Questa, di" marinella"
è la storia vera. E' la storia vera di cento "marinella"
abusate.
Nata sul mare in odor di libeccio, si pasceva
inconsapevole di cotanta fortuna di natali, sdraiata pigramente sulla
marina, scrutando le meraviglie all'orizzonte. Di tanto, un orecchio teso
al clamore pittoresco della città che respirava autonomamente alle
sue spalle. Completamente da ella ignorata.
Albe e tramonti conditi di salmastro, goduti ai piedi di messer Vesèvo,
nume tutelare della sua identità focosa, passionale ma idealista.
Fu proprio per amore che, seguendo un principe azzurro in esilio, si ritrovò
lassù al nord, in una pianura, lontana dal mare e dalle spiagge
senza
neppure di contorno l'ombra di un declivio che somigliasse al profilo
di un ridotto messer Vesèvo.
Sognava di tornare, un giorno, con il suo principe alla sua marina. Sarebbe
stato un giorno trionfale
Sognò per lunghi anni di lunghe
notti lo stesso sogno
fin quando il suo principe morì in terra
straniera, là nella palude, dove non v'è il mare; dove non
v'è il cielo del colore del suo manto regale
Passarono altri lunghi anni, asfittici, fatti di lunghe notti senza più
sogni ne' desideri. La marina era sempre lì ad attenderla ed anche
messer Vesèvo
e il silenzio dell'oblio riusciva persino a
coprire, certi giorni, il clamore della città "alle spalle"
che continuava imperterrita ad espandersi di uomini e case sulle colline
circostanti.
Poi, un giorno, un flebile segnale napoletano, come note sparse di un
canto antico che ella cantava da bambina, le giunse all'orecchio lungo
il cavo di un moderno apparecchio rice-trasmittente, al quale viveva attaccata
da qualche tempo - come ad una flebo - per riuscire a sopravvivere alla
"pucundria".
La voce era suadente, il verbo colorato e colorito. Tanto bastò
a riportarla ai sogni sognati d'ogni notte di quel lungo tempo della sua
vita sospesa. Cessò l'oblio, il silenzio. Si accese una speranza,
insieme con un raro sorriso. Quella voce dall'accento familiare fu un
vero e proprio richiamo del più esperto dei cacciatori di frodo.
D'azzurro non aveva il mantello ma lo sguardo e "marinella"
tralasciò l'avvertimento paterno circa la falsità degli
occhi azzurri, delle sopracciglia "a lupo"
di altri particolari
della fisionomica, saggia scienza cara al padre
una commistione d'intuito
e cabala, d'antica tradizione; non certo quella teoria razzista cara al
Lombroso!
Intanto, al nord, lei aveva ripreso a sognare la marina, l'acqua salata
a lambirle i piedi, messer Vesèvo messo di quinta nella cartolina
del suo ricordo.
Il richiamo si fece insistente, erotizzante: nelle notti in pianura le
arrivava alle nari il salmastro e il profumo dell'alga sfinita, sempre
più intenso. Difficile resistere. Difficile da far capire ai nordici
di palude. Osservando il cielo bigio sulla piana, le nuvole - immagini
ipnagogiche - prendevano la forma di velieri, di sirene, di capodogli,
e cambiavano il profilo in Capo Miseno, Procida, Capri, Nisida
come
in un caleidoscopio. Difficile resistere alla rinnovata malia del golfo
di Partenope.
La "marinella" era ancora tanto bella
ed ingenua come
una ragazzina. Non v'era malizia in lei, ma sana selvaticità, felice
istinto, vigore che corrispondeva ad energia pulita. Aveva soprattutto
dignità e generosità, accresciutesi nel dolore e simili
ad una speranza universale di bene, scevra da inganni e da artifizi di
sbuffi barocchi e roccocò. Le linee pulite di una cattedrale gotica
erano le strade della sua coscienza.
Si tuffò, un giorno. Al suggestivo richiamo di accorate promesse
d'azzurro e salmastro, di albe e tramonti, si rituffò nel suo passato,
laggiù in fondo
dove amore si scrive e si pronuncia col rafforzativo
bugiardo di due "emme", AMMORE! Senza rete ne'salvagente. Munita
solo del suo paia di fragili ali da libellula. Si tuffò.
Occhi Azzurri, il bardo, viveva nella casba della città ch'ella
non conosceva e che ricordava di avere avuto sempre alle spalle. Egli
viveva - e gli piaceva
oh quanto gli piaceva - nell'assordante clamore
del folklore passionale locale, tipico di un'epica vajasseide, nel cui
teatro era attore protagonista; narcisista e bugiardo
proprio come
un attore.
Suscitò scalpore, nella sua casba personale, l'arrivo della "marinella"
d'importazione, oggetto di invidie, gelosie, pettegolezzi inverecondi,
vessazioni
che rendevano lui più "popolare" nel
pollaio di vajasseide; lei, sempre più sola
e sempre più
sensibile al fascino del mare aperto.
Occhi Azzurri l'amava a modo suo, convinto che solo il POSSESSO testimoni
apprezzamento e attaccamento ad un essere umano; lei chiedeva AMORE
con
una sola "emme"
chiedeva d'essere portata alla marina,
foss'anche di notte, per farsi lambire i piedi dall'acqua, per
ripristinare
il "contatto" con la sua natura. Chiedeva di poter vedere una
luna piena a cielo aperto, in asse con l'orizzonte, e non sempre dal balconcino
di una casa della casba, inseguita dolorosamente con gli occhi tra i tetti,
le antenne, le insegne pubblicitarie ed i bucati stesi ad asciugare tra
un maestrale ed uno scirocco. Chiedeva di poter entrare, ancora una volta,
in una cartolina col messer Vesèvo messo di quinta al panorama
che aveva amato e
TANTO.
Era ritornata a Megaride, la "marinella", ma non era riuscita
neppure a sfiorarla con un dito
ne'con la coda dell'occhio. Mai!
Non se n'era accorta, presa com'era dalla forza accecante della sua natura
sensibile, d'essere finita reclusa in una palla di vetro
di quelle
che, capovolgendole, fanno pure la nevicata di brillantini, per la gioia
dei piccini e degli amanti egoisti.
Una palla di vetro contenente uno scoglio, un cielo stellato, un delfino
guizzante ed il mare dipinto sul fondo. Al centro, seduta sullo scoglio,
lei
sempre più grigia ed asfittica, nonostante i luccichini
d'oro della nevicata
Lei, il "premio" Rarità, inutile trofeo incastonato in
un sacello di vetro, in una collezione di palle di vetro posta sul comodino
da letto di una camera di una casa della casba nella città che
non conosceva e che l'era cresciuta, vorace e cattiva, alle spalle!
Marina Salvadore (A.D.2006 -
06)
In memoria della perduta amica Marinella B.
che prima di andarsene scrisse su un biglietto del tram
"porto con me solo la musica, il mare e gli occhi buoni d'un cane".
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