Un capitolo a parte nella storia dell'industria tessile meritano le seterie di San Leucio, l'utopia realizzata' da Ferdinando IV
"Rivolsi dunque altrove le mie mire e pensai di ridurre quella Popolazione, che sempre più aumenta, utile allo Stato, alle famiglie e ad ogni individuo di esse in particolare [...] Utile allo Stato introducendo una manifattura di sete grezze e lavorate di diverse specie [...] procurando di ridurla alla migliore perfezione possibile e tale da poter servire di modello ad altre più grandi. Utile alle famiglie alleviandole de' pesi che ora soffrono e portandole ad uno stato da potersi mantener con agio [...] togliendosi loro ogni motivo di lusso con l'uguaglianza e semplicità di vestire; e dandosi a' loro figli fin dalla fanciullezza mezzo da lucrar col travaglio per essi e per tutta la famiglia, del pane da potersi mantenere con
comodo e polizia". Sono le parole usate da Ferdinando IV di Borbone nel 1789 per introdurre le regole della "manifattura e colonia di San Leucio, luogo ameno e separato dal rumore della Corte.L'industria tessile era certamente tra quelle più sviluppate in tutto il Regno. La lavorazione domestica di lane e cotoni si era già diffusa durante il periodo medievale.
Nell'Ottocento, grazie al protezionismo dognanale e soprattutto presso la Valle dell'Irno e del Liri si verificò un graduale passaggio dal lavoro a domicilio a quello svolto in vere e proprie fabbriche.
Dalla Calabria agli Abruzzi era altissimo il numero di coloro che lavoravano nel settore tessile in strutture molto varie per tecniche o tipi di produzione. Si segnalavano il lanificio Sava presso Porta Capuana a Napoli (che forniva pantaloni all'esercito napoletano e a quello francese), il cotonificio Egg a Piedimonte Matese (fino a 2400 operai), la Società Partenopea, altri cotonifici presso Salerno, Pellezzano, Angri, Scafati e nel Molise, i linifici e i canapifici presso Sarno, "le sete, i nastri e i manufatti in genere" del Real Canvitto del Caminello e dell'Albergo dei Poveri di Napoli, del Real Ospizio Francesco I a Giovinazzo, del Reale Istituto delle Gerolamine a Potenza o dell'Orfanatrofio di Santa Filomena a Lecce, strutture dove migliaia di persone venivano assistite e anche formate e avviate in maniera produttiva al lavoro. In Puglia lane e sete venivano lavorate soprattutto nella zone di Lecce; a Taranto erano circa 400 i telai per manifattura delle felpe e a Bari si segnalava la fabbrica di Zublin & C..
Una relazione della Società Economica di Calabria Ultra da Catanzaro informava che "quasi in ogni comune della provincia si facevano tessuti di lino non in appositi opifici ma bensì da donne del popolo nelle rispettive abitazioni ove pressocchè ciascuna famiglia ha il suo telaio e quelle che fanno il mestiere di tessitrici ne hanno fino a quattro". Si producevano, tra l'altro, "tele, fazzoletti, coperte, tovaglie o biancheria da tavola".
 
Lo statuto di San Leucio regolava internamente la vita sociale degli operai che vivevano secondo leggi che ancora oggi sarebbero considerate moderne: scuole, chiesa, organi di governo, elezioni. selezione degli artisti "esteri", fidanzamenti, matrimoni e norme morali uniche per una "società coniugale dove capo è l'uomo ma ogni marito non doveva tiranneggiare mai la propria moglie ne esserle ingiusto".
A San Leucio veniva realizzato tutto il processo produttivo legato alla seta, dall'allevamento del baco ai tessuti per abbigliamento e arredamento (damaschi, rasi, velluti, broccati a righe, nastri a festoni) grazie a 114 bacinelle a vapore, 9 filatoi, una tintoria con 3 caldaie, 150 telai in opera, 130 jper le sete, 80 per i cotoni e circa 600 lavoranti (fino al 1860).