Prima parte
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Pronosticava Ghandi che sulla
Terra sarebbero rimasti, alla fine dei tempi, 5 Re : quelli del "mazzo
di carte" e quello d'Inghilterra.
Più o meno ci siamo ma ogni re di cuori, di picche, di fiori o
di quadri ch'è passato, ci ha lasciato in eredità una sconfinata
serie di principi, marchesi, conti e baroni, la cui nobiltà di
sangue, attraverso la linfa dei propri feudi, si è arroccata in
una nobiltà di suolo; principi- agricoltori, contadini nobili,grano
e gigli d'oro, sangue broulè di vino e ambrosia, stearica progenie
su ubertosi colli. Sole sfavillante non su scudi alzati ma su pannocchie.
Soldati sostituiti da oche, polli, mucche e tori, dietro una cortina fumogena
di fairplay, noblesse oblige, stucchi dorati e... forme di parmigiano.
C'è da ammirarli o da compiangerli, questi Signori che si sono
rimboccate le maniche non per dar di scherma ma per zappare la terra?
Qualcuno è sinceramente ammirevole ma se qualcosa di molti ci irrita
è la loro staticità, la loro debolezza. Quella assenza di
orgoglio e di combattività che fece grandi e temerari, nel bene
e nel male, i loro antenati, i Padri, i nostri "sancta santorum".
Nel mentre questi ultimi svaporano nell'oblìo, quelli si lasciano
vivere tra i loro piccoli lussi ed i blasoni anneriti che piovono giù
dall'arco d'ingresso dei loro Palazzi obsoleti, per i quali, se non concorrono
i comuni ed i patronati, gli enti a tutela dei beni artistici e architettonici,
ne sarebbe decretata la scomparsa.
Si ostinano a mescolare fasti e nostalgie, guardandosi alle spalle, sopravvivendo
"alla memoria", immersi totalmente nella grazia degli antenati
ma incapaci di arrivarla, in quanto a spirito ed a volontà.
Privi di iniziativa, sprofondati nella pigrizia mentre il sangue più
nobile, quello del popolo autenticamente italico, ribolle e schiuma. Nobili,
retrocessi a "snob".
Ma come fanno a non inorridire, a non provare un senso di nobile rivalsa,
dinanzi al panorama politico e sociale attuale? Come fanno, con quale
animo depresso e spento, a lasciarsi sopravvivere nell'inerzia, di fronte
al volgare regime che ha contaminato e offeso la terra, le genti, i propositi,
i giuramenti sacri, la stirpe?
Perchè la nobiltà, iperdotata di storia, tradizione, cultura
è così molliccia e vischiosa? Perchè è priva
di slanci, di vita? Proviamo a rispondere, anche se la nobiltà
di chi scrive non è sancita da un pedigree ma si estrinseca esclusivamente
nel ricordo ancestrale sempre incombente e nel più elevato senso
di "appartenenza" che, di per sè, la nobilita. Giovanna
d'Arco non era forse solo una contadina? Forse trattasi, in questa sede,
del ricordo di qualche altra antica pira di cui fu protagonista chi scrive
o chi, a distanza di un grappolo di decenni da certi "fuochi purificatori"
intende gettare acqua su quel fuoco, per invitare alla meditazione il
popolo, ed all'azione i nuovi Puffi di sangue blu.
Abbondantemente prima, ci ha provato un rigido Walther Darrè, Ingegnere
Agronomo e Ingegnere della Scuola Coloniale, germanico, da Saaleck, nella
primavera del 1930, con il saggio "La nuova nobiltà di Sangue
e di Suolo"; uno sproloquio razzista e allucinato ma perchè
destinato esclusivamente alla nobiltà tedesca ed al contadino tedesco,
ovviamente ariani purissimi. Ma nel vaso di Pandora delle sue tempestose
e apologetiche argomentazioni, il Darrè lascia naufragare, come
ogni folle che si rispetti, due pillole di saggezza, ben digeribili da
"nobiltà" e "ignobiltà" d'ogni ceppo
europeo; due grandi verità, alla base di ogni declino di nobile
schiatta e di sovrano popolo." Il binomio di sangue e di suolo si
connette a quanto, nella tradizione occidentale ebbe senso di fedeltà
alle origini, chiarezza, semplicità, compostezza. I valori del
sangue e del suolo rivestirono un'importanza fondamentale nell'Ellade
luminosa dei Dori, nella Roma primordiale dei patres e in quella guerriera
e rurale del periodo repubblicano, nell'ordinamento feudale del Sacro
Romano Impero". Prosegue - il Darrè - "Concepito come
simbolo di una realtà corporea che è stata rimossa dalla
sua n a t u r a l i t à ed è divenuta, in una unità
assoluta di spirito, anima e corpo, espressione vivente dell'elemento
spirituale, il Sangue veniva inteso come il veicolo di influenze superiori"
Riserva e "fonte di vita" della aristocrazia fu il contadino
fedele alla terra e radicato nel suolo : esso costituiva la base sociale
ed economica dello Stato.
In alternativa al tipo d'uomo indifferente, apolide, sradicato, democratico
e meticcio che caratterizza l'epoca borghese, le parole d'ordine "sangue"
e "suolo", sentenzia il germanico, rappresentano dunque le condizioni
imprescindibili per un'autentica "restaurazione dell'umano".
Spiega poi la crisi e il declino della nobiltà tedesca con un giudizio
d'analisi, facilmente rapportabile al declino delle nostre famiglie autoctone
:"A parte qualche eccezione, la nobiltà tedesca ha fatto così
poco per il nostro popolo e per la ricostruzione dell'Impero, che essa
ha diritto alla nostra stima solo in casi isolati...I nostri Nobili preferiscono
fare affidamento sulle loro terre e sui loro conti in banca per cavarsi
d'impaccio." Per loro, così come constatava G.Ferrero a proposito
della nobiltà romana e della sua abdicazione nel 1 sec.A.C., si
tratta di salvare se stessi ed i propri beni in mezzo al disgregamento
dello Stato e di camuffare questo tentativo dietro l'etichetta di "Partito
Conservatore" . "Oggi - prosegue Darrè - a Berlino, la
nostra nobiltà preferisce illuminare con la propria presenza i
ricevimenti dei mercanti e dei nuovi ricchi della Guerra e della Rivoluzione,
e frequenta i nuovi padroni della Repubblica".
Tali concetti avrebbe saputo esprimerli, oggi, persino l'ultimo dei meridionalisti
non monarchici ma appena appena nostalgico, a proposito dell'infimo decadimento
della Storia di un Regno; l'ultimo "borbonico", per il quale
la immotivata distanza di Casa Borbone Due Sicilie dallo spirito e dagli
intenti di revisione storica sulle diffamazioni di un secolo e mezzo di
rivendicazioni giuste assume i toni dello sconcerto e se non proprio del
disonore, almeno del "poco onorevole".
Oggi, Casa Borbone Due Sicilie non esiste più, conforme alla sua
definizione, malgrado gli sforzi di quei membri, nobili o meno, non responsabili
di questa decadenza, che lottano sia con le idee che con le opere per
farla rivivere, dimostrando così, più o meno consapevolmente,
come almeno loro siano degni di essere "nobili"! Ecco quindi
che dalla nobiltà del Sangue si passa a quella del Suolo, per comune
condivisione d'amore per la propria storia, per il radicamento sul Suolo
amato, nelle ferite della Patria, immersi nel sangue dei martiri e degli
eroi d'allora e nel fertile terreno vulcanico dei vigneti di perle purpuree
del nostro mito e del nostro presente.
Coltiviamo la Terra, così come coltiviamo la Storia, con amore
e sacrificio, col nobile intento di rendere fertili l'una e l'altra, per
il sostentamento dello spirito dei figli dei nostri figli, ai quali non
deve essere negata la propria storia, il senso di appartenenza, il lignaggio.
Ecco che il nobile e il contadino sono ugualmente sovrani sul proprio
suolo, in onore della Tradizione, delle Radici, degli Antenati; con una
sola differenza da allora : tutti due, ora, il sangue lo versano insieme
e l'uno dipende dall'altro e viceversa.
Dissodare il terreno è compito duro ma è anche un'arte,
alchemicamente parlando, nella piena armonia con la natura della Terra
e dei suoi elementi. Non si possono piantare aiuole ove crescono solo
rape; occorre accontentarsi delle rape! Ogni quercia nasce da una ghianda
ed a nessun comune mortale è dato tutto il tempo per assistere
al prodigioso mutarsi di un seme nel maestoso albero.L'importante è
l'aver seminato e vivere nel desiderio della quercia che verrà...e
la quercia fioccherà altre ghiande, come i blasoni di ieri hanno
prodotto i nuovi contadini di oggi che, senza più elmo nè
spada ma con vanga e aratro, si sono sostituiti ( con un briciolo di stile
in più, forse) ai loro ruspanti sottomessi, probabilmente nella
giusta mistura di sangue e di suolo, prestando attenzione e facendo conoscenza
con madre Terra, Nostra Patria.
Per molti nobili, oggi, "terra" non è più solo
un quadrato di confini tra un feudo e l'altro, un vessillo di colore diverso
o una semplice questione di proprietà ed affittanze. C'è
chi sul serio ha compreso che il risveglio di antichi valori deve partire
dal basso verso l'alto, dal più umile dei compiti, quale quello
di spezzarsi la schiena per proteggere ogni filo d'erba, ogni spiga di
grano, ogni profumato giglio nella notte estrema. E c'è chi, al
di là dei "ricchi premi e cotillons" di antichi privilegi,
rispolverati in questa fasulla società dell'immagine, desidera
seriamente privare dell'ignobile etichetta di "parassita" l'olografica
immagine della Nobiltà.
Il nobile di sangue e di suolo, a prescindere dagli illustri natali, è
costretto ad un viaggio interiore nel passato del "magus" rinascimentale
che ben coniugava la propria cultura con la sua semplice essenza umana,
che cercava l'equilibrio perfetto della propria natura nella Natura: Praticava
quell'arte detta - appunto - Regale, che trovava il suo presupposto più
significativo nella SINTESI, aborrendo l'ANALISI; che protendeva all'Unità
e non alla FRAMMENTARIETA' delle discipline; che creò le UNIVERSITA',
così definite perchè "di senso universale" e non
l'accozzaglia di discipline tra loro slegate che, oggi, privano l'università
del loro primordiale senso.
Il "magus" era il vero nobile dei suoi tempi. Esatta mescolanza
di sangre royal(cioè, divino) e di suolo ( cioè, comprensione
e rispetto dei cicli della natura e della sua essenza).
Ogni "ismo" succedutosi, nelle epoche, alla qualifica di "ermetismo"
e quindi "marxismo", "fascismo", "maoismo"
e "capitalismo" ha solo creato sconcerto nell'umanità,
sempre alla ricerca di un senso e di una guida per la propria esistenza
e che si è trovata di fronte una massa di teorie "assolute"
ed in netta contraddizione tra loro (come saggiamente affermano Baigent
e Leigh ne "L'Elisir e la Pietra"). Ciascuna di queste teorie
pretende di avere le risposte che l'umanità sta cercando ed impone
la propria peculiare interpretazione della realtà quando non addirittura
la costante manipolazione della realtà.
Di fronte a tutte queste rivendicazioni, nessuno può fare una scelta
consapevole e, di esperienza in esperienza, quelli che sono appena senzienti
e non masochisti interiorizzano ogni parte di vissuto e dopo l'opportuna
catarsi o discesa agli inferi lo spirito si libera e corre a cercare il
senso della propria appartenenza.
Questo è il tempo maturo perchè ogni individuo di sangre
royal, con o senza blasone, dotato di spada o di aratro, seguito da un
esercito di soldati o di polli, principe di un casato o semplice regina
di un focolare, danzi nudo nel vento e riparta da zero. Da sè.
Dalla sua UMANITA'!
Il desiderio di "appartenenza", innanzitutto, tocca i coscienti,
i dignitosi e smuove onore e fierezza: l'orgoglio della stirpe. Si torna
a combattere per la propria dignità, libertà ed indipendenza,
per i propri ideali e quanto sarebbe auspicabile che il processo evolutivo
comprendesse in sè non solo, come sta avvenendo, il popolo, il
contadino, il cittadino comune ma soprattutto gli eredi di sangue di certe
famiglie che erano per noi una bandiera, per la quale i nostri antenati
hanno combattuto.
Ecco, l'attuale nobile di sangue e di suolo, comunque archivio storico
vivente della sua Patria, dovrebbe ritrovare in se stesso quella grande
forza di riscatto che si estrinseca nel coraggioso e quasi "eretico"
rispetto per la dignità della gente comune. Per la sua gente! Compenetrarsi
nella forza e nell'orgoglio del "semplice" che, con forza e
orgoglio, desidera risvegliare pari requisiti nel prìncipe. Nella
Bandiera!
In ogni fiaba, il contadino si distingue dal principe per la sua saggezza
e per l'"azione"; il prìncipe, solitamente, è
indicato come un uomo-di-pensiero, solitamente narcisista, pigro, indolente
e un pò fricchettone. Quando è "al massimo" è
semplicemente "AZZURRO" ma oggi nessuna Cenerentola si accontenterebbe
più di un simile bamboccio, senza Arte, nè Parte. La Cenerentola
del 2000 d.C. vuole un Uomo, non un fotomodello infiocchettato, a passeggio
per campi da golf in groppa al cavallo della Barbie.
La nostra bandiera deve tornare a svettare. Dovrà essere un vessillo
e non uno straccio o un festone di Piedigrotta. Dovrà essere nè
AZZURRO, nè BARBIE. Umana!...Dalla radice del termine UMANITA',
"UOMO"; quella figura miracolosa che Leonardo Magus da Vinci
inscrisse in una perfetta stella a cinque punte.
Noi, osiamo sperare che la nostra nobiltà rialzi la testa e torni
degnamente a rappresentarci, rivendicando ogni onore per il Sangue e per
il Suolo, per la propria gente, per la Storia che ci ha partoriti e ci
piace immaginare che il piacere ed il lavoro della Terra, questa "nuova
occupazione" o "necessità" per molti, produca succosi
frutti, tra i quali, la saggezza del contadino, assieme al "coraggio",
all'"azione" ed al "rispetto" del Sangue. Contiamo
sulla Forza del Nostro appello di Risvegliati al Risveglio della Dignità
e della Vera Nobiltà. Quella, dell'Animo.
Signori! La campanella ha suonato. La ricreazione è finita! Si
torna ad "essere" e come tanti provetti Indiana Jones si va
"alla ricerca dell'Identità Perduta".
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II Parte
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Si può provare nostalgia per un tempo che crediamo non appartenerci,
ch'è remoto e ignoto; inimmaginabile, forse.
Eppure, di fronte alle testimonianze ed ai reperti a noi giunti da un
lontano "allora", è come se la memoria delle nostre memorie,
un guizzo del più profondo sè, ricostruisse il puzzle dell'eternità.
A piccoli interi, a fotogrammi. Di età in età.
Di ricordi ancestrali e di quelle strane, inevitabili malinconie.
Malinconia, per cosa, per chi? Per un tempo che fu e forse ci abbracciò;
un'onda di esistenza che dal tempo dei tempi, scorre per intere generazioni,
con vite sempre nuove, in un sangue sempre antico.
E' questa, infine, la "cerca" del Graal, nel suo senso più
autentico; la via del nostro santo graal personale ed universale, dove
la malinconia ne è il mistero e la porta dell'iniziazione.Si
è esordito, in questa sede, con la presentazione della valutazione
pan-germanista della Nobiltà, semplicemente per aprire il corso
allo sviluppo del tema.
Come ogni organismo vivente , anche la Nobiltà è soggetta
a flussi e riflussi, modificazioni "genetiche", dipendenti dall'ambiente
e dal microclima storico, giacchè l'umanità, per dirla con
il poeta libanese Khalil Gibran è un "luminoso flusso che
scorre dall'interno all'eterno", affermandone quindi l'estrema mobilità
ed evoluzione.
Si è partiti quindi dalla concezione più assolutista e rigida
dell'Aristocrazia : quel Sangue che il folle Hitler, alla stregua di un
alchimista pazzo, volle trasfondere dal cadavere della Antica Nobiltà
germanica nel III Reich, tentando disperatamente di creare in "carne
ed ossa" e quale organismo vivente e dominante, il suo personalissimo
Golem, volle trasfondervi l'essenza di miti ed "eroi" legati
alla leggenda e, purtroppo per lui, inconsapevole, e per tutti coloro
che lo subirono non fu in grado di comprendere che quei miti e quegli
eroi erano stati partoriti ab origine da eventi di segno diametralmente
opposto al suo pensiero.
Il Regno idealizzato dal Fuhrer, che intendeva rifarsi ai miti della Saga
del Graal, con i cavalieri puri e senza macchia, l'eroe Artù, re
dei Britanni, nasceva in realtà, insieme al mito di Robin Hood,
quale espressione popolare di riscatto delle fasce derelitte dalle fauci
bramose ed avide della Nobiltà Britannica, sconsiderevolmente opprimente.
Non dimentichiamo che la paternità del famoso Artù fu imputata
ad Uther Pendragon e che "Uther" in antico gallese significa
"capo dei soldati". Questi era il Sovrano del Regno di Britannia,
diviso da aspre lotte intestine che vedevano gli uni contro gli altri
i piccoli regni che lo componevano. Le tensioni interne erano peraltro
aggravate all'esterno in virtù dei numerosi assalti conquistatori
di orde di Sassoni rapaci e barbari, provenienti dal continente europeo,
con tutto il comprensibile disagio dei mai considerati sudditi britanni
che, come si può immaginare, se la passavano molto male e che tentarono
di rendere più vivibile la loro tetra quotidianità e le
scarsissime aspettative di vita, affidandosi alla fantasia, per reagire
alla tirannide endogena ed esogena della loro Terra.(vedasi raccolta "Miti
e Leggende" della Sperling & Kupfler).
Ecco, questa fu la grande contraddizione di fondo sulla quale nacque il
nazismo del Sovrano Uther-Hitler che, fino a prova contraria e dimostrabile,
pare sia incorso maldestramente nell'apoteosi di un conflitto mentale
irrisolvibile tra due distinte "minzioni" di pensiero, di segno
opposto, in ordine alla loro matrice culturale ; dimostrazione che la
presunzione è figlia legittima dell'ignoranza e l'ignoranza è
madre di molte tragedie.
Soprattutto, quando pensiamo allo stimolo sociale indotto negli oppressi
e che dette vita alla Saga di re Artù, in rapporto alla ideologia
germanista, basata sulla Triade : Contadinato, Popolo, Nobiltà,
sul favore che ha incontrato la dottrina dell'ereditarietà e l'idea
della razza. "Come i contadini sono la fonte essenziale e primordiale
del rinnovamento del Sangue del popolo, così l'Aristocrazia, in
quanto emanazione dell'èlite del contadinato e formante un solo
corpo con questo, è destinata a dispensare al popolo intero il
frutto naturale della sua azione di comando - Darrè-". Si
può notare come i miti del Graal, di Artù, di Giuseppe di
Arimatea, di Lancelot o Perceval ma anche del più umanizzato Robin
Hood, che riscoprivano in sè il senso religioso ed anche la fede,
il regno del sovrano Giusto e del popolo appagato, sia nettamente in contrapposizione
con il senso istituzionale della Nobiltà germanica, che si riduce
sinteticamente ad essere la "conservazione della capacità
indiscussa di "capo" in un ceppo ereditario che garantisce al
popolo un supporto inesauribile di capi selezionati".
L'esperienza della Storia insegna che un popolo la cui Nobiltà
è degenerata, partorisce da sè una nuova nobiltà.
Agli albori della Storia Romana, quando insorsero guerre cruente tra i
patrizi di origine agraria ed i plebei dell'urbe, la Nobilitas della Roma
antica sorse dalla mescolanza delle famiglie patrizie e plebee e produsse
la nozione di Stato, così come era concepita dall'antica Repubblica
romana (dal IV al I sec.a.C.)Quando la Repubblica romana degenerò
ed il potere fu raccolto da Giulio Cesare, il concetto di Stato - secondo
Altheim ed Evola - tramutò in dispotismo la libertà del
popolo, poichè Cesare ricevette ed esercitò una quantità
di prerogative e di privilegi che ricordavano i Re delle origini.
Nel tardo Medioevo, i Sovrani rispondevano solo a Dio del loro operato,
poichè, secondo risposta di Filippo il Bello a Papa Bonifacio VIII,
nel 1301, "...il re ed i suoi predecessori hanno sempre avuto il
diritto di governare direttamente da Dio e il re non ha superiori nell'esercizio
del potere temporale".
Tuttavia, le corti europee medievali, da conclamati ed ameni luoghi di
frivolezze e sfrenatezze, ci sorprendono perchè iniziano a divenire
veri e propri centri di gestione politica dello Stato. Lo storico francese
Jacques Le Goff sostiene che già nel Medioevo le corti esprimevano
in embrione ciò che sono i moderni organi di governo : il Consiglio
di Stato, la Corte Costituzionale, la Corte dei Conti e il Parlamento.
In breve, nel tardo medioevo, con l'espandersi del potere alle monarchie
europee, anche la primaria organizzazione delle corti fu coinvolta nel
processo; se prima la corte era una comunità di individui attenta
alle cure del sovrano e dei suoi beni, con un entourage di gransignori
in alleanza politico-strategica e il parterre di artisti che curavano
l'immagine del sovrano, ora divenivano siti di pubblica amministrazione,
con funzionari, uffici specifici ed addirittura "consigli di governo".
Chi vide accrescere il suo potere personale fu il burocrate( confronta
la rivista "Medio EVO" luglio'99) il cancelliere. Certamente,
con il trionfo della "scrittura" si palesò uno strumento
di governo indispensabile ed era il cancelliere a stilare editti, ordinanze,
decreti, per diramare la volontà del sovrano. Era il cancelliere,
a capo di tutti gli uffici che producevano secondo competenza i documenti
scritti che regolavano le leggi dell'amministrazione del Regno; era il
cancelliere, custode ed utilizzatore del Sigillo Reale, senza il cui imprimatur,
ogni documento perdeva efficacia e risultava nullo. Aveva il potere, mediante
l'imposizione del Sigillo Reale, di "vitae et necis" di qualsiasi
legge o ordinanza, di qualsiasi atto di governo. Il cancelliere. Un ruolo
ambito e potente che esiste ancor oggi, e riflette la nostra modernità
non più solo in ambito monarchico.
Mentre i regni romano-barbarici producevano scritti inerenti solo le consuetudini
dei popoli germanici, l'epoca carolingia riattiva possentemente l'attività
legislativa, utilizzando lo strumento della scrittura. Infatti, Capitolare
è il termine con il quale si indica, a partire da Carlomagno i
"capitoli" di leggi ed editti, con i quali i carolingi emanavano
norme a tutela della vita del regno. Tale codificazione capitolare è
ritenuta la fonte di studio più ambita dagli storici, per l'interpretazione
del tessuto sociale, politico ed istituzionale del governo dei re italici
(fino alla fine del IX sec.) e la scioltezza del linguaggio dei cancellieri
di ieri potrebbe a rigore essere d'esempio per i burocrati d'oggi, ampollosi
ed inconsistenti.(confronta, sempre, la rivista Medio Evo n. citato).
Ed il Meridione, il Sud Italico? Diversità etniche e culturali,
magistralmente interpretate e dirette dai Normanni, nel pieno rispetto
del pluralismo.
Durò forse meno di due secoli il periodo normanno della conquista
del Sud e della Sicilia. Si era nell'XI secolo e fu l'età dell'oro.
Comparvero strutture politiche e sociali che lasciarono il segno anche
oltre quella dinastia. Creazione di nuovi insediamenti rurali, con il
miglioramento delle condizioni di vita dei contadini e lo sviluppo del
commercio e dell'artigianato.
Noi, oggi, si fa del sano e responsabile revisionismo sull'ultima era
felice del Meridione che corrisponde alla dinastia borbonica, semplicemente
perchè riflette la nostra modernità ed il periodo di massimo
splendore della nostra Nazione, ben prima di un Regno d'italia inventato
sulla nostra pelle ma potremmo dirci, a piacimento, a seconda degli impulsi
e delle necessità dell'anima e dei guizzi della nostra mente critica,"greci"
"normanni", "angioini" o "aragonesi", perchè
questi, con i nostri Borbone, rappresentano i nostri 800 anni di Stato
Indipendente, un primato che spetta a pochi.
Anche quando fummo sotto la Spagna, all'epoca del Vicereame (e il termine
stesso, lo dice) non fummo mai considerati una "colonia", come,
per contro, c'è capitato di diventare (ed ancora oggi lo siamo)
con l'occupazione sanguisuga dei Savoia, per i fatti storici e tragici
ben noti; così come ci è capitato di prenderne atto, più
volte, in epoca immediatamente successiva all'Unità d'Itaglia,
con Mussolini, per esempio, che bonificò le campagne ciociare e
vi insediò i contadini veneti; come Agnelli, che sul trafugamento
piemontese delle nostre industrie pesanti, oltre tutto il resto, con Giolitti
s'inventò la FIAT, per rinchiudervi come schiavi, per cento e più
anni, spersonalizzandoli, i nostri contadini non più signori sul
proprio Sacro Suolo.
Fu così che CAMPANIA FELIX, TERRA DI LAVORO, semplicemente quel
macroregno che andava dalla TErRA AL DI QUA DEL FARO alla TERRA AL DI
LA' DEL FARO, felicissime oasi agricole d'Europa, con sistemi avanzatissimi,
persero la loro tipicità e la loro ricchezza.
La genìa rurale, quella del Nobile SUOLO, fu deportata a costruire
trattori e mezzi meccanici per lande e paludi di altri contadini più
fortunati che parlavano un'altra lingua ed erano, non per colpa loro beninteso,
di miserrima tradizione.
Ma non divaghiamo oltre, anche se la trasgressione letteraria è
stata qui posta per comprendere meglio come la Nobiltà di Sangue
abbia infine perso oltrechè se stessa anche la Nobiltà di
Suolo e la politica agraria che, insieme alle circa 5000 aziende che possedevamo
all'atto dell'occupazione piemontese, era, con gli scambi ed il commercio,
fonte di ineguagliabile ricchezza, per il soddisfacimento del fabbisogno
interno e delle esportazioni, laddove il Meridione fu nobilitato quale
CAMPANIA FELIX perchè, per grazia del clima soavissimo si poteva
durante un anno solare raddoppiare il ciclo del raccolto su quel fertile
suolo; mentre altrove, al Nord, il terreno sterile o paludoso ed il clima
rigido consentivano a stento, se non devastato prima da intemperanze climatiche,
un solo scarso raccolto, di un'unica seminagione...E non lasciatevi fuorviare
dalle immagini bucoliche dei vari "Mulino Bianco" : la Polenta,
bandiera e pane del Nord, era in realtà una pietanza da ricchi
e sicuramente non il cibo tradizionale dei poveri villani padani, così
come non è vero che Maria Antonietta di Francia suggeriva di mangiare
brioches in assenza di pane. Ambedue i "luoghi comuni", sono
frutto della campagna denigratoria di due opposti regimi.
A tal proposito, un'audace ed intelligente riflessione è obbligatoria
: dei tre libri post-risorgimentali più celebri ,due - "Cuore"
e "Pinocchio" - sono beceramente collegati all'iconografia classica
dei lacrimevoli piemontesismi circa il "lavoro", l'"eroismo",
la "fatica", la "morale", l'"educazione",
falsi collanti utilizzati per mettere insieme pezzetti d'Italia e uomini
annessi, secondo propaganda di regime mentre il terzo libro - di cucina
- è chiaramente anti-risorgimentale perchè sancisce ulteriormente
l'impossibilità dell'Italia Unita, a causa delle enormi differenze
storiche e di tradizioni delle varie regioni; questo libro è l'"ARTUSI",
libro di cucina celeberrimo che divinizza le differenze in ambito gastronomico
di ogni popolo sul suolo italico e, si sa, il cibo è cultura! L'ARTUSI
resta quindi il più grande avversario politico, insieme a Pio IX,
delle teorie unitarie savoiarde e dei suoi deus ex machina. L'ARTUSI celebra
e sancisce la verità primordiale e lo fa con colore, con poesia...soprattutto,
con "gusto".
Considerata quindi l'occupazione, la distruzione, l'emigrazione, il nobile
vede privarsi anche del Suolo. I grandi possedimenti, atti a sostenere
l'economia nazionale, si riducono, nei casi migliori, a piccoli feudi,
a fazzoletti di terra. Potremmo qui dire che "chi di spada ferisce
di spada perisce", rammentando la Congiura dei Baroni quindi la politica
dei Massari dei Feudi contro casa Borbone che intendeva garantire i contadini
con l'emissione di leggi demaniali e agrarie innovative e lungimiranti
che tanto disturbo arrecarono alle baronìe locali precostituite.
(vedi Leggi su I Demani e gli Usi Civici).
Si sa, il nostro nemico fu il Savoia, fu la Massoneria, i Giacobini, il
Protestantesimo...Garibaldi...Cavour e Cialdini ma tanta responsabilità
va suddivisa equamente tra i nobili meridionali che per primi tradirono
il loro Re e la loro Patria. Il Sangue ed il Suolo!
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III Parte
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Carlo I duca di Parma, figlio di Filippo V Re di Spagna e di Elisabetta
Farnese, fu il peggior Duca che Parma potesse mai avere ma fu il più
grande Re di Napoli ed il più illuminato tra i Sovrani di Spagna.
Ancora oggi, i parmensi obiettano circa il trafugamento delle opere d'arte
della Collezione Farnese, per mano di questo Duca che si portò
a Napoli, nel 1734, quando venne a prenderne il Trono, mobili, suppellettili
e persino i marmi delle scale di Palazzo Ducale nonchè l'ordine
cavalleresco, perchè, giustamente, ne era unico proprietario.
In realtà, nell'intento di Carlo I di Parma (VII di Napoli..o,
emplicemente, Carlo di Borbone) il nobile intendimento era che questo
ben di Dio rimanesse comunque in Famiglia e non finisse nelle mani degli
Austriaci. Ma questo, gli amici parmensi non vogliono intenderlo e si
reputano a tutt'oggi defraudati dai "napolitani", tantochè
nelle dispute cameratesche e ridanciane tra emiliani e napolitani seduti
allo stesso generoso ed ospitale desco, qualche napolitano è ben
riuscito a capovolgere i luoghi comuni sulla napoletanità, ribadendo
che la qualifica di "mariòlo" i meridionali l'hanno ereditata
da un nordico parmense, che a loro fu d'esempio.
Carlo fu molto amato dai napoletani e molto amò Napoli. A malincuore
lasciò la "sua" città, per andare a prendere il
Trono di Spagna ed anche da lì, non smise mai di regnare idealmente
sui napoletani, preoccupandosi di tenere sempre il filo diretto con suo
figlio Ferdinando, suo erede (quello che passò alla storia soltanto
come "lazzarone") consigliandolo saggiamente circa gli adempimenti
cui tener fede, per non deludere mai i suoi tanto amati sudditi.
Carlo divenne un perfetto napolitano e, da Lui, tutta la genìa
dei Re Borbone fu pienamente, esclusivamente, NAPOLITANA (pur se non si
può asserire che i Borbone fossero "di razza" napoletana).
Ciò, vale a dire che ribaltando le teorie pan-germaniche sull'assolutismo
dinastico e la rigidità della istituzione monarchica, il Sangue
del Graal ed il Suolo si mescolano ed il Sangue del Popolo finisce con
il fornire l'identità al Suolo eppoi allo stesso Sovrano.
Qui, il Sovrano, non è il padreterno, l'essere intoccabile, innominabile,
puro e senza macchia, assiso su di un trono collocato al di sopra dell'ottica
comune; con i Borbone, il Sovrano incarna le qualità e le peculiarità
del suo popolo, rappresentandolo.
In pratica, a questo punto dell'excursus su Sangue e Suolo, con i Borbone
assistiamo al fenomeno della "circolarizzazione" della Monarchia,
in sprezzo della "verticalizzazione" dall'alto verso il basso
del senso della Regalità pan-germanica.
Il termine "circolarizzazione" è, in verità, brutto
ma serve a rendere schematicamente comprensibile l'abbraccio a tutto tondo
e la fusione perfetta in sinergia assoluta delle forze monarchia-suolo-sudditi,
in rapporto d'interscambio assoluto fra loro.
I Re Borbone parlavano un pò di francese, come era buon uso, allora,
presso tutte le corti, ma si esprimevano in ogni manifestazione e moto
dell'anima o del governo, in lingua napoletana.
E la lingua è l'identità di un popolo.
Attraverso i suoni, i toni...la "parlata" stretta o larga, dura
o morbida, composta da suoni musicali o da grugniti, si identificano le
caratteristiche peculiari di un popolo.
Il napoletano, dalla "parlata larga", si rivela simpatico e
di buon carattere, come l'emiliano; il piemontese e il lombardo hanno
toni più cupi, studiati, cadenzati; un pò troppo affettato
il primo, un pò più "pieno" , il secondo.....pensate,
ad esempio, alla fonetica della lingua tedesca: i tedeschi SONO effettivamente
LA LINGUA CHE PARLANO.
Perchè una lingua "SI E'", non "si parla"!
E la lingua è il primo carattere identificativo dei Re Borbone,
perfettamente radicati sul Suolo, in totale complicità con i Sudditi.
Sembrerebbe quasi che sia stato il popolo, il suolo, la NAZIONE INTERA
a partorire i propri Re.
Altro elemento singolare e non trascurabile è che le vivande servite
alla tavola dei Sovrani, erano le medesime che imbandivano il desco delle
famiglie abbienti e non abbienti del Regno. Le medesime pietanze. Tanto
è vero che, qualche anno fa, il famoso cantautore Lucio Dalla,
trovandosi a Napoli nei giorni delle festività natalizie, piacevolmente
stupito affermò in un'intervista ad un giornale che Napoli è
l'unica città dove sulle tavole imbandite di poveri e ricchi, il
Natale si celebra con le medesime pietanze, in quantità e qualità,
in onore proprio al dettato evangelico ed al senso di grande democrazia,
innato nei napolitani.
Partendo da due elementi, la lingua e il cibo, che parrebbero essere "dettagli",
agli occhi di qualsiasi imbonitore politico ma che, all'analisi attenta
di un sociologo o anche di un "antropologo" risultano essere
gli elementi primari con i quali misurare il grado di civiltà di
una popolazione, si può asserire che il Regno di Napoli, prima
ed il Regno delle Due Sicilie, poi, toccarono vertici di civilizzazione
mai raggiunti, ancor oggi, in molti paesi (anche europei e non solo terzomondisti).
I nostri amati cinque re Borbone, regnarono in totale 126 anni, dal 1734
al 1860, regalando, ognuno, incessanti stimoli al progresso sociale, politico,
culturale, tecnologico, economico, istituzionale.
La dinastia risale a Roberto duca di Borbone, sesto figlio di San Luigi
re di Francia, morto nel 1270. Da San Luigi, discende il re di Navarra,
Enrico, che nel 1587 ascese al Trono Francese rimasto vacante dopo la
morte del cugino Enrico III di Valois.
Enrico di Navarra, nell'atto di conseguire il Trono francese, decise di
abbracciare la fede cattolica. E' sua la famosa frase "Parigi val
bene una Messa", che sottintendeva, appunto, la sua volontà
di conversione.
Dal ramo francese si dipartirono i rami di Spagna, con Filippo V (padre
del nostro Carlo), di Parma, con Filippo I e di Napoli, appunto, con Carlo.
Oggi, capo della Casa Borbone delle Due Sicilie è Ferdinando duca
di Castro e, suo erede, il figlio Carlo duca di Calabria, pur se i monarchici
di spirito dinastico, legittimisti, concordano sul pieno diritto al titolo
ed al Trono delle Due Sicilie , in rigorosa linea di discendenza, di don
Carlos di Spagna.
Il 6 ottobre 1759, il nostro primo sovrano di Borbone, lasciò Palazzo
Reale e si diresse verso il vascello "La Fenice". Il capitano
generale della flotta spagnola, Navarro, e gli uomini dell'equipaggio
accoglievano e salutavano così il nuovo Re di Spagna, il nostro
amatissimo Re Carlo di Borbone.
Dopo 25 anni lasciava Napoli e la lasciava ben diversa da come l'aveva
ereditata dal Vicereame Spagnolo. Sotto il suo regno, Napoli era cresciuta,
si era estesa lungo la baia ed arrampicata sulle colline di Posillipo,
S.Elmo, Portici e alle pendici del Vesuvio. Era ricca di palazzi, ville,
strade. Raggiungeva il mezzo milione di abitanti, più di Parigi
e Vienna e, con Londra e Pietroburgo, era divenuta una delle cinque capitali
d'Europa.
Enzo Poli, in un suo "ridotto" su i re Borbone, attesta che
Carlo non ha mai usato le tre famose "F" dei suoi predecessori
: la forca l'ha usata pochissimo, i festini li ha ridotti, la farina l'ha
sempre assicurata.
Carlo fa erigere il Teatro S.Carlo, amplia la Reggia di Napoli, costruisce
la residenze estive di Capodimonte, Portici e Procida e da inizio alla
costruzione della Reggia di Caserta.
L'inizio degli imponenti scavi archeologici di Pompei ed Ercolano sono
un suo vanto ed un suo intelligente "affaire" per attirare su
Napoli l'interesse di tutto il mondo.
Sul piano sociale, ridimensiona il potere del clero e dell'aristocrazia,
costringendoli a pagare le tasse, eppure stringe rapporto di ottima collaborazione
proprio con un prete, padre Gregorio Rocco, con cui s'inventa il sistema
di illuminazione per le vie cittadine, le famose "Madonnelle"
con i lumini a olio perennemente accesi in ogni vicolo e, soprattutto,
frutto di questa collaborazione è il Real "Albergo dei poveri"....
Lascia una Napoli prestigiosa e ricca, con le ceramiche di Capodimonte,
fabbriche di seta, di passamaneria, lini e cotoni.
Lascia a Napoli un bimbetto di otto anni, solo; suo figlio Ferdinando,
il futuro "re lazzarone" della menzognera storiografia ufficiale.
Ed anche a riguardo dei titoli poco nobiliari affibbiati ai nostri re
Borbone dal "nemico" di sempre, vana sarebbe ogni ulteriore
polemica : lo spirito sano della gente equilibrata e senziente non può
non rendersi conto dell'insano artifizio creato ad hoc per distruggere
l'immagine di una intera dinastia e di un intero Popolo. Parrà
strano ai più, infatti, che nei ranghi reali dei Savoia figurino
solo "re galantuomini", "re buoni", "re soldati";
mentre, tra le fila borboniche contiamo "re lazzaroni", "re
bomba" , "re pennaroli" e "re lasagna".............
Il nostro amato "lazzarone", Ferdinando IV di Borbone, si trova
ad essere re di Napoli a soli otto anni, comunque appoggiato da una schiera
di otto reggenti del Consiglio della Corona, nominati dal padre.
Il ragazzino, è autenticamente napoletano : intelligenza vivace,
amore per la vita all'aria aperta, dotato nella caccia, nella pesca e
nella meccanica e, soprattutto, molto curioso. Non disdegna affatto di
andare a pescare ed a rivendere il pesce con i pescatori di S.Lucia, i
luciani, dei quali conosce, uno per uno, il soprannome e con i quali ama
accompagnarsi nei momenti di svago. Avete notizia di qualche altro sovrano
così integrato presso il suo popolo?
Nonostante lo spirito da scugnizzo, nonostante l'opprimente matrimonio
con Maria Carolina Asburgo Lorena, per la quale governare significava
"dare ordini" e che mai apprezzò la ruspante vita di
corte partenopea nè tantomeno il marito che, a suo dire, parlava
in maniera "volgare" (solo perchè si esprimeva nella
lingua nazionale ed era praticamente inconsapevole circa i farraginosi
schemi dell'asfissiante protocollo asburgico); nonostante questi freni,
Ferdinando si dimostrò anch'egli un sovrano illuminato. Riordinò
l'Università, creando sei nuove cattedre, avviò parecchie
riforme e, unico sovrano di tutti i tempi, realizzò l'utopia socialista
della celebre comunità di San Leucio, che meriterebbe un capitolo
a parte. Possiamo solo aggiungere che, in tempi moderni, nessuno, neppure
certi famosi industriali del Nord che han voluto cimentarsi con un progetto
sociale simile, sono mai riusciti ad attuare la perfetta "isola felice"
che fu realtà sotto Ferdinando IV. Incredibile è pensare
che una comunità socialista abbia trovato ragione d'essere e stimolo,
proprio sotto il regno di un sovrano di una casa Reale definita "oscurantista"......
Ferdinando IV di Napoli eppoi I delle Due Sicilie mantenne il Trono per
circa sessant'anni ed in questo lungo periodo si misurò in tenzoni
difficilissime, quali la Repubblica Partenopea e il regno di Gioacchino
Murat.
Ci piace ricordare, tra le personalità che lo affiancarono per
circa quarant'anni della sua vita, il marchese Bernardo Tanucci, al quale
i napoletani ed i borbonici, ancor oggi, devono molto.
Francesco I, figlio di Ferdinando IV, succede a suo padre. E' completamente
all'opposto della personalità paterna, nel senso che ama la tranquillità,
gli studi, la vita di campagna rispetto a quella di città.
Regna per soli 5 anni, sotto il peso delle difficoltà della Restaurazione.
Ciononostante, incoraggia chi impiega capitali nell'industria, ridando
slancio all'economia del Regno, decaduta a causa degli ultimi avvenimenti
storico-politici.
Muore purtroppo ben presto e lascia suo erede il grande Ferdinando II.
Il nuovo sovrano, di carattere allegro, abbandona del tutto l'uso della
lingua francese e si esprimerà sempre e comunque in napoletano,
conquistandosi la simpatia e la fedeltà dei sudditi. In breve,
Ferdinando II, privilegia i rapporti con il popolo, controllando invece
ogni attività dei cortigiani, dei diplomatici e degli "intellettuali",
memore degli strascichi e degli sfasci operati dalla Repubblica Napoletana,
sotto il regno di suo nonno.
Ferdinando, può essere considerato a pieno titolo il "Padre
della Patria" e il Padre dei suoi sudditi. Sotto di lui, numerose
riforme, regalano modernità al Reame. Ricordiamo con piacere la
riforma delle Finanze, la politica industriale, il vanto della marineria
e della flotta navale, l'importanza che rivestì, sotto il suo regno,
l'industria meccanica e metalmeccanica, lo sviluppo delle linee ferroviarie,
delle industrie correlate e la razionale supervisione dello Stato.
Per poter meglio comprendere lo spirito cristiano che animava questo sovrano,
si consiglia la lettura degli ordinamenti, relativi al settore economato
degli ospedali militari, per comprendere con quali cure "paterne"
egli tenesse a cuore i suoi sudditi!
Non è affatto vero che usò la sferza, con i confinati sulle
isolette del Regno. Il famoso "untore" Gladstone, che solo dall'esterno
visionò un carcere borbonico, non ebbe modo di verificare con quale
e quanta umanità i "detenuti" vi fossero costretti e
delle possibilità che avevano di svolgervi comunque vita sociale...Se
Gladstone avesse messo più cura nel visitare i luoghi di costrizione,
pena e tortura, riservati da Sua Maestà Britannica agli indipendentisti
irlandesi...forse, la famosa lettera che dette avvio allo sfascio della
cattolicità europea e dei regni ad essa collegati, mediante le
premurose cure della massoneria inglese e del protestantesimo, non l'avrebbe
mai scritta.
Francesco II, ultimo re Borbone Due Sicilie, è stato presentato
sempre come una larva, un mollacchione, non a caso. E' stato infatti l'unica
persona fisica Reale con cui i Savojardi hanno dovuto misurarsi.
Poco dopo la morte del Padre, la tragedia si abbatte sul Regno ed è
una tragedia annunciata dal tradimento della borghesia del Regno, in combutta
con i famosi "liberali", "massoni". La fine del Regno
delle Due Sicilie è da reperire, infatti, in quella che potremmo
chiamare una GUERRA SANTA tra due opposte CHIESE; quella cattolica e quella
massonica; la prima, capitanata dalla Corona Inglese; la seconda, rappresentata
dallo Stato Pontificio e dagli Stati cattolici. Non a caso saranno spazzati
via, oltre al Regno delle Due Sicilie - che, secondo le parole di Ferdinando
II "confinava con l'acqua Santa e con l'acqua del Mare" - l'Austria
ed anche la Russia : i tre grandi stati cristiani d'Europa!
Francesco, fa quello che può per salvare il suo Regno ma il problema
è costituito dagli uomini che lo circondano e non è affatto
più imbecille di quel cugino re di Sardegna, quel Vittorio Emanuele,
attorniato invece e sostenuto da ben altre forze e uomini.
Francesco e Mariasofia, giovanissimi, si dimostrano eroici nella difesa
dell'ultima roccaforte del Regno, Gaeta "la fedelissima", e
la loro vicenda prende risalto su tutta la stampa europea, che finisce
con l'ammirare questa coppia regale che, di persona, a rischio della propria
incolumità, difende la Patria ed i Sudditi. E siccome scripta manent,
ci chiediamo come mai, a Regno caduto, la storia ci abbia presentato un
re ignavo, pigro e stolto, al posto dell'eroico ragazzo che è stato.
Il mattino del 6 settembre 1860, per sventare il pericolo di un bombardamento
su Napoli, Francesco e Mariasofia si ritirarono a Gaeta. Il re portò
con sè carri colmi di documenti, tralasciando ogni oggetto di valore.
Non andò neppure a ritirare dalla banca la sua fortuna personale,
ammontante a circa 11 milioni di ducati più 50 milioni di franchi
d'oro. Queste ingenti somme, oltre al vasellame d'oro, ai quadri ed alle
altre ricchezze, furono incamerate dai piemontesi!
Di valore, Francesco II portò con sè solo un quadro di Raffaello
che regalò all'ambasciatore di Spagna, Bermudez de Castro, fedelissimo
collaboratore.
Mariasofia divenne il simbolo dell'assedio di Gaeta.
Cadde il Regno, furono costretti all'esilio i nostri amati sovrani ma...da
allora, da quel 13 febbraio del 1861, "Franceschiello" e Mariasofia,
vivono nei cuori e nel ricordo dei figli di tutti i meridionali autentici
ed il loro regno spirituale non avrà mai fine!
Avremmo potuto dire grandi cose sugli 800 anni del Nostro Regno indipendente.
Avremmo potuto parlare degli Aragonesi, degli Svevi, degli Angioini...degli
antichi Greci....Parliamo dei Borbone, perchè loro furono l'ultima
espressione della nostra grandezza, della nostra libertà, della
nostra indipendenza. ..Perchè, per quelle bandiere gigliate molti
dei nostri bisnonni combatterono e morirono...Perchè, quei morti,
attendono ancora di essere vendicati e, soprattutto, ricordati....Perchè,
a quei morti - sangue del nostro sangue - dobbiamo ridare un'identità,
restituire le loro speranze, integre e, soprattutto, dobbiamo restituirli
alla nostra storia!(vedi "La storia proibita" -ediz. CONTROCORRENTE
Napoli, marzo 2001 di AA.VV., tra i quali l'autrice del presente pamphlet)
Quindi, abbiamo trattato della Monarchia, partendo dal pan-germanesimo,
fino ad arrivare ai Borbone Due Sicilie, che restano unico esempio di
Monarchia di uomini integrata sul territorio: I Borbone Due Sicilie che
parlano la lingua nazionale, che si nutrono dei frutti locali, che sono
espressione stessa delle peculiarità di quel popolo e di quella
terra.
Purtuttavia, ripetiamo, i Borbone non sono "di razza" napoletana
ed a questo punto, anche per meglio chiarire le motivazioni che portarono
alla caduta del Regno, riportiamo una fiche tratta dall'ottimo romanzo
"L'eredità della Priora" del celebre meridionalista Carlo
Alianello, perchè, dopo aver detto ogni bene del Sangue e del Suolo
Meridionali, è anche opportuno conoscere e debellare l'unico grande
difetto dei meridionali generosi, eroici, sinceri, affabili, pacifici
ma, àhinoi, individualisti! E l'individualismo, ancor oggi, è
freno durissimo al nostro riscatto, come allora lo fu della nostra vittoria.
"....Allora disse don Totonno Spera che parlava piano piano, tomo
tomo :"Questo, signor generale è il vertice supremo, il motore,
l'essenza medesima dell'animo meridionale : l'invidia. La gente dice :
neh, perchè quello sì e io no? Fossi più fesso io?
Impossibile; neanche pensarlo...siccome l'invidia si sposa con la vanità.
E non pensano al lavoro, al sacrifizio, magari alla fortuna. Nossignore
: chiunque si alzi (da intendere, "si èlevi") li fa fessi
e quindi deve essere abbassato. Ferdinando II, che era Re, quando per
via del progresso l'hanno pensato come uomo, non semidio, uno dei loro,
come tutti quanti, essendo re, faceva fessi tutti. Quindi fu necessario
sbatterlo giù. Eppure lui...Quello s'era napolitanizzato 'o veramente.....Questo
re nuovo, Vittorio Emanuele, forestiero è, non è di casa
nostra, epperciò non se ne sentono offesi...ancora. Perchè
se il forestiero fatica e guadagna, non porta colpa. La mamma e la natura
l'hanno fatto per questo; è un faticatore nato, magari in veste
di re o di gran signore. Condannato al lavoro; chè se poi gli vada
bene o male sono affari suoi. Ma un napoletano fortunato è un oltraggio
patente, insopportabile. Epperciò Napoli non ha mai avuto un re
di razza napoletana".
Marina Salvadore
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