La quale istoria fu così.
Nell'anno 1445 dalla Fruttifera Incarnazione, regnando Alfonso d'Aragona,
una fanciulla a nome Catarinella Frezza, figlia di un mercatante di
panni, si innamorò di un nobile garzone, Stefano Mariconda. E
come è usanza d'amore, il garzone la ricambiò di grandissimo
affetto e di rado fu vista coppia d'amanti, egualmente innamorata, egualmente
fedele. E ciò non senza molto loro cordoglio, poiché per
la disparità delle nascite, che proibiva loro il nodo coniugale,
grande guerra ferveva in casa Mariconda contro Stefano - e Catarinella,
in casa sua, era con ogni sorta di tormenti dal padre e dai fratelli,
torturata. Ma per tanto e continuo dolore, che si può dire gli
amanti mangiassero veleno e bevessero lagrime, avevano ore di gioia
ineffabile. A tarda notte, quando nei chiassuoli dei Mercanti, non compariva
viandante veruno Stefano Mariconda, avvolto nell' oscuro mantello, che
mai sempre protesse ladri ed amanti, penetrava in un andito nero ed
angusto, saliva per una scala fangosa e dirupata, dove era facile il
pericolo della rottura del collo, riesciva sopra un tetto e di là
scavalcando, terrazzo per terrazzo, con una sveltezza ed una sicurezza
che amore rinforzava, arrivava sul terrazzino, dove lo aspettava, tremante
dalla paura, Catarinella Frezza. Lettor mio, se mai fremesti d'amore,
immagina quei momenti e non chiederne descrizione alla debole penna.
Ma in una notte profonda, quando più alle anime loro si schiudeva
la celestiale beatitudine del paradiso, mani traditrici afferrarono
Stefano alle spalle, e togliendogli ogni difesa, dalla ferriata lo precipitarono
nella via, mentre Catarinella gridando e torcendosi le braccia, s'aggrappava
ai panni degli assassini. Il bel corpo di Stefano Mariconda giacque,
orribilmente sfracellato, nella fetida via, per una notte ed un giorno:
fino a che lo raccolse di là la pietà dei parenti, dandogli
onorata sepoltura. Ma invero fu quella morte ignobilmente violenta:
e perché v'è dubbio sul destino di quell'anima, strappata
dalla terra e mandata jnnanzi all'Eterno carica di peccati, e perché
a gentiluomo non conviensi altra morte violenta che di spada.
La Catarinella fuggì di casa, pazza dal dolore, e fu piamente
ricoverata in un monastero di monachelle. In un giorno, quando ancora
il tempo assegnato dalla ragion divina e dalla ragion medica, non era
scorso, ella dette alla luce un bimbo piccino, piccino, pallido e dagli
occhi sgomentati. Per pietà di quel piccolo essere, le suore
lasciarono la madre nutrirlo e curarlo. Ma col tempo che passava, non
cresceva molto il bambino e la madre, cui rimaneva confitta nella mente
la bella ed aitante persona di Stefano Mariconda, se ne crucciava. Le
suore la consigliarono di votarsi alla Madonna, perché desse
una fiorente salute al bambino; ed ella votossi, e fece indossare al
bimbo un abito nero e bianco, da piccolo monaco. Ma ben altro aveva
disposto il Signore nella sua infinita saggezza e la Catarinella non
s'ebbe la grazia chiesta.
Il figliuoletto suo, crescendo negli anni, non crebbe che pochissimo
nel corpo e fu simile a quei graziosi nani di cui si allietano molte
corti di sovrani potenti. Sibbene, ella continuò a vestirlo da
piccolo monaco; onde è che la gente chiamava, in suo volgare,
il bambino: lu munacietlo. Le monache lo amavano, ma la gente della
via, ma i bottegai delle strade Armieri, Lanzieri, Cortellari, Taffettanari,
Mercanti, si mostravano a dito il bambino troppo piccolo, dalla testa
troppo grande e quasi mostruosa, dal volto terreo, in cui gli occhi
apparivano anche più grandi, anche più spaventati, dall'abituccio
strano: e talvolta lo ingiuriavano, come fa spesso la plebe, contro
persona debole ed inerme. Quando lu munacietlo passava innanzi la bottega
dei Frezza, zii e cugini uscivano sulla soglia e gli scagliavano le
imprecazioni più orribili. Non è dato a me indagare, quanto
comprendesse lu munacietlo degli sgarbi e delle disoneste parole che
gli venivano dirette, ma è certo che egli riedeva alla madre
pensoso e melanconico. A volte un lampo di collera gli balenava negli
occhi e allora la madre lo faceva inginocchiare e gli dettava le sante
parole dell'orazione. A poco a poco in quei bassi quartieri, dove egli
muoveva i passi, si divulgò la voce che lu munaciello avesse
in sé qualche cosa di magico, di sovrannaturale. Ad incontrarlo,
la gente si segnava e mormorava parole di scongiuro. Quando lu munaciello
portava il cappuccetto rosso che la madre gli aveva tagliato in un pezzetto
di lana porpora, allora era buon augurio; ma quando il cappuccetto era
nero, allora cattivo augurio. Ma come il cappuccetto rosso compariva
molto raramente, lu munacidello era bestemmiato e maledetto.
Era lui che attirava l'aria mefitica nei quartieri bassi, che vi portava
la febbre e la malsania; lui che, guardando nei pozzi, guastava e faceva
imputridire l'acqua; lui che, toccando i cani, li faceva arrabbiare,
lui che portava la mala fortuna nei negozi ed il caro del pane; lui
che, spirito maligno, suggeriva al re nuovi balzelli. Appena lu munaciello
scantonava, a capo basso, con l'occhio diffidente e pauroso, correndo,
o nascondendosi fra la folla, un coro di maledizioni lo colpiva. Il
fango della via, che gli scagliavano veniva a insudiciargli la tonacella;
le bucce delle frutta troppo mature lo ferivano nel volto. Egli fuggiva,
senza parlare, arrotando i denti, tormentato più dall'impotenza
della picciola persona, che dal villano insulto di quella borghesia.
Catarinella Frezza era morta; non lo poteva consolar più. Le
monache lo impiegavano ai minuti servizi dell'orto; ma, anche esse,
a vederlo d'improvviso, in un corridoio, nella penombra, si sgomentavano.
come per apparizione diabolica. S'avvalorava il detto dalla faccia cupa
del munaciello, dal non averlo mai visto in chiesa, dal trovarlo in
tutti i luoghi, a poca distanza di tempo. Finché una sera, lu
munaciello scomparve. Non mancò chi disse, che il diavolo lo
avesse portato via pei capelli, come è solito per ogni anima
a lui venduta. Ma per fede onesta di cronista, mi è d'uopo aggiungere
che furono molto sospettati. e forse non a torto, i Frezza d'aver malamente
strangolato lu munaciello e gittatolo in una cloaca li presso, da certe
ossa piccine e da un teschio grande, che vi fu ritrovato. Il discernere
le cose vere dalle false, e lo speculare quale sia favola, quale verità,
lascio e raccomando specialmente alla prudenza e saggezza del lettore.
Questa qui è la cronaca. Ma nulla è finito - soggiungo
io, oscuro commentatore moderno - con la morte del munaciello. Anzi,
tutto è cominciato. La borghesia che vive nelle strade strette
e buie o malinconicamente larghe e senza orizzonte, che ignora l'alba,
che ignora il tramonto, che ignora il mare, che non sa nulla del cielo,
nulla della poesia, nulla dell'arte; questa borghesia che non conosce
che sé stessa, quadrata, piatta, scialba, grassa, pesante, gonfia
di vanità, gonfia di nullagine; questa borghesia che non ha,
non puo avere, non avrà mai il dono celeste della fantasia, ha
il suo folletto. Non è lo gnomo che danza sull'erba molle dei
prati, non è lo spiritello che canta sulla riva del fiume; è
il maligno folletto delle vecchie case di Napoli, è lu munaciello.
Non abita i quartieri aristocratici di Chiaia, di S.Ferdinando, del
Chiatamone, di Toledo, non abita i quartieri nuovi di Mergellina, del
rione Amedeo, di via SaIvator Rosa, di Capodimonte: la parte ariosa,
luminosa e linda della città, non gli appartiene. Ma per i vicoli
che da Toledo portano giù, per le tetre vie dei Tribunali e della
Sapienza, per la triste strada di Foria, per i quartieri cupi e bassi
di Vicaria, di Mercato, di Porto e di Pendino, il folletto borghese
estende l'incontrastato suo regno.
Dove è stato vivo, s'aggira come spirito; dove è apparso
il suo corpo piccino, la testa grossa, la faccia pallida, i grandi occhi
lucenti, la tonacella nera, la pazienza di lana bianca ed il cappuccetto
nero, lì ricompare, nella medesima parvenza, pel terrore delle
donne, dei fanciulli e degli uomini. Dove lo hanno fatto soffrire, anima
sconosciuta e forse grande in un corpo rattrappito, debole e malaticcio,
là egli ritorna, spirito malizioso e maligno, nel desiderio di
una lunga ed insaziabile vendetta. Egli si vendica epicamente, tormentando
coloro che lo hanno tormentato. Chiedete ad un vecchio, ad una fanciulla,
ad una madre, ad un uomo, ad un bambino, se veramente questo munaciello
esiste e scorazza per le case e vi faranno un brutto volto, come lo
farebbero a chi offende la fede. Se volete udirne delle storie, ne udrete;
se volete averne dei documenti autentici, ne avrete. Di tutto è
capace il munaciello...
Quando la buona massaia trova la porta della dispensa spalancata, la
vescica dello strutto sfondata, il vaso dell'olio riverso e il prosciutto
addentato dal gatto, è senza dubbio la malizia del munaciello,
che ha schiusa quella porta e cagionato il disastro. Quando alla serva
sbadata cade di mano il vassoio ed i bicchieri vanno in mille pezzi,
colui che l'ha fatta incespicare, è proprio lui, lo spiritello
impertinente; è lui che urta il gomito della fanciulla borghese,
che lavora all'uncinetto e le fa pungere il dito; è lui che fa
traboccare il brodo dalla pentola ed il caffè dalla cogoma; è
lui che fa inacidire il vino nelle bottiglie; è lui che dà
la iettatura alle galline, che ammiseriscono e muoiono; è lui
che spianta il prezzemolo, fa ingiallire la maggiorana e rosicchia le
radici del basilico. Se la vendita in bottega va male, se il superiore
all'uffizio fa una rimenata, se un matrimonio stabilito si disfa, se
uno zio ricco muore, lasciando alla parrocchia, se al lotto vien fuori
34, 62, 87 invece di 35, 61, 88 è la mano diabolica del folletto,
che ha preparato queste sventure grandi e piccole.
Quando il bambino grida, piange, non vuole andare a scuola, scalpita,
corre, salta sui mobili, rompe i vetri e si graffia le ginocchia, è
il munaciello che gli mette i diavoli in corpo; quando la fanciulla
diventa pallida e rossa senza ragione, s'immalinconisce, sorride guardando
le stelle, sospira guardando la luna, e piange nelle tranquille notti
di autunno, è il munaciello che le guasta così la vita;
quando il giovanotto compra cravatte irresistibili, mette il profumo
nel fazzoletto, e si fa arricciare i capelli, rincasa a tarda notte,
col volto pallido e stanco, gli occhi pieni di visioni, l'aspetto trasognato,
è il munaciello che turba la sua esistenza; quando la moglie
fedele si ferma, a guardar troppo il profilo aquilino ed i mustacchi
biondi del primo commesso di suo marito e nelle fredde notti invernali,
veglia, con gli occhi aperti nel vuoto e le labbra che invano tentano
mormorare la salvatrice Avemmaria, è il munaciello che la tenta,
è il diavolo che ha preso la forma del munaciello; è il
diavoletto che dà al marito il vago desiderio di dare un pizzicotto
alla serva MariaFrancesca; è il folletto che fa cadere in convulsioni
le zitellone isteriche. È il munaciello che scombussola la casa,
disordina i mobili, turba i cuori, scompiglia le menti, empiendole di
paura. E lui, lo spirito tormentato e tormentatore, che porta il tumulto
nella sua tonacella nera, la rovina nel suo cappuccetto nero.
Ma la cronaca vendica lo dice, o buon lettore: quando il munaciello
portava il cappuccetto rosso, la sua venuta era di buon augurio. È
per questa sua strana mescolanza di bene e di male, di cattiveria e
di bontà, che il munaciello è rispettato, temuto ed amato.
È per questo che le fanciulle innamorate si mettono sotto la
sua protezione, perché non venga scoperto il gentile segreto;
è per questo che le zitellone lo invocano a mezzanotte, fuori
il balcone, per nove giorni, perché mandi loro il marito, che
si fa tanto aspettare; è per questo che il disperato giuocatore
di lotto gli fa lo scongiuro tre volte, per averne i numeri sicuri;
è per questo che i bambini gli parlano, dicendogli di portar
loro i dolci ed i balocchi che desiderano. La casa dove il munaciello
è apparso, è guardata con diffidenza, ma non senza soddisfazione;
la persona che, allucinata, ha visto il folletto, è guardata
compassionevolmente, ma non senza invidia. Ma colei che lo ha visto
- apparisce, per lo più, a fanciulle ed a bimbi - tiene per sé
il prezioso segreto, forse apportatore di fortuna. Infine il folletto
della leggenda, rassomiglia al munaciello della cronaca napoletana:
è, vale a dire, un'anima ignota, grande e sofferente in un corpo
bizzarramente piccolo, in un abito stramente simbolico; un'anima umana,
dolente e rabbiosa; un'anima che ha pianto e fa piangere; che ha sorriso
e fa sorridere; un bimbo che gli uomini hanno torturato ed ucciso come
un uomo; un folletto che tormenta gli uomini come un bambino capriccioso,
e li carezza, e li consola, come un bambino ingenuo ed innocente.
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