato. Ferdinando II, che era Re, quando per via del progresso l'hanno pensato come uomo, non semidio, uno dei loro, come tutti quanti, essendo re, faceva fessi tutti. Quindi fu necessario sbatterlo giù. Eppure lui...Quello s'era napolitanizzato 'o veramente.....Questo re nuovo, Vittorio Emanuele, forestiero è, non è di casa nostra, epperciò non se ne sentono offesi...ancora. Perchè se il forestiero fatica e guadagna, non porta colpa. La mamma e la natura l'hanno fatto per questo; è un faticatore nato, magari in veste di re o di gran signore. Condannato al lavoro; chè se poi gli vada bene o male sono affari suoi. Ma un napoletano fortunato è un oltraggio patente, insopportabile. Epperciò Napoli non ha mai avuto un re di razza napoletana".


Marina Salvadore





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