BRUNO
CONTRADA
ESPOSTO-DENUNZIA
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA
DI CALTANISSETTA
TESTO 2007
Al Signor Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale
di CALTANISSETTA
Io sottoscritto CONTRADA BRUNO, nato a Napoli il 02 settembre 1931, domiciliato
a Palermo in Via Angelo Maiorana n.4 dirigente generale della P.S. ar.,
espongo e denunzio
quanto segue:
Alcuni giorni dopo la strage di Via D'Amelio del 19.7.1992, in cui persero
la vita il Giudice Paolo Borsellino e cinque Agenti della P.S. il Maggiore
dei Carabinieri Umberto Sinico, allora capitano in servizio alla Sezione
Anticrimine del Comando Prov. CC di Palermo, riferì al Dott. Antonino
Ingroia, Sostituto Procuratore della Repubblica di Palermo, che era stata
notata, rilevata e accertata la mia presenza sul luogo della strage qualche
attimo dopo la deflagrazione.
In particolare - come dichiarato dallo stesso ufficiale - riferì
al magistrato:
- che la "Volante" della Polizia, giunta per prima sul luogo
dell'attentato, subito dopo l'esplosione, aveva ivi rilevata la mia presenza
e, quindi, mi aveva identificato e generalizzato, redigendo in proposito
una relazione di servizio;
- che tale fatto lo aveva riferito al dott. Ingroia circa quindici giorni
dopo la strage e non appena ne era venuto a conoscenza;
- che la notizia gli era stata data da persona a lui "ben nota",
sulla cui "attendibilità non aveva alcun dubbio"; persona,
però, che non aveva avuto cognizione diretta e personale del fatto,
ma che, a sua volta, l'aveva appresa da un altro;
- che tale notizia, oltre che al dott. Ingroia, l'aveva riferita ad altri
Ufficiali dell'Arma in servizio a Palermo, e cioè al cap. Del Sole,
al cap. Adinolfi, al ten. Jerfone a al mar.llo Canale;
- che non poteva rivelare l'identità della persona che gli aveva
rivelato il fatto per un preciso ed inderogabile impegno preso con la
stessa;
- che il motivo per cui tale sua fonte lo aveva legato al segreto sulla
propria identità era dovuto al fatto che temeva fortemente per
l'incolumità dell'altra persona da cui derivava la notizia.
Quanto sopra ha formato oggetto delle dichiarazioni rese dal magg. Sinico
ai Magistrati della Procura di Caltanissetta, dott. Cardella e dott.a
Boccassini, in data 11.2.1992 (v. alleg. n.1).
E' evidente, infatti, che il dott. Ingroia della Procura di Palermo, aveva
ritenuto di informare del fatto i Magistrati di Caltanissetta, titolari
dell'inchiesta sulla strage.
Il successivo 20 dicembre 1992, il magg. Sinico fu nuovamente interrogato
dai Sostituti Procuratori dott. Cardella e dott.a Boccassini e, nella
occasione, dichiarò:
- che colui che gli aveva riferito la notizia era "un suo caro amico",
"un soggetto attendibile", "fidato" e "di indiscutibile
moralità", e che dello stesso non poteva e voleva ancora rivelare
l'identità;
- che a tale suo amico, in occasione di un incontro avvenuto circa 15
giorni dopo la strage, lui stesso, magg. Sinico, aveva narrato due fatti
accaduti subito dopo la strage: il primo consistente nella confidenza
ricevuta dal dott. Ingroia o dal mar.llo Canale, secondo cui il dott.
Borsellino, poco dopo l'interrogatorio reso dal pentito Mutolo Gaspare
che aveva fatto propalazioni su di me e sul Giudice Signorino, e quindi
poco prima della sua morte, si era con me incontrato a Roma; il secondo,
consistente nel fatto che il dott. De Francisci, Sost. Proc. Rep. di Palermo,
gli aveva detto, in un momento di sfogo e con le lacrime agli occhi, che
"fino a quando ci sarebbero state in giro persone come Contrada,
episodi come quelli di Borsellino si sarebbero ripetuti". A quest'ultimo
fatto erano presenti i capitani dei Carabinieri Adinolfi e Del Sole;
- che il suo amico, dopo essere stato messo a conoscenza di questi due
episodi (incontro Contrada-Borsellino e sfogo di De Francisci), gli rivelò
la circostanza della mia presenza sul luogo della strage.
Quanto sopra ha formato oggetto delle dichiarazioni rese dal magg. Sinico
ai PP.MM. di Caltanissetta, in data 20 dicembre 1992 (v. all. n.2).
Nello stesso periodo di tempo, cioè tra novembre e dicembre 1992,
il mar.llo dei CC Carmelo Canale - che aveva prestato servizio alla Squadra
di P.G. presso la Procura della Repubblica di Marsala negli anni in cui
quell'ufficio giudiziario era retto dal dott. Paolo Borsellino - dichiarò
ai Magistrati della Procura di Caltanissetta (dott. Cardella e dott.a
Boccassini) quanto segue:
- verso le ore 17/17,30 di venerdì 17 luglio 1992 (due giorni prima
della strage), mentre si trovava negli uffici della Sezione Anticrimine
CC di Palermo, ricevette una telefonata dal dott. Borsellino, tramite
cellulare;
- il dott. Borsellino iniziò la telefonata accennando alle dichiarazioni
del pentito Gaspare Mutolo e allora, lui (Canale) lo pregò di richiamarlo
via filo;
- nel corso della telefonata, il dott. Borsellino gli riferì che
quella mattina (17.07.92) o il giorno precedente, il pentito Mutolo aveva
fatto propalazioni accusatorie sul Giudice Signorino e sul dott. Contrada;
- il dott. Borsellino, sempre nel corso di tale telefonata, aggiunse "che
si era incontrato con Bruno Contrada", al che lui (Canale) gli disse:
"ma che è pazzo!?", e allora il giudice tagliò
corto, che poi gli avrebbe raccontato tutto;
- gli disse, ancora, che si era incontrato con il Capo della Polizia,
Parisi.
Nel corso dello stesso interrogatorio il m.llo Canale riferì anche
altre cose riguardanti la mia persona:
A) che un giorno aveva accompagnato il dott. Borsellino a far visita al
dott. Falcone, al Ministero di Grazia e Giustizia, e che, entrato nella
stanza ove i due Magistrati si trovavano, aveva udito il dott. Falcone
dire al suo collega che "era sicuro che dell'attentato all'Addaura
era responsabile il dott. Bruno Contrada e che, se ce l'avesse fatta a
diventare Procuratore Nazionale, gli avrebbe messo i ferri (sic!)".
Che di questo fatto non ne aveva parlato con nessuno sino alla morte del
dott. Borsellino, e che solo dopo la strage lo aveva riferito al dott.
Ingroia, Sost. Proc. Rep., e agli Ufficiali dei CC, Sinico, Del Sole e
Adinolfi;
B) che un giorno imprecisato del 1992 aveva accompagnato il dott Borsellino
dal Prefetto Finocchiaro, allora Alto Commissario e che, dopo il colloquio
tra i due, il dott. Borsellino gli aveva confidato che "il Prefetto
gli aveva manifestato il sospetto che Bruno Contrada potesse essere l'autore
dell'anonimo che era circolato dopo la more di Falcone", che tali
sospetti erano stati riferiti al Prefetto da un funzionario a nome De
Luca, e che il Prefetto, infine, aveva detto al dott. Borsellino che "l'ultimo
anonimo era stato affidato come indagini al dott. Contrada".
Le dichiarazioni di cui innanzi sono contenute nel verbale di assunzione
di informazioni del 26.11.1992, pagg. 11-14 (v. all. n.3).
Ritengo utile, per una migliore intelligenza dei fatti, unire lo scritto
anonimo (v. all. n.4).
Analoghe dichiarazioni farà, poi, al mio processo, all'udienza
del 27.9.1994 (v. allegg. nn.5 e 6).
Dichiarò, infatti, nel corso della testimonianza, che un giorno
aveva accompagnato il dott. Borsellino a far visita al dott. Falcone,
al Ministro di Grazia e Giustizia. Entrato nell'ufficio del dott. Falcone,
dopo che i due Magistrati erano riuniti da circa dieci minuti, vide e
sentì quanto segue: "C'er il dott. Falcone molto agitato,
come dicono a Palermo, aveva gli occhi di fuori. Parlava con Paolo Borsellino
e sentii pronunziare il dott. Falcone: "Caro Paolo, il responsabile
dell'attentato all'Addaura è il dott. Contrada" Cominciai
ad allontanarmi perché, sentita questa frase, vidi Borsellino bianco,
il dott. Falcone che era agitatissimo, perché poi continuò
mentre io mi stavo allontanando, dicendo che se ce l'avesse fatto a diventare
superprocuratore nazionale, gli avrebbe messo i ferri" (v. pag.24
verb. ud. 27.9.1994, all. n.5).
Per quanto riguarda l'altro episodio, dichiarò che nell'estate
1992 accompagnò il dott. Borsellino a far visita all'Alto Commissario
Prefetto Finocchiaro, nel suo ufficio a Roma, e che dopo il colloquio,
il dott. Borsellino gli riferì quanto segue: "E lui (Borsellino)
mi raccontò che il Prefetto Finocchiaro lo aveva noviziato che
sospettava del dott. Bruno Contrada che aveva, dunque era arrivato un
anonimo all'A.C
.Questo anonimo era stato non si sa, come diceva
il Prefetto Finocchiaro, era stato preso dal dott. Contrada e quindi rielaborato,
da lui (Contrada) inviato a tutti gli indirizzi, che c'erano diversi indirizzi
su questo anonimo e quindi, diceva sempre il Prefetto Finocchiaro, che
aveva l'incarico di svolgere gli accertamenti era proprio il dott. Contrada"
(v. pag.27 verb. ud. 27.9.1994, all. n.6).
Al termine dell'udienza, feci delle dichiarazioni spontanee in ordine
alla testimonianza del ten. Canale, con specifico riferimento ai miei
rapporti con il dott. Paolo Borsellino (v. all. n.7).
Di conseguenza, la stampa dette ampio risalto alle dichiarazioni rese
in sede di testimonianza dal ten. Canale con titoli ed articoli in cui,
ancora una volt, venivo additato quale autore o responsabile di stragi.
A titolo esemplificativo, se ne riportano alcuni:
GIORNALE DI SICILIA, 28 settembre 1994: "L'Ufficiale dei Carabinieri
in aula: " Nel gennaio '92 Falcone disse a Borsellino che il funzionario
del SISDE era il responsabile del fallito attentato alla sua casa dell'Addaura"
- Contrada, altro giorno di accuse - "Falcone lo sospettò
di un attentato".
la REPUBBLICA, 28 settembre 1994: " Il giudice lo disse a Borsellino"
- Al processo un carabiniere rivela: "Falcone accusò Contrada
per l'attentato all'Addaura" - Parla il tenente Carmelo Canale, l'ombra
di Borsellino. E svela il mistero del fallito attentato dell'Addaura.
"Contrada voleva uccidere Falcone" - Testimone accusa: "
Il Giudice sapeva"
LA STAMPA, 28 settembre 1994: Un ufficiale dei Carabinieri: "Il giudice
parlò di quel piano anche a Borsellino" - "Contrada tentò
di uccidere Falcone" - In aula nuove rivelazioni sull'ex questore.
LA SICILIA, 28 settembre 1994: " Contrada regista dell'Addaura"
- Falcone lo disse a Borsellino durante un incontro a Roma. E aggiunse:
"Se divento superprocuratore gli metto i ferri".
L'INFORMAZIONE, 28 settembre 1994: Contrada, autogol dell'Accusa sul fallito
attentato a Falcone.
E' facile immaginare quale impressione negativa determinassero sull'opinione
pubblica, che seguiva il processo con attenzione, siffatte accuse enunciate
dal Canale e amplificate dai mass media (v. alleg. n.8).
Il successivo 15 dicembre 1992, il m.llo Canale fu nuovamente interrogato
dal P.M. di Caltanissetta, e dichiarò:
- di essere certo di avere ricevuto la telefonata dal dott. Borsellino
venerdì 17 luglio 1992, mentre si trovava negli uffici del R.O.S.
di Palermo;
- di essere, altresì, certo che nel corso della telefonata il dott.
Borsellino gli parlò delle dichiarazioni di Mutolo su Signorino
e Contrada, senza, però, verbalizzarle;
- di confermare che in quella occasione il dott. Borsellino gli disse
di avere incontrato il dott. Contrada, senza, però, precisare se
lo aveva incontrato quello stesso giorno venerdì 17 luglio o il
giorno precedente, giovedì 16;
- di essere certo che il dott. Borsellino, nel corso della telefonata,
gli parlò dell'incontro con il Capo della Polizia Parisi.
Dal verbale di cui innanzi, a pag.6, risulta che dall'esame dell'agendina
del dott. Borsellino, alle pagine corrispondenti ai giorni venerdì
17 e giovedì 16 luglio 1992, non vi è alcuna annotazione
circa un incontro con il dott. Contrada e con il capo della Polizia, nonostante
in dette pagine si rilevasse una fitta serie di annotazioni con i vari
appuntamenti e spostamenti del Giudice, tra cui, al giorno 16, l'appuntamento
per il pranzo con il dott. De Gennaro e quello per cena con l'on.le Vizzini.
Constatato ciò, il Canale osservò che evidentemente l'incontro
con me non era programmato, sia perché il dott. Borsellino "non
avrebbe mai accettato di incontrarsi con Contrada", sia perché,
altrimenti, sarebbe stato annotato nell'agendina.
Pur avendogli il P.M. fatto notare che l'incontro Borsellino-Capo della
Polizia risultava annotato alla data del 1° luglio 1992, il m.llo
Canale, nel prendere atto di ciò, ribadì tuttavia che il
magistrato gli disse a telefono, venerdì 17 luglio, di essersi
incontrato col Capo della Polizia, facendogli chiaramente intendere che
ciò era accaduto poco prima.
Le dichiarazioni di cui sopra sono contenute nel verbale del 15.12.1992
alle pagg. 5 e 6 (v. alleg. n.9).
Occorre a questo punto far rilevare che in quel periodo di tempo si verificò
un fatto inquietante, che allora sottovalutai non conoscendone i retroscena,
e non prevedendone le gravi conseguenze che ne sarebbero derivate.
Tra il momento in cui il magg. CC. Sinico, in compagnia di altri ufficiali
dell'Arma, riferiva al Sost. Proc. Ingroia della mia presenza in Via D'Amelio
(dieci o quindi giorni dopo la strage) e il periodo di tempo (11 e 15
dicembre 1992) in cui l'Ufficiale rendeva le dichiarazioni di cui innanzi
ai PP.MM. di Caltanissetta, l'agenzia giornalistica "REPUBBLICA",
n.177, 21.9.1992, con sede a Roma, riportava la notizia della mia presenza
sul luogo della strage.
La notizia era stata data da un maresciallo della P.S. Carmine Mancuso,
allora in aspettativa perché eletto Senatore nella lista della
"RETE" e Presidente del Comitato di coordinamento antimafia
della Sicilia.
Infatti, a pag. 2 del menzionato numero dell'Agenzia "REPUBBLICA",
è scritto: "
Ci parla (il sen. Mancuso), tra l'altro,
di un certo Bruno Contrada, ex capo di gabinetto del Prefetto De Francesco
ed oggi funzionario del Sisde, il quale - secondo alcuni documenti giudiziari
- risulta sia stato visto pochi minuti prima nei luoghi dove furono assassinati
il capo della Mobile palermitana Boris Giuliano, il giudice Terranova
e il generale Dalla Chiesa. Tutte coincidenze, forse, ma il Sen. Mancuso
dice di avere avuto notizia che la stessa presenza sia stata registrata
poche ore prima dell'esplosione in Via D'Amelio. Il che, per la verità,
ci sembra eccessivo" (v. alleg. n.10).
Il 24 dicembre 1992 - in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare
emessa dal G.I.P. di Palermo per il reato di concorso esterno in associazione
per delinquere di stampo mafioso, sulla scorta delle accuse di Mutolo
Gaspare e altri pentiti, nonché di ulteriori presunti elementi
di prova - fui arrestato e tradotto al carcere militare di Forte Boccea
a Roma.
Ho motivo di ritenere che tali notizie (tutte senza fondamento alcuno
e incontrovertibilmente false, come verrà dimostrato in prosecuzione
di esposizione dei fatti) diffuse da appartenenti alle Forse dell'Ordine
(Sinico, Canale, Mancuso) e portate a conoscenza delle Procure della Repubblica
di Palermo e di Caltanissetta e della stampa, abbiano contribuito o influito
a creare un clima a me avverso e ostile in cui è maturata peraltro
la determinazione dei Magistrati della Procura di Palermo di richiedere
alla vigilia di Natale del '92 la mia restrizione, in custodia cautelare
in carcere,ove sono rimasto per oltre 31 mesi.
In proposito assume forte valore sintomatico e significativo e, forse,
anche esplicativo l'espressione, tra le lacrime, del Sost. Proc. Rep.
Di Palermo dott. De Francisci, riferita dal magg. Sinico: "fino a
quando ci sarebbero state in giro persone come Contrada, episodi come
quelli di Borsellino si sarebbero ripetuti" (v. verb. 20.12.1992,
all. n.2).
Cioè, in altri termini: se fossi stato lasciato libero, così
come avevo perpetrato la strage di Via D'Amelio, ne avrei organizzate
ed eseguite altre!
E' significativo, in proposito, che già qualche giorno dopo il
mio arresto, la stampa iniziò a collegare l'arresto stesso con
le indagini per le stragi, in via di espletamento da parte dei Magistrati
di Caltanissetta.
Si riporta, per esempio, l'articolo pubblicato sul MATTINO, in data 4
gennaio 1993, con il seguente titolo: I Giudici di Caltanissetta: "Vogliano
capire se c'è qualcosa che interessa le nostre inchieste"
- Stragi e Sisde, si apre il dossier - L'ora della verità sulle
accuse al questore Contrada.
Titoli che lasciano chiaramente comprendere che io fossi stato arrestato
anche per le stragi! (v. all. n.11).
Il 27 gennaio 1993 fui interrogato in carcere dai PP.MM. di Caltanissetta
(dott. Cardella e dott.a Boccassini),nell'ambito della indagine sulla
strage di Via D'Amelio.
Mi furono poste domande circa i miei incontri con il dott. Borsellino
e, in particolare, sul periodo, occasione e circostanza in cui l'avevo
incontrato l'ultima volta; ciò evidentemente, in relazione a quanto
riferito dal m.llo Canale nelle sue dichiarazioni ai PP.MM. del 26.11.1992
e 15.12.1992.
Io risposi con sufficiente precisione collocando i miei ultimi incontri
con il dott. Borsellino nel periodo attorno a maggio 1992; incontri estemporanei
e occasionali, avvenuti negli uffici del SISDE a Roma,ove il magistrato
si era recato per parlare con Direttore Prefetto Voci, e nella Caserma
della Polizia "Lungarno" a Palermo, in occasione di cerimonie
militari.
In quel momento non fui in grado di ricordare e indicare le date precise
degli incontri, ma dissi che esse potevano essere rilevate consultando
la mia agenda del 1992, che mi era stata sequestrata al momento dell'arresto
il 24.12.1992. Mi risulta che ciò fu fatto dai Magistrati di Caltanissetta,
che richiesero alla Procura della Repubblica di Palermo copia della predetta
agenda. Le date sono riportate con indicazione dei particolari e motivi
degli incontri, nell'atto di denunzia-querela da me sporta il 18.1.1998,
come si dirà in seguito.
Mi fu anche chiesto se avessi, nel corso del 1992 incontrato il Capo della
Polizia, Prefetto Parisi. Io risposi negativamente, specificando che l'ultima
volta che lo avevo visto era stato a Natale del 1991, in occasione degli
auguri appunto per le festività natalizie, e, comunque,mai a luglio
del 1992 (verb. 27.1.1993 - v. all. n.12).
Mi risulta, anche se non sono in possesso del relativo verbale, agli atti,
però, della Procura della Repubblica di Caltanissetta, che subito
dopo il mio interrogatorio, i Sostituti Procuratori Cardella e Boccassini
si recarono dal Capo della Polizia per riscontrare quanto da me dichiarato,
e che lui confermò.
Qualche mese dopo questo interrogatorio, e in coincidenza col primo avversario
della strage di Capaci (23.5.1993), furono pubblicati sulla stampa alcuni
articoli aventi per oggetto la mia implicazione nelle stragi.
Riporto, qui di seguito, alcuni di tali articoli, a titolo esemplificativo:
CORRIERE DELLA SERA, 21.5.1993: Strage di Capaci: spunta Contrada. Lo
007 entra nell'inchiesta che mira all'intreccio piovra-servizi segreti.
LA REPUBBLICA, 21.5.1993: Mentre nella notte suonano le campane in tutta
Italia, in ricordo del giudice Falcone. Gli 007 delle cosche - Strage
di Capaci. Interrogato Contrada. I giudici da Contrada per Falcone e Borsellino.
Quando Falcone parlava di menti raffinatissime. Quella lunga scia di morti
e di misteri.
LA SICILIA, Il Procuratore Tenebra ottimista sulle indagini a un anno
dalla strage. Interrogato anche Contrada.
Naturalmente, tali articoli dei giornali furono accompagnati anche da
vari servizi televisivi sull'argomento.
Tutto appariva essere il prodotto di una occulta regia tendente a presentarmi
quale responsabile o corresponsabile o comunque coinvolto sulle stragi,
proprio in concomitanza col primo anniversario dell'eccidio di Capaci
(v. alleg. n.13).
Il 25 giugno 1993, il m.llo dei CC. Carmelo Canale fu nuovamente interrogato
dal P.M. di Caltanissetta, dott. F. Cardella (v. all. n.14). Confermò
che la prima volta che il dott. Borsellino gli parlò delle dichiarazioni
di Mutolo su di me e sul Giudice Signorino, fu nel corso della telefonata
che ricevette il pomeriggio di venerdì 17 luglio 1992,mentre si
trovava negli uffici della Sezione Anticrimine di Palermo. Il P.M., in
merito, gli contestò che dall'esame dei tabulati del cellulare
del dott. Borsellino non risultava tale chiamata.
Confermò, ancora, che il dott. Borsellino, nel corso di quella
telefonata del 17 luglio, gli disse di avere incontrato il Capo della
Polizia, senza però specificare se l'incontro era avvenuto il 17
o il 16 luglio, ma, comunque, alluse ad un incontro in quei giorni, cioè
il 16 o il 17 luglio, e non in epoca precedente.
Confermò, infine, che il dott. Borsellino, sempre nel corso di
quella telefonata, gli disse di avere incontrato anche me, e che, se l'incontro
non risultava annotato nell'agenda del Magistrato, ciò evidentemente
era dovuto al fatto che non si trattava di un incontro programmato, ma
estemporaneo e occasionale.
In proposito, si richiama quanto rappresentato ed osservato nel trattare
l'interrogatorio del m.llo Canale del 15.12.1992, da cui emerse che né
l'incontro col Capo dela Polizia né quello con me risultavano annotati
nell'agendina del dott. Borsellino.
Confermò, in ultimo, che il dott.Borsellino gli disse che il Prefetto
Finocchiaro, Alto Commissario, aveva esternato il sospetto che l'autore
dell'anonimo circolato in ambienti giudiziari dopo la morte del dott.
Falcone fosse il dott. Contrada.
Il Canale ribadì la sua precedente dichiarazione nonostante che
il P.M. gli avesse fatto rilevare che il Prefetto Finocchiaro, sentito
sull'argomento, aveva negato di aver mai espresso dubbi sul dott. Contrada
al dott. Borsellino.
Sul punto, ritengo utile aggiungere che il dott. Angelo Finocchiaro -
già Prefetto di Caltanissetta, di Palermo e di Napli, nonché
Alto Commissario e Direttore del SISDE - nel corso della testimonianza
resa al mio processo dinanzi al Tribunale, all'udienza del 4 ottobre 1994,
ha smentito decisamente quanto riferito dal Canale. Ha precisato, anzi,
che il dott. Borsellino gli aveva chiaramente confidato che, secondo lui,
l'anonimo proveniva dai Carabinieri (v. verbale ud. 4.10.1994 - pagg.107-117-118-119-120-139-140-141,
all. n.15).
Il dott. Antonio De Luca, che - secondo Canale - avrebbe manifestato al
Prefetto Finocchiaro sospetti su me quale autore dell'anonimo, da parte
sua, ha smentito recisamente quanto affermato dal Canale, dichiarando
che ciò non era mai avvenuto (v. dichiarazione dott. De Luca, ud.
del 28.10.1994, proc. Contrada, pagg.89-98-99, all. n.16).
Di recente, l'on.le Giuseppe Gargani, eurodeputato e già Presidente
della commissione giustizia della Camera, nel corso della testimonianza
resa all'udienza del 23 ottobre 2000 del processo a carico dell'ex ministro
Calogero Mannino, ha affermato di avere appreso dall'on.le Luciano Violante
che l'anonimo del 1992, circolato dopo la strage di Capaci , "fu
scritto dai Carabinieri" (v. proc. verb. ud. 23.10.2000, processo
Mannino).
In sintesi, le dichiarazioni che il m.llo Canale aveva fatto nei precedenti
interrogatori del 26.11 e 15.12 del 1992 circa la telefonata del dott.
Borsellino del 17.7.1992, gli incontri del Magistrato con il Capo della
Polizia e il dott. Contrada, l'asserito sospetto dell'Alto Commissario
sul dott. Contrada, sulla scorta degli accertamenti svolti dal P.M. di
Caltanissetta, risultavano non rispondenti al vero.
Il ten. Canale, in sede di testimonianza che successivamente, il 24.3.1998,
rese dinanzi la Corte di Assise - sez. 1° - di Caltanissetta nel processo
a carico di Riina Salvatore + 17 per la strage Borsellino, confermò
di avere ricevuto il 17 luglio 1992, sul suo cellulare, una telefonata
del Magistrato nel corso della quale il dott. Borsellino lo avrebbe messo
al corrente del fatto che il pentito Mutolo Gaspare gli aveva parlato
del Giudice Signorino e del dott. Contrada.
Dichiarò, infatti: "
Appresi in quella telefonata che
c'era
aveva avuto confidenze
confidenze, aveva avuto notizie
regolarmente verbalizzate dal Mutolo per un caso di corruzione riguardante
il dott. Signorino, qualche altra cosa di Contrada e giù di lì
"(pag.
60, verb.ud. proc. 24.3.1998).
Poi dichiarò che, sempre per telefono quel giorno, venerdì
17 luglio 1992, il dott. Borsellino gli disse che si era incontrato con
il Capo della Polizia e il dott. Contrada: "
che si era incontrato
con il Capo della Polizia in quei giorni mentre era a Roma, non so se
fu il giovedì, se fu il venerdì, e che aveva incontrato
anche Contrada" (pag. 67, verb. ud. proc. 24.3.1998).
Le dichiarazioni di cui innanzi sono contenute nello stralcio del verbale
di udienza 24.3.1998 (v. all. n.17).
Nel frattempo ero stato iscritto nel registro degli indagati nel procedimento
n.2430/93 R.G. per il delitto di cui all'art. 422 c.p., commesso in Palermo
il 19.7.1992 in danno del dott. Paolo Borsellino e del personale di Polizia
della scorta, e nel gennaio del 1994 la Procura della Repubblica di Caltanissetta
chiese ed ottenne dal G.I.P. la proroga del termine delle indagini preliminari.
Ciò era accaduto, oltre che per il fatto di essere stato arrestato
perché ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione
mafiosa, principalmente per le notizie riferite alla A.G. di Caltanissetta:
cioè, la mia presenza sul luogo della strage prima, al momento,
o subito dopo la deflagrazione e il mio incontro col dott. Borsellino
il giorno, o subito dopo, in cui il Magistrato aveva interrogato il pentito
Mutolo che gli aveva rivelato la mia presunta connivenza con "Cosa
Nostra".
Essendo io venuto a conoscenza da notizie di stampa, televisione e radio,
che ero indagato pe la strage (in proposito, ritengo utile, per una migliore
intelligenza e valutazione della vicenda, sotto porre all'attenzione di
codesta A-G- alcuni degli articoli di stampa che, unitamente ai servizi
di radio e televisione, mi presentavano dinanzi all'opinione pubblica
come abietto individuo autore di stragi di magistrati e agenti di polizia),
chiesi ed ottenni, tramite i miei legali, di essere sentito dal P.M. di
Caltanissetta.
Infatti, il 7 aprile 1994, nel carcere militare di Forte Boccea a Roma,
fui interrogato dal Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta, dott. C. Petralia.
Come si rileva dal relativo verbale di interrogatorio, detti al Magistrato
le più ampie ed esaurienti spiegazioni sui fatti in argomento,
fornendogli elementi concreti, circostanziati e precisi che davano la
prova sicura, certa, incontestabile, incontrovertibile, che:
1) - non era vero che io mi trovassi in Via D'Amelio al momento della
strage o subito dopo:
2) - non era vero che io mi fossi incontrato con il dott. Borsellino il
17 luglio 1992 o il giorno precedente a Roma, o in altro giorno del mese
di luglio, da solo a alla presenza del Capo della Polizia, Prefetto Parisi;
3) - non era vero che io fossi venuto a conoscenza delle propalazioni
accusatorio di Mutolo nei miei confronti prima della strage del 19.7.1992.
Specificamente:
per quanto riguarda il punto 1, dichiarai che il pomeriggio del 19 luglio
1992, e quindi al momento della strage, ero in alto mare, a bordo di una
imbarcazione di un mio amico, in compagnia di dieci persone, tutte indicate
e facilmente identificabili;
per quanto riguarda il punto 2, i giorni 17 e 16 luglio 1992 non ero a
Roma ma a Palermo, ove mi trovavo in ferie dal 10 luglio precedente;
per quanto riguarda il punto 3, ero venuto a conoscenza, per la prima
volta, delle accuse di Mutolo soltanto il 26 luglio 1992, per avermelo
confidato in quel giorno il dott. Antonino De Luca, funzionario del Sisde,
il quale l'aveva saputo dal dott. Angelo Sinesio, funzionario dell'Amministrazione
Civile dell'Interno all'epoca in servizio presso l'Alto Commissariato;
il dott. Sinesio, a sua volta, l'aveva appreso il 23.7.1992 dalla dott.a
Camassa, Magistrato della Procura di Marsala, che era stata informata
dallo stesso dott. Borsellino.
La verità di quanto da me dichiarato al P.M. è stata riscontrata
e provata, senza che nulla potesse essere revocato in dubbio, sulla scorta
di numerose, univoche e precise testimonianze, dati di fatto incontestabili,
documenti esplicativi e inequivocabili, tra cui l'agendina personale del
dott. Borsellino e quella mia, sequestrata dall'A.G. lo stesso giorno
del mio arresto, il 24.12.1992.
Quanto sopra è contenuto nel verbale di interrogatorio del 7.4.1994
del Proc. Rep. Di Caltanissetta dott. C. Petralia (v. all. n.18).
Qualche giorno dopo, la stampa, in particolare LA REPUBBLICA del 14 aprile
1994, pubblicò un articolo intitolato: " Per la strage di
Via D'Amelio Contrada davanti al giudice - Interrogato lo 007 - I giudici
cercano il filo che lega gli attentati. Nell'articolo, tra l'altro, era
scritto: "
Anche per questo, ancora giovedì scorso,
Bruno Contrada è stato interrogato dal Sost. Proc. Carmelo Petralia
nella veste di indagato per la strage di Via D'Amelio. All'ex funzionario
del Sisde sarebbero state chieste spiegazioni sulla sua presenza in Via
D'Amelio pochi minuti dopo il massacro e conferme sui suoi incontri con
Paolo Borsellino
" (v. all. n.19).
In data 7 marzo 1995, il G.I.P. (dott. Emanuele Secci) del Tribunale di
Caltanissetta - su conforme richiesta del P.M. del 2.3.1995 - dispose
l'archiviazione del procedimento n°382/95 R.G. n°568/95 R.G.G.I.P.
a mio carico, in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 422, commesso
a Palermo il 19,7,1992 (strage Borsellino), (v. all. n.20).
Di tale provvedimento venni a conoscenza casualmente ed esso fu riportato
e diffuso soltanto da organi di stampa locali:
- Il Giornale di Sicilia - 11.10.1995 - con l'articolo: " Via D'Amelio,
Contrada non era presente sul luogo - Milio: un'archiviazione stranamente
"riservata".
- Il Mediterraneo - 11.10.1995 - con l'articolo: "Via D'Amelio, archiviata
la posizione di Contrada" (v.all. n.21).
Nel decreto di archiviazione il G.I.P. premette che una traccia di indagini
fu offerta dalle dichiarazioni del m.llo dei CC Canale: telefonata del
dott. Borsellino del 17.7.1992, incontro Borsellino-Contrada probabilmente
al termine dell'interrogatorio del pentito Mutolo, etc., dichiarazioni
di cui ai verbali 26 novembre 1992 e 15 dicembre 1992 e 25 giugno 1993,
sopra richiamati (v. allegg. nn.3-4-7).
Il G.I.P. prosegue nella premessa : "
tali congetture",
cioè quelle scaturite dalle dichiarazioni del Canale, erano state
alimentate da "alcune dichiarazioni testimoniali che riferivano della
presenza di Contrada nei pressi di Via D'Amelio poco dopo l'esplosione
in
particolare, il cap.CC Umberto Sinico dichiarò di avere appreso
da fonte assolutamente attendibile, di cui si riservava di fornire il
nominativo, che la prima "Volante" della Polizia sopraggiunta
in Via D'Amelio pochissimo tempo dopo l'esplosione, avrebbe fermato e
generalizzato una persona che si trovava sul posto rispondente al nome
di Bruno Contrada circostanza che risulterebbe in una nota di servizio"
(pag.3 del decreto).
Su queste tracce di indagine, derivanti dalle dichirazioni degli Ufficiali
dei CC. Canale e Sinico, il G.I.P. eprime giudizi di inconsistenza, non
conducibilità e non aderenza alla realtà.
In particolare, per quanto riguarda il m.llo Canale, nel decreto è
scritto: "
nessun elemento è stato acquisito a conferma
di quanto riferito dal m.llo Canale" (v. pag.4 decreto).
Per ciò che concerne la notizia del magg. Sinico, è scritto:
"Quanto, infine, alla dichiarazione del cap. Sinico circa la presenza
di Contrada in prossimità di Via D'Amelio nell'immediatezza dell'esplosione,
nessun elemento è stato acquisito, nel corso delle indagini, tale
da suffragare detto assunto" (v. pag.5 decreto).
Sul punto il G.I.P. ha evidenziato che " Contrada ha fornito un alibi
di forte intensità persuasiva, in quanto confermato da diversi
testimoni, quali il cap. CC. Paolo Zanaroli ed il funzionario del Sisde
Lorenzo Narracci, che hanno riferito che l'indagato si trovava a bordo
di una barca in loro compagnia quando fu compiuta la strage".
In effetti, più che un "alibi di forte intensità persuasiva",
si trattava della prova certa, assoluta, indiscutibile e definitiva della
falsità della notizia riferita dal magg. Sinico, il quale l'avrebbe
ricevuta "de relato", confidenzialmente, da persona innominata,
la quale, a sua volta, l'avrebbe appresa da altra persona sconosciuta,
e quest'ultima, infine, dagli Agenti della Polizia, per primi intervenuti
sul posto, i quali, tutti, concordemente, decisamente e inequivocabilmente,
hanno negato di avermi visto in Via D'Amelio nell'immediatezza della strage,
o di aver riferito una cosa del genere a chicchessia.
Comunque, tale incredibile fatto sarà ulteriormente e più
compiutamente trattato in seguito.
Una volta venuto a conoscenza del decreto di archiviazione, pensai e mi
illusi che l'assurda vicenda che mi aveva coinvolto fosse definitivamente
conclusa. Ma, in effetti, non fu così.
Infatti, dopo circa un anno dal decreto di archiviazione del G.I.P. di
Caltanissetta (7.3.1995, il pentito Gaspare Mutolo fu escusso all'udienza
del 22.2.1996 nel processo penale n. 3/95 - 5/95 R.G. Ass. -Strage Falcone-
innanzi la Corte di Assise di Caltanissetta.
Nel corso della sua testimonianza il Mutolo dichiarò:
- che il 1° luglio 1992, nel corso delle dichiarazioni che stava rendendo
quel giorno al dott. Paolo Borsellino e altri Magistrati di Palermo, il
dott. Borsellino sospese l'interrogatorio per assentarsi un po' di tempo,
in quanto aveva ricevuto una telefonata del Ministro che lo aveva invitato
a recarsi da lui;
- che aveva parlato al dott. Borsellino del dott. Signorino e del dott.
Contrada per la prima volta quel giorno, sia prima della telefonata che
dopo, nonché anche nei giorni successivi, però solo al dott.
Borsellino, mai alla presenza di altri, approfittando di quei momenti
in cui appunto rimaneva solo con lo stesso e senza che mai il Magistrato
verbalizzasse tali sue propalazioni;
- che quel giorno, quando il dott. Borsellino ritornò e riprese
l'interrogatorio, era preoccupato e "arrabbiato", "stizzito",
perché invece del Ministro, aveva trovato il Capo della Polizia
Parisi e il dott. Contrada (ciò gli disse il dott. Borsellino).
Mutolo pensò, nel corso della sua audizione, che il dott. Borsellino
era irritato perché poco dopo che gli aveva parlato di me (quello
stesso giorno 1° luglio 1992), mi aveva poi incontrato col Capo della
Polizia, invece del Ministro che lo aveva chiamato con una telefonata
sul cellulare.
Queste dichiarazioni di Mutolo sono contenute nel verbale di udienza del
22.2.1996, alle pagg. 7-12-13-32-34-35 (v. all.n.22).
Allo scopo di svelare le menzogne contenute in queste dichiarazioni di
Mutolo, mi pare doveroso osservare quanto segue:
- se Mutolo parlò di me a Borsellino in maniera assolutamente riservata,
e se subito dopo il Giudice ha ricevuto la telefonata di invito all'incontro
con me e col Capo della Polizia invece del Ministro, insinuando così
il sospetto che io fossi venuto a conoscenza delle sue accuse nei miei
confronti, solo due avrebbero potuto informarmi: o il pentito (impossibile)
o il Giudice. Nel caso fosse stato il Giudice, non si riuscirebbe a capire
la sua rabbia e la sua stizza;
- stralcio dal verbale di interrogatorio del Mutolo del giorno 1°
luglio 1992: "1° luglio 1992 - Roma, sede della DIA - Interrogatorio
di Mutolo, presenti Aliquò e Borsellino della Procura di Palermo.
Inizio ore 15,00;
sospensione per "esigenze di servizio" dalle ore 17,40 alle
ore 19,15.
ripresa dell'interrogatorio alle ore 19,15;
chiusura ore 20,10;
firme in calce al verbale: Mutolo, Borsellino, Aliquò, ecc
(v. all. n.22 bis);
- dalla sentenza n. 29/97 - " Borsellino ter" - Corte di Assise
di Caltanissetta- pag. 20 della Sezione Terza: " Il 30 giugno (Borsellino)
si recò in aereo a Roma e rientrò a Palermo alle ore 20,00
del successivo 1° luglio" (v. all. n. 22 ter).
Da questi documenti inoppugnabili si rileva che alle ore 17,40 del 1°
luglio il dott. Borsellino abbandonò l'interrogatorio, non per
andare a un incontro con chicchessia, ma per correre in aeroporto (un'ora
di tragitto), da dove, dopo un'ora di volo, alle 20,00 raggiunse Palermo.
Per completezza di argomentazione e per una migliore intelligenza dei
fatti, allego alcuni articoli di stampa riportanti l'audizione di Mutolo
e le sue dichiarazioni circa il mio presunto incontro con il dott. Borsellino
e il Capo della Polizia, che sarebbe avvenuto il 1° luglio 1992.
In particolare:
GIORNALE DI SICILIA del 22 e 23 febbraio 1996;
LA SICILIA del 22 e 23 febbraio 1996 (v. all. n.23).
Il 19 marzo successivo, cioè meno di un mese dopo l'udienza del
22.2.1996, nel corso della quale aveva reso le sopradette dichiarazioni,
il Mutolo fu interrogato da Magistrati delle Procure della Repubblica
di Caltanissetta e di Palermo, nonché della D.N.A., e precisamente
dai Sostituti Procuratori dott.ri Palma, Di Matteo, Ingroia e Petralia,
nell'ambito del procedimento n°2516/95 R.G.N.R. CL e n°5664/93
Mod.44 PA.
Gli fu chiesto di chiarire i fatti che aveva riferito nell'udienza del
22.2.1996 tenutasi a Mestre nel processo per la strage di Capaci e concernenti
l'incontro che ci sarebbe stato il 1° luglio 1992 tra il dott. Borsellino,
il Capo della Polizia Parisi e il dott. Contrada.
Mutolo confermò, chiarendo in particolare:
- che il primo incontro che ebbe con il dott. Borsellino fu il 1°
luglio 1992:
- che in quella circostanza, prima dell'inizio dell'interrogatorio, ebbe
modo di rimanere solo con il dott. Borsellino per un po' di tempo, e gli
parlò della collusione del dr. Signorino e del dr. Contrada con
la mafia;
- che, il pomeriggio dello stesso giorno 1° luglio , verso le ore
17-17,30, nel corso della successiva verbalizzazione, il dott. Borsellino
ricevette una telefonata, probabilmente sul cellulare, in seguito alla
quale disse ai presenti che doveva allontanarsi;
- che, subito dopo quella telefonata, rimase di nuovo solo con il dott.
Borsellino il quale gli disse che doveva andare a parlare con il Ministro;
- che il dott. Borsellino si assentò per circa un'ora, o un'ora
e mezza, e tornò "teso e turbato". Essendo rimasto ancora
una volta solo con il Magistrato, ebbe confidato dallo stesso che invece
che con il Ministro si era incontrato con Parisi e Contrada, esprimendosi
con una frase del tipo: " Quale Ministro! C'erano Parisi e Contrada";
- che non conosceva l'oggetto specifico dell'incontro Borsellino-Parisi-Contrada,
ma che il Giudice gli disse soltanto che il dott. Contrada si era mostrato
a conoscenza del fatto che stava iniziando a collaborare;
- che della presunta collusione con la mafia del dott. Signorino e del
dott. Contrada, nonché dell'incontro Borsellino-Parisi-Contrada,
non aveva mai parlato in presenza degli altri Magistrati che partecipavano
agli interrogatori, ma sempre solo con il dott. Borsellino.
Queste dichiarazioni di Mutolo sono contenute nel verbale di interrogatorio
del 19 marzo 1996 (v. all. n.24).
Anche con riferimento a queste ultime dichiarazioni di Mutolo si ritiene
di dover evidenziare come tutto sia pura e menzognera invenzione del pentito,
richiamando gli allegati nn.22 bis e 22 ter; ma non possono essere sottaciute
altre considerazioni:
- il 1° luglio 1992 è la prima volta che il dott. Borsellino
incontra il pentito Mutolo;
- lo spazio temporale in cui i due risultano assieme va dalle ore 15,00
alle ore 17,40;
- il Mutolo sarebbe rimasto solo col dott. Borsellino in tre occasioni:
-prima delle ore 15,00; - subito dopo la presunta telefonata ricevuta
dal dott. Borsellino verso le ore 17-17,30, spazio temporale che il Mutolo
indica come seconda verbalizzazione, che invece il verbale precisa essere
avvenuta dalle ore 19,15; - e siccome a suo dire il Giudice si sarebbe
assentato per un'ora, un'ora e mezza, al suo presunto rientro, cioè
alle ore 18,30/19,00, quando, a dire della richiamata sentenza del Borsellino-ter
il Giudice era in aereo per rientrare alle ore 20 in punto a Palermo,
Mutolo avrebbe avuto il suo terzo colloquio riservato nel quale il Giudice
gli avrebbe esternato il suo sconcerto e la sua inquietudine per l'incontro
con Parisi e Contrada;
- il giudice Borsellino, a dire di Mutolo, si fida di lui che vede e incontra
per la prima volta, e non si fida dei colleghi Magistrati di Palermo,
rappresentati dal Proc. Agg. di Palermo dott. Vittorio Aliquò,
al quale nulla dice e nulla esterna.
A questo punto della esposizione dei fatti, occorre fare un passo indietro,
e cioè, al 1994.
Mutolo, infatti, nel corso del processo a mio carico, all'udienza del
7 giugno 1994, dichiarò che la prima volta che aveva parlato, anzi
accennato, di me al dott. Borsellino fu il 16 luglio 1992, cioè
durante una breve pausa dell'interrogatorio cui era sottoposto quel giorno,
e in un momento in cui era rimasto solo con il Magistrato.
La sua dichiarazione in proposito fu chiara e inequivocabile. Disse, infatti:
" Io l'ultima volta che ho visto il dott. Borsellino (ciò
avvenne il 17 luglio 1992, n.d.r.), cioè che dopo l'indomani l'ho
visto di nuovo, però lui andò prima, io ci ho un momento
libero
c'era un piccolo cortiletto, noi facciamo una specie di pausa
e
io a un certo punto ci ho detto: "dott. Borsellino, io intanto prima
devo parlare sulla mafia
dopo io dovrò parlare anche di giudici
e poliziotti
c'è il dott. Contrada che è a disposizione
della mafia
" (pag. 101, verb. ud. 7.6.1994).
"L'indomani (17 luglio 1992, n.d.r.) noi ci siamo visti di nuovo,
lui stette fino a non lo so, se erano le 4 o le 5, se ne andò prima
e io rimango ancora a fare interrogazioni col giudice Natoli e col giudice
Lo Forte
" (v. verb. proc. ud. 7.6.1994).
Quindi, Mutolo, dopo avere collocato al 16 luglio 1992 (in proposito è
opportuno ricordare che gli interrogatori di Mutolo condotti dal dott.
Borsellino furono tre: il 1°, il 16 e il 17 luglio 1992) il primo
accenno fatto al dott. Borsellino circa la mia presunta collusione con
la mafia, nulla disse in ordine all'episodio della telefonata ricevuta
dal dott. Borsellino durante l'interrogatorio, del suo allontanamento
per incontrarsi col Ministro, dell'incontro, invece, col Capo della Polizia
e col dott. Contrada, del rammarico manifestatogli dal Magistrato per
tale incontro. Ciò verrà raccontato da Mutolo soltanto molto
tempo dopo, come innanzi riferito.
Le dichiarazioni di cui sopra di Mutolo sono contenute nello stralcio
(pagg.101-102) di verbale dell'udienza del 7.6.1994 del processo Contrada
dinanzi la V sez. pen. del Tribunale di Palermo (v. all. n.25).
Analoghe dichiarazioni il Mutolo fece ai PP.MM. di Caltanissetta (dottori
Cardella e Boccassini) il 9 dicembre 1992. Disse, infatti: "
E
tuttavia, qualche nome lo feci in quel nostro secondo incontro (16 luglio
1992, n.d.r.) al dr. Borsellino, quello del dott. Signorino, del dott.
Contrada e del dott. Barreca. Fu un accenno del tutto informale, perché
mi riservavo di rendere precise dichiarazioni a verbale al momento opportuno
" (v. stralcio pag. 21, verb. interr. 9.12.1992, all. n.26).
Invece, nel verbale di interrogatorio reso il 23.10.1992 ai PP.MM. di
Palermo, in cui per la prima volta enunciò accuse a mio carico,
non fece alcun accenno a ciò che informalmente aveva riferito al
dott. Borsellino sul mio conto il 16 luglio 1992 o in occasione degli
altri due interrogatori del 1° e del 17 luglio 1992, né tampoco
dell'incontro Borsellino-Contrada-Parisi in uno di quei giorni del luglio
1992 (v. stralcio pagg. 227-230, verb. interr. 23.10.1992 - all. n.27).
Dalla lettura dei verbali su richiamati (7.6.1994, 22.2.1996, 19.3.1996,
9.12.1992 e 23.10.1992 - allegati nn.25,22,24,26 e 27) emergono in tutta
evidenza le discordanze e le contraddizioni delle dichiarazioni di Mutolo.
Infatti, in ordine di tempo, il Mutolo:
- il 23.10.1992 non dice nulla ai PP.MM. di Palermo sul giorno in cui
la prima volta parlò di me al dott. Borsellino, né dice
nulla della telefonata e dell'incontro del Magistrato con me e il Capo
della Polizia (all.n.27);
- il 9.12.1992 dice ai PP.MM. di Caltanissetta che la prima volta che
parlò di me al dott. Borsellino fu al secondo incontro, cioè
il 16 luglio, e non dice nulla della telefonata e dell'incontro (all.
n.26);
- il 7.6.1994 dice al Tribunale di Palermo -V Sez. Pen.- che la prima
volta che parlò di me al dott. Borsellino fu il giorno prima di
quello in cui lo vide per l'ultima volta, cioè il 16 luglio, e
non dice nulla della telefonata e dell'incontro (all. n.25);
- il 22.2.1996 dice alla Corte di Assise di Caltanissetta (processo strage
Falcone) che la prima volta che parlò di me al dott. Borsellino
fu il 1° luglio, e che in quello stesso giorno ci furono la telefonata
e l'incontro (all.n.22);
- il 19.3.1996 dice ai PP.MM. di Caltanissetta, confermando la sua testimonianza
del 22.2.1996, che la prima volta che parlò di me al dott. Borsellino
fu il 1° luglio, e che in quello stesso giorno ci furono la telefonata
e l'incontro (all.n.24).
Né appaiono plausibili le giustificazioni addotte dal pentito alle
contestazioni in proposito dei Magistrati delle Procure di Palermo e di
Caltanissetta e della Direzione Nazionale Antimafia (interrogatorio del
19.3.1996). Infatti, i predetti fecero presente al Mutolo: "
che
dalla trascrizione della deposizione dibattimentale del Mutolo stesso
in data 7 giugno 1994, nell'ambito del processo in corso davanti la V
sezione penale del Tribunale di Palermo a carico di Bruno Contrada, risulta
che il Mutolo ha dichiarato di avere riferito per la prima volta al dott.
Borsellino dei rapporti con "Cosa Nostra" del dott. Signorino
e del dott. Contrada in occasione dell'ultimo interrogatorio reso al medesimo
dott. Borsellino" (v. pag. 3 verb. 19.3.96 - all. n.24 - e pagg.
75-76-77-101-102-103 verb. 7.6.94 - all. n.25).
Mutolo, a siffatta contestazione, rispose che: "in realtà,
nel corso dell'interrogatorio al processo Contrada, io non precisai di
averne parlato sin dalla prima volta, perché era mia intenzione
affrontare in modo definitivo tutto questo argomento, compresa in particolare
la vicenda dell'incontro tra il dott. Borsellino e Contrada, in occasione
del dibattimento per la strage di Capaci" (cioè, quella in
cui perse la vita il dott. Falcone).
Alla successiva contestazione che non ne aveva parlato neanche quando
venne interrogato al dibattimento per la strage di Via D'Amelio (non sono
in possesso del relativo verbale di udienza), si giustificò dicendo
che aveva fatto questa scelta essendo "rimasto particolarmente legato
al ricordo del dott. Falcone
" (pagg. 3 e 4 verb. interr. 19.3.1996,
all. n.24).
Al termine di questo interrogatorio, il Mutolo lasciò chiaramente
intendere che le sue rivelazioni su Signorino e Contrada al dott. Falcone
e al dott. Borsellino erano da collegarsi - come causa o concausa - alle
stragi. Infatti, disse: "
vicende riguardanti il dott. Signorino
e il dott. Contrada, vicenda alle quali io ricollegavo e ricollego tuttora
gravissime conseguenze, visto che sia il dott. Falcone, sia il dott. Borsellino,
che ne erano stati i primi ed esclusivi depositari, poco dopo averne avuto
conoscenza, erano stati ferocemente assassinati" (pag. 4 verb. 19.6.1996,
all. n.24).
Non è chi non veda che Mutolo volle dire che i due Magistrati furono
uccisi perché avevano saputo da lui che Signorino e Contrada erano
collusi con la mafia!
Sulle dichiarazioni di Mutolo, occorre attirare l'attenzione sulle seguenti
circostanze che sono sintomatiche, anzi illuminanti del quadro accusatorio
che sulle menzogne e calunnie si andava costruendo sulla mia persona.
Le dichiarazioni da lui rese ai PP.MM. di Caltanissetta il 9.12.1992 e
la successiva testimonianza al mio processo, all'udienza del 7 giugno
1994, sono perfettamente in linea con le dichiarazioni del m.llo Canale
del 26.11.1992 e del 15.12.1992, per quanto riguarda il punto specifico
della rivelazione al dott. Borsellino della mia presunta collusione con
la mafia il 16 luglio 1992.
Nulla, però, disse sull'incontro che lo stesso giorno il Magistrato
avrebbe avuto con me e col Capo della Polizia invece che col Ministro,
anche se accennò al fatto che il 17 luglio 1992 il dott. Borsellino
si allontanò nel pomeriggio dalla sede in cui stava conducendo
il suo interrogatorio (v. verb. 7.6.1994, all. n.25).
Nel frattempo, tra gennaio e giugno del 1993, i Sostituti Procuratori
di Caltanissetta Boccassini e Cardella avevano svolto le loro indagini
sui fatti narrati dal m.llo Canale a novembre-dicembre 1992, giungendo
alla conclusione che non risultava essere avvenuto l'incontro del 16 o
17 luglio 1992 del dott. Borsellino con me e con il Capo della Polizia,
e che, peraltro, dall'esame dei tabulati del cellulare non era stata rilevata
la telefonata di venerdì 17 luglio, che Canale asseriva essergli
stata fatta mentre si trovava negli uffici della Sezione Anticrimine di
Palermo. Tali accertamenti, contrastanti con le sue dichiarazioni, furono
contestati al sottoufficiale dei CC dai Magistrati nell'interrogatorio
del 25.6.1993, come sopra riferito (v. all. n.14).
Dalla successione e concatenazione dei fatti non si può non ritenere,
o almeno ipotizzare, che il Mutolo, essendo venuto a sapere (si ignora
in quale modo e da chi) che ciò che aveva dichiarato il m.llo Canale
e, in parte, lui stesso era stato accertato non essere rispondente al
vero, sposta dal 16 al 1° luglio la data in cui avrebbe, per la prima
volta, parlato al dott. Borsellino di me e del dott. Signorino, e allo
stesso giorno la circostanza della telefonata ricevuta dal Magistrato
e il successivo incontro con Contrada e il Capo della Polizia. Tutto il
1° luglio, e non più il 16 luglio!
Qui, per inciso, si fa rilevare (e anche questo particolare è illuminante)
che, come risulta dalla mia agenda personale del 1992, sequestratami il
24.12.1992, all'atto dell'arresto, il 16 e il 17 luglio ero a Palermo,
in ferie, mentre il 1° luglio ero a Roma, in servizio. Nelle pagine
corrispondenti ai tre giorni ci sono annotazioni relative a ciò
che avevo fatto appunto in quei giorni, tra cui alcuni incontri, dei quali
certamente nessuno con il dott. Borsellino e con il Capo della Polizia
Parisi.
Però, mentre il 16 e 17 luglio l'incontro non era assolutamente
possibile, data la mia presenza a Palermo (almeno che non avessi avuto
il dono dell'ubiquità), per quanto riguarda il 1° luglio, l'incontro
stesso sarebbe stato teoricamente possibile, data la mia presenza a Roma.
Si pone, quindi, la legittima domanda se questa circostanza non fosse
la motivazione e la spiegazione della diversa versione del Mutolo, laddove
sposta il presunto surripetuto incontro dal 16 al 1° luglio 1992 (v.
agenda dott. Contrada del 1992, pagg. dal 1° al 31 luglio - all. n.28.
Vedi, ancora, fogli Sisde relativi congedo ordinario dott. Contrada dal
13/7 al 1°/8/1992, all. n.29).
A margine, senza per nulla volerne sminuire l'importanza ai fini dell'intelligenza
delle tappe e delle modalità di costruzione del castello di menzogne
a mio carico, si sottopone all'attenzione di codesta Procura della Repubblica
una "lettera personale" avente ad oggetto "accertamenti
relativi alle utenze cellulari in uso a Contrada Bruno", spedita
l'8 novembre 1993 dal P.M. dott. Ingroia al ma.llo Carmelo Canale, presso
il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri a Roma.
Per gli accertamenti relativi a dette utenze cellulari il P.M. di Palermo
avrebbe potuto rivolgersi alla D.I.A. che già era investita nella
quasi totalità delle indagini sul mio conto, oppure ai reparti
territoriali o al R.O.S. dei Carabinieri, o alla Criminalpol, o ai reparti
investigativi della Guardia di Finanza (es. GICO), e così via,
organismi di Polizia tutti abilitati a svolgere indagini siffatte, invece,
il dott. Ingroia si è rivolto al Canale, che dopo l'assassinio
del dott. Borsellino, probabilmente per motivi di sicurezza, era stato
dislocato presso il Comando Generale di Roma, sottratto così alla
vicinanza di lavoro col P.M. di Palermo, e improvvisamente investito del
duplice compito di teste accusatore e indagatore.
La lettera personale - Procura della Repubblica di Palermo - D.D.A. n.
7415/92 NC- D.D.A. Palermo - recita tra l'altro: "Si trasmettono
i tabulati relativi al traffico telefonico delle utenze cellulari nella
disponibilità di Bruno Contrada, con la preghiera di esaminare
i medesimi al fine di identificare compiutamente i soggetti che risultano
essere stati in contatto con il Contrada, attenzionando eventuali contatti
"anomali" etc
" (v. all. 29 bis).
Si ribadisce che questo incarico, indubbiamente anomalo e inquietante,
è datato 8 novembre 1993, cioè, a meno di un anno dal mio
arresto e nel bel mezzo delle dichiarazioni accusatorie e relativi aggiustamenti
e modifiche del Canale stesso e del pentito Mutolo.
Da tutti gli atti processuali non risulta che il Canale abbia mai riferito
su queste indagini a lui ad personam delegate.
Per quanto riguarda le dichiarazioni di Mutolo, occorre prospettare alcune
osservazioni che non sembrano irrilevanti.
Innanzitutto, appare molto improbabile, se non inverosimile, che un Magistrato
quale era il dott. Borsellino, in sede di interrogatorio di un Magistrato
quale era il dott. Borsellino, in sede di interrogatorio di un criminale,
quale era il Mutolo, si lasciasse andare con lui a confidenze dle genere
di quelle narrate dal pentito: Non si vede perché proprio a Mutolo,
e soltanto a Mutolo, il dott. Borsellino dovesse esternare il suo rammarico
e risentimento per il fatto che, essendo stato chiamato o convocato per
un incontro col Ministro dell'Interno (on.le Nicola Mancino), aveva, invece,
trovato il Capo della Polizia Prefetto Parisi con il dott. Bruno Contrada.
Il dott. Borsellino non interrogò da solo il Mutolo: al primo interrogatorio,
quello del 1° luglio 1992, partecipò l'altro Procuratore Aggiunto
di Palermo, il dott. Vittorio Aliquò; al secondo e al terzo, il
16 e 17 luglio 1992, parteciparono i Sostituti Procuratori dott. G. Lo
Forte e dott. G. Natoli.
Per quale motivo mai il dott. Borsellino dovesse tenere all'oscuro di
quanto accadutogli i colleghi che erano con lui, non è dato sapere
o immaginare, ma certamente è da escludere che ciò avesse
fatto per sfiducia o diffidenza: e ciò vale sia per la telefonata
di invito o convocazione, sia per il successivo incontro con il Capo della
Polizia e il dott. Contrada, invece che col Ministro, che tanto aveva
irritato, secondo il Mutolo, il dott. Borsellino.
La seconda osservazione concerne il momento in cui sono venuto a conoscenza
del fatto che Mutolo aveva, per la prima volta, parlato al dott. Borsellino
di me e dei miei presunti rapporti con la mafia.
Sono venuto a conoscenza di ciò il 26 luglio 1982 per avermelo
riferito il dott. Antonio e Luca, funzionario di P.S., allora Capo Centro
Sisde di Catania. Al dott. De Luca ne aveva parlato il 23 luglio precedente
il dott. Angelo Sinesio, anch'egli funzionario del Sisde, il quale, lo
stesso giorno l'aveva appreso, per sommi capi, dalla dott.a Alessandra
Camassa, magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di
Marsala, e alla quale l'aveva, a sua volta, riferito lo stesso dott. Borsellino.
Questi avvenimenti e circostanze sono stati ricostruiti con precisione
ed accertati in modo sicuro sulla base delle testimonianze del dott. Sinesio
e del dott. De Luca, nonché delle annotazioni riportate nella mia
agenda del 1992, nelle pagine relative ai giorni 22-26-27 luglio (v. all.
n.28).
Il dott. Sinesio ha dichiarato ai PP.MM. di Palermo il 27.5.1993 e, successivamente,
al mio processo innanzi il Tribunale V sez. pen., all'udienza del 13.5.1994,
che aveva saputo dalla dott.a Camassa delle propalazioni di Mutolo sul
mio conto il 23 luglio 1992, e la sera stessa di quel giorno l'aveva riferito
al dott. De Luca che, poi, aveva informato me il 26 successivo (v. verb.
27.5.1993, P.M. di Palermo, e proc. verb. ud. 13.5.1994, pagg. 116-151,
all.nn.30 e 31).
Vero è che il 23 aprile 1993, interrogato nel carcere di Forte
Boccea dal Proc. Rep. di Palermo, dott. G. Caselli, avevo dichiarato di
aver saputo che Mutolo mi aveva accusato prima del 12 luglio 1992 dal
dott. Sinesio. Avevo, infatti, detto: "Il primo che mi accennò
qualcosa fu il dott. Sinesio, funzionario dell'A.C., ai primi del mese
di luglio 1992, comunque prima del 12 luglio, data in cui mi recai in
ferie a Palermo, avendo già appreso la notizia (v. verb. interr.
P.M. Palermo 23.4.1993, pag.1 - all. n.32).
Le circostanze riferite non erano esatte per difetto in quel momento di
ricordi nitidi sull'argomento. Una volta ricostruiti gli avvenimenti,
specialmente sulla base della consultazione dell'agenda del 1992, ho rettificato,
nel senso aderente alla realtà, come confermato dallo stesso dott.
Sinesio e dal dott. De Luca.
Le circostanze da me erroneamente riferite ai Magistrati della Procura
della Repubblica di Palermo il 23.4.1993, circa il momento in cui avevo
saputo delle propalazioni di Mutolo sul mio conto (cioè, prima
della strage di Via D'Amelio=, nonché della persona che mi aveva
informato (il dott. Angelo Sinesio), furono poco dopo portate a conoscenza
della stampa, tanto è vero che il dott. Sinesio, letto l'articolo
"Contrada senza uscita" pubblicato su Panorama a maggio 1993,
ritenne di presentarsi spontaneamente ai Magistrati della Procura di Palermo
per chiarire e rettificare le notizie inesatte per l'errore in cui ero
incorso (v. alle. n.30). Errore, per difetto di ricordi, da me chiarito
al dott. C. Petralia, Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta, nell'interrogatorio
del 7.4.1994 (v. all. n.18).
I giorni 1-2-3-4-5 di ottobre 1996, successivi alla deposizione di Mutolo
al processo per la strage Falcone, cioè dopo circa otto mesi, le
Agenzie di stampa (ANSA, AGI, ADN Cronos), tutti i maggiori quotidiani
locali e nazionali, nonché la radio e al televisione, diffusero
e dettero ampio risalto alla notizia che, in seguito alle dichiarazioni
di Mutolo, ero nuovamente indagato per la strage di Via D'Amelio.
Ciò avvenne proprio nel momento (ottobre 96) in cui stava per essere
depositata la sentenza della V Sez. Pen. del Tribunale di Palermo che,
sei mesi prima, mi aveva condannato per concorso esterno in associazione
mafiosa. La coincidenza e concomitanza temporale appariva essere il frutto
di una occulta regia tendente a presentarmi dinanzi all'opinione pubblica
quale un ignobile individuo responsabile anche di uno dei più efferati
crimini perpetrati in Italia, e dare, quindi, ulteriore forza e valore
alle motivazione poste a sostegno della condanna, che di lì a qualche
giorno sarebbero state depositate e rese pubbliche.
Riporto alcuni titoli di tali giornali del 2 e 3 ottobre 1996:
2 ottobre 1996
- Corriere della sera: Via D'Amelio, indagato Contrada - Mutolo: riunione
con l'ex 007 al Vicinale alla vigilia della strage.
- La Repubblica: Strage Borsellino, indagato Contrada - Il giudice parlò
con lo 007 ed era allarmato.
- La Stampa: Replay di accuse per Contrada - Di nuovo indagato per la
strage Borsellino.
- Il Messaggero: Strage Borsellino, indagato Contrada.
- Il Tempo: Contrada accusato di strage - Concorso nell'assassinio di
Borsellino e cinque uomini di scorta.
- Il Mattino: Nuova tegola su Contrada - Indagato per Via D'Amelio.
- Avvenire: Rispunta Bruno Contrada nel delitto Borsellino.
- Il Manifesto: Quello spione nel palazzo - Bruno Contrada indagato come
mandante della strage in Via D'Amelio dove morì Borsellino con
la sua scorta.
- L'Unità: Borsellino, indagato Contrada - L'ex 007 è accusato
di concorso in strage.
- Il Popolo: Strage Via D'Amelio - Indagato Contrada.
- L'Opinione: Contrada indagato per Via D'Amelio - Ad accusarlo c'è
l'ennesimo pentito.
- Il Secolo d'Italia: Concorso nell'assassinio di Borsellino - Contrada
indagato a Caltanissetta.
- Liberazione: Quel 1° luglio 1992 - Era nell'agenda di Borsellino.
- Il Giornale: Per Borsellino sospetti su Contrada.
- Il Giorno: Borsellino, indagato Contrada - Accertamenti sull'ex poliziotto
dopo le accuse di Mutolo.
- Il Giornale di Sicilia: Contrada di nuovo sotto inchiesta - Concorso
nella strage di Via D'Amelio.
- La Sicilia: Contrada implicato nella strage Borsellino.
- Il Mediterraneo: Per Bruno Contrada concorso in strage.
- Il Giornale d'Italia: Contrada indagato per strage - Avrebbe concorso
all'uccisione di Borsellino e della scorta.
3 ottobre 1996
- Corriere della Sera: Contrada non è indagato.
- La Repubblica: Ma Contrada non è indagato.
- La Stampa: Su Contrada indagato balletto di smentite.
- Il Tempo: Accuse a Contrada: Tenebra smentisce.
- Il Mattino: Contrada indagato: è giallo. Smentita dai PP.MM.
di Caltanissetta.
- Avvenire: Caso Contrada bis, ed è subito giallo.
- Il Manifesto: Si infittisce il giallo Contrada.
- L'Unità: Contrada sapeva di Mutolo.
- L'Opinione: Contrada: errore o destabilizzazione?
- La Nazione: Contrada indagato? DDA smentisce Tenebra.
- Il Popolo: Via D'Amelio, giallo su Contrada.
- Il Giornale: Il Procuratore Tenebra: Contrada non è indagato
per il delitto Borsellino.
- Il Giornale di Napoli: Contrada estraneo alla strage Borsellino.
- La Sicilia: Contrada indagato o no? Strage Borsellino, è giallo.
- Il Giornale di Sicilia: Contrada e l'inchiesta su Via D'Amelio - Giallo
tra smentite e nuove ipotesi.
- Il Mediterraneo: La Procura: nessuna indagine su Contrada - Smentite
da Tenebra.
(v. all. n.33)
I giorni successivi i giornali continuarono con vari articoli a pubblicare
e dare ampio risalto alle notizie in argomento, unitamente a vari servizi
trasmessi via radio e televisione.
E' inutile dire quale enorme danno, sotto ogni aspetto, mi abbia procurato
tale devastante, ingiusta campagna di stampa, e ciò nonostante
il Procuratore Capo della Repubblica di Caltanissetta avesse pubblicamente
dichiarato poi non essere vera la mia nuova iscrizione nel registro degli
indagati per la strage Borsellino, come risulta da vari articoli sopra
richiamati, nonché da un certificato rilasciato a mia richiesta
dalla Segreteria della Procura della Repubblica di Caltanissetta (v. all.
n.34).
Tale deleteria campagna di stampa, che presentava addirittura all'attenzione
dell'opinione pubblica dell'intero Paese, un dirigente generale della
Polizia di Stato e alto funzionario del Sisde, che era stato nel passato
Capo della Squadra Mobile di Palermo, Capo della Criminalpol della Sicilia,
Capo di Gabinetto dell'Alto Commissario per il coordinamento della lotta
contro la mafia, Dirigente dei Centri Sisde della Sicilia e poi del Lazio,
quale ignobile autore o mandante o comunque corresponsabile, in combutta
con la più feroce criminalità mafiosa, di una strage che
aveva stroncato la vita di un Magistrato e di giovani agenti di polizia,
deve aver provocato o scatenato la fantasia delirante o mitomania di tale
ELMO Francesco, a me sconosciuto e di cui non so nulla, comunque persona
soggetta alla tutela del Servizio Centrale Protezione, cioè collaboratore
di giustizia, dal 6.5.1996, come da lui affermato.
Qualora si dovesse ritenere che le sue propalazioni, di cui si dirà
di qui a poco, non derivino da delirio o mitomania, si dovrebbe dedurre
che esse gli siano state ispirate o suggerite d qualcuno, mosso da inconfessabili
intendimenti, ma comunque riconducibili alla regia di un piano di depistaggio
di indagini, di destabilizzazione, di attacco alla mia persona.
Il predetto Elmo Francesco in tre interrogatori resi a diversi Magistrati,
appresso indicati, tra gennaio e giugno del 1997, ha dichiarato, per quanto
riguarda me:
1- Interrogatorio del 23.1.1997 - Sost. Proc. Naz. Antimafia dr. C. Petralia,
Sostt. Procc. Rep. di Caltanissetta, dott.ri A. Palma e A. Di Matteo:
- di avermi visto in Via Bandiera a Palermo, nelle adiacenze di una sede
"coperta" del Sisde, in una circostanza in cui Piazza Emanuele
mi consegnava una busta di colore giallo, che poco prima gli era stato
consegnata, in sua presenza, dall'avv. Michele Papa di Catania (v. all.
n.35). Inutile dire che non ho mai visto il Piazza e il Papa, anche se
so chi erano. Quindi, il fatto narrato da Elmo non è vero.
2- Interrogatorio del 2 giugno 1997 - Proc. Agg. Rep. di Caltanissetta,
dott. P. Giordano, Sost. Proc. D.N.A., dott. Carmelo Petralia, Sost. Proc.
Rep. D.N.A., dott. P. Grasso, Sostt. Procc. Rep. D.D.A. di Palermo, dott.ri
R. Scarpinato e A. Ingroia:
- che io ero stato l'organizzatore dell'attentato all'Addaura a giugno
1989, e che avevo dato incarico di piazzare l'esplosivo ai miei uomini
più fidati: Piazza e Agostino. E ciò avrei fatto con uomini
più importanti di Roma, come per esempio il Capo della Polizia
Prefetto Vincenzo Parisi;
- che tali notizie le aveva apprese da tale Giuseppe Di Maggio, agente
dei servizi segreti, mio stretto collaboratore;
- che il movente dell'attentato era da ricercarsi nel fatto che il dott.
Falcone e la dott.a Carla Del Ponte stavano conducendo indagini in ordine
a una illecita costituzione di capitali in Svizzera, riconducibili ad
elementi del Sisde e al riciclaggio di denaro della mafia;
- che aveva saputo, sempre dal Di Maggio, che il dott. Giammanco era diventato
il capo della "struttura" a Palermo dopo il mio trasferimento
a Roma;
- che il 19 luglio 1992 mi aveva visto in Via D'Amelio subito dopo la
deflagrazione della bomba che aveva provocato la morte del dott. Borsellino
e della sua scorta e che, nel momento in cui mi aveva visto, non era ancora
intervenuta la polizia sul posto, essendo la prima Volante giunta un attimo
dopo (v. all. n.36).
3- Interrogatorio del 2 luglio 1997 - Sost. Proc. Naz. Antimafia dott.
Carmelo Petralia, applicato alla D.D.A. di Caltanissetta:
- a richiesta del P.M., ha spiegato per quali motivi si era trovato il
19 luglio 1992 in Via D'Amelio, subito dopo l'esplosione, e quindi le
circostanze in cui mi aveva visto in quel posto; ha detto, cioè,
che doveva incontrarsi nel pomeriggio di quel giorno con un usuraio al
quale doveva del denaro; ha narrato come ero vestito e con quale autovettura
ero giunto sul luogo della strage o dal quale mi stavo allontanando; ha
precisato che io avevo in mano "qualcosa" e che i nostri sguardi
si erano incrociati;
- ha aggiunto che si era incontrato con me perlomeno venti o trenta volte
(v. all. n.37).
Ogni commento sul racconto di Elmo è inutile.
Dopo qualche giorno da quest'ultimo interrogatorio, cioè il 5 luglio
1997, alla presenza dei Sostt. Procc. Rep. di Palermo, dott.ri Ingroia,
Gozzo e Amelio, del Sost. Proc. Naz. D.N.A. dott. C. Petralia e del Sost.
Proc. Rep. di Caltanissetta dott. A. Di Matteo, si svolse un confronto
tra Elmo e Narracci Lorenzo.
Il dott. Lorenzo Narracci, già ufficiale dei Carabinieri, è
un funzionario del Sisde che era stato per alcuni anni un mio stretto
collaboratore a Roma e poi, nel 1991, era stato trasferito a Palermo quale
vice capo Centro Sisde.
Quando Elmo parlava di quell'uomo dei Servizi con il quale aveva avuto
rapporti, e che lui conosceva col nome di Giuseppe Di Maggio, intendeva
riferirsi al dott. Narracci, perché, mostrategli immagini fotografiche
e filmate di quest'ultimo, aveva riconosciuto in esse le sembianze del
sedicente Di Maggio Giuseppe.
Avendo evidentemente il dott. Narracci dichiarato ai Magistrati di non
conoscere e di non aver mai quindi avuto alcun rapporto con l'Elmo, si
procedette al confronto. Elmo dichiarò che il dott. Lorenzo Narracci
non era l'individuo da lui conosciuto sotto il nome di Giuseppe Di Maggio
(v. all. n.38).
Elmo aveva riferito del Di Maggio Giuseppe, alias Lorenzo Narracci: era
stato lui a dirgli che io avevo organizzato l'attentato all'Addaura, avvalendomi
per l'esecuzione del delitto di due miei uomini fidati, Piazza e Agostino:
che si era con lui lamentato del fatto che io gli "avevo fatto fare
cose particolari per cui si sentiva quasi lo scrupolo, come una responsabilità
morale di quello che era successo " , e ciò riguardo alla
strage di Capaci (v. verb. interr. 2.6.1997 - all. n.36.
Il 1° agosto 1997, Elmo venne interrogato dal Procuratore della Repubblica
di Trapani dott. G. Garofano e dal Sost. Proc. Rep. di Trapani dott. A.
Tarando. L'argomento era il traffico e il riciclaggio di scorie chimiche
e radioattive. Nell'occasione Elmo parlò anche di me e del dott.
Lorenzo Narracci. Dopo aver premesso che il mese precedente aveva fatto
un confronto con il dott. Narracci e non aveva in lui riconosciuto il
Giuseppe Di Maggio, ha riferito che quella persona con la quale era stato
posto a confronto, cioè il dott. Lorenzo Narracci, l'aveva vista
il 19 luglio 1992, in Via D'Amelio, alla guida della mia auto, nelle circostanze
da lui riferite nei verbali precedenti. Ha aggiunto che nei mesi di giugno-luglio
1992 aveva visto il dott. Narracci in compagnia di appartenenti alla famiglia
mafiosa palermitana di Passo di Rigano (v. all. n.39).
In data 11 settembre 1997, i PP.MM. dott.ri C. Petralia e A. Di Matteo,
della Procura della Repubblica di Caltanissetta, hanno interrogato il
m.llo Giuseppe Ciuro della D.I.A. e gli hanno chiesto se era vero ciò
che aveva riferito Elmo, cioè che si trovava in Via D'Amelio subito
dopo l'esplosione (pochi minuti dopo l'esplosione), e di aver visto anche
lui in quella circostanza, in quel momento, il dott. Contrada e il dott.
Narracci.
Il m.llo Ciuro ha smentito l'Elmo, riferendo ai Magistrati che, quando
aveva appreso della strage, verso le ore 17,30 del 19 luglio 1992, si
trovava ad Altavilla Milicia, in un villino di amici in località
S. Onofrio. Ha aggiunto di avermi visto successivamente, una volta recatosi
sul posto della strage, dopo essere tornato da Altavilla a Palermo, e
dopo essere passato per casa sua, e dopo essere stato nella sua caserma
di Via Cavour: cioè, dopo alcune ore dall'avvenuta deflagrazione.
Cosa possibile, essendomi anche io recato in serata in Via D'Amelio, come
dettagliatamente riferito al P.M. Petralia in data 12 aprile 1994 (v.
verb. interr. Ciuro dell'11.9.1997, e verb. interr. Contrada del 7.4.1994
- allegati nn. 40 e 18).
Dopo le dichiarazioni dei Elmo Francesco sulla mi presunta presenza in
Via D'Amelio al momento della strage, la Procura della Repubblica di Caltanissetta
(Sost. Proc. Rep. dott. A. Di Matteo) convocò nuovamente, il 21
novembre 1997, il magg. CC. Umberto Sinico.
Il Magistrato - dopo avere rappresentato all'ufficiale "che la necessità
di approfondire tutti gli accertamenti sul punto si appalesa ulteriormente
anche in ragione di nuovi elementi che sembrerebbero ribadire la veridicità
di quanto rappresentatogli dal suo amico" (è chiaro che intendeva
riferirsi a ciò che aveva detto Elmo), lo invitò a fare
il nome della persona dalla quale aveva appreso la notizia della mia presenza
in Via D'Amelio.
Il magg. Sinico ribadì quanto dichiarato cinque anni prima, cioè
l'11 e il 20 dicembre 1992, in ordine alla mia presenza sul luogo della
strage, e non volle rivelare il nome del suo informatore "per una
questione di rispetto della parola che a suo tempo gli ho dato, nel senso
di impegnarmi a non rivelare a chicchessia il suo nome, per no esporlo".
Aggiunse che il suo informatore gli fece promettere di non rivelare il
suo nome, perché temeva "gli eventuali pregiudizi e pericoli
che si sarebbero potuti creare in danno della sua fonte di conoscenza",
cioè la terza persona che aveva riferito la notizia all'informatore
del magg. Sinico.
Su questo suo informatore, però, il magg. Sinico dette al magistrato
le seguenti indicazioni:
- soggetto conosciuto durante la sua permanenza per ragioni di servizio
a Palermo, con il quale si era creato un rapporto di buona conoscenza
e anche di amicizia;
- non si trattava di appartenente alle Forze dell'Ordine, ma di un impiegato
presso la Pubblica Amministrazione;
- persona assolutamente pulita e perbene, che anche in altre occasioni
gli aveva dato delle notizie suscettibili di interesse investigativo (v.
verb. interr. 21.11.,1997 - all. n. 41).
Questi dati sull'informatore forniti dal magg. Sinico al P.M. risulteranno
poi non veri, come ammesso dallo stesso ufficiale, e come emergerà
nel prosieguo della esposizione dei fatti.
Anche la "rivelazione" di Francesco Elmo (la mia presenza sul
luogo della strage Borsellino al momento della esplosione) arrivò
puntualmente alla stampa.
- L'Unità pubblicò il 3 dicembre 1997 un articolo a firma
Saverio Lodato, intitolato: " Contrada in Via D'Amelio dopo la strage
- Lo 007 fece sparire l'agenda di Borsellino? Un supertestimone accusa,
ma è giallo, i verbali sono stati rubati. Nell'articolo si riportano
le dichiarazioni di Francesco Elmo sulla mia presenza in Via D'Amelio,
prospettando anche l'ipotesi che io avessi ivi sottratto l'agenda del
giudice Borsellino.
- L'Unità del giorno successivo 4 dicembre 1997, riprese l'argomento
riferendo che il G.I.P. di Caltanissetta dott.ssa Gilda Lo Forti stava
esaminando i fascicoli dell'inchiesta sui mandanti esterni delle stragi,
nella quale io ero indagato, per decidere sulla richiesta di proroga delle
indagini.
- La Stampa di Torino riportò la notizia con un articolo: Sulla
strage di ia D'Amelio un collaboratore chiama in causa Contrada. Nell'articolo
era scritto: "Ad aggravare il già fosco quadro generale, arriva
ola testimonianza di uno strano personaggio, prima collaboratore dei servizi
segreti, poi collaboratore di giustizia. Si chiama Francesco Elmo e sostiene
di aver visto Bruno Contrada, ex numero 3 del Sisde, in Via D'Amelio il
giorno dell'attentato. Il teste mette in relazione la scomparsa di una
agenda di Borsellino con la presenza di Contrada sul luogo della strage".
- Il Giornale di Sicilia del 3.12.1997 riportò la notizia nel testo
di un articolo riguardante altri fatti: "E intanto spunta un altro
testimone che dice di aver visto lo 007 dei servizi segreti Bruno Contrada
allontanarsi in tutta fretta da Via D'Amelio subito dopo l'esplosione
dell'autobomba che dilaniò Paolo Borsellino e cinque agenti della
sua scorta". Lo stesso giornale, il 4 successivo, ritornò
sul fatto con un articolo in cui era scritto: "Intanto il G.I.P.
Gilda Lo Forti oggi esamina i quattro falconi dell'inchiesta sui mandanti
esterni alla mafia, nella quale è indagato Bruno Contrada, per
decidere sulla richiesta di proroga delle indagini. Nell'inchiesta vi
sono i verbali del teste Francesco Elmo, che ha detto di avere visto Contrada
in Via D'Amelio subito dopo l'esplosione, e atti dell'indagine su una
presunta relazione di servizio sparita, che attesterebbe la presenza dello
007 del Sisde. I verbali di Elmo erano contenuti nella borsa del P.M.
nissno Luca Tescaroli, rubata a Roma e poi ritrovata con alcuni documenti
sottratti".
-L'Indipendente del 3.12.1997: "Contrada stava indagando - Il difensore:
"gli stessi magistrati avevano chiesto il suo aiuto. Perché
ora tacciono? E' già pronta una denuncia contro il pentito"
(v. all. n.42).
La situazione era diventata ormai non più sopportabile,per lo stillicidio
continuo di notizie false e calunniose sul mo conto, provenienti non solo
da pentiti, ma purtroppo anche da appartenenti alle Forze dell'Ordine.
Notizie di cui venivo a conoscenza dalla stampa e dalla televisione, e
che mi presentavano dinanzi all'opinione pubblica come un ignobile individuo
coinvolto o addirittura responsabile di stragi efferate, con l'enorme
danno che me ne derivava, come è facile immaginare.
Pertanto, in data 12 gennaio 1998, presentai alla Procura della Repubblica
di Caltanissetta un esposto-denuncia-querela (v. all. n.43) con cui rappresentai
i comportamenti tenuti da Mutolo Gaspare, Elmo Francesco, Sinico Umberto
e Carmelo Canale, di cui ero venuto a conoscenza, oltre che dalla stampa,
anche dalla lettura del decreto di archiviazione del G.I.P. di Caltanissetta
del 7 marzo 1995 (v. all. n.20). Con tale atto era stata disposta l'archiviazione
del procedimento a mio carico, istauratosi precipuamente per le accuse
del magg. Sinico, del ten. Canale e del pentito Mutolo, in ordine alla
mia presunta presenza in Via D'Amelio al momento della esplosione dell'auto-bomba
e al mio presunto incontro a luglio 1992 con il dott. Borsellino e il
Capo della Polizia Prefetto Parisi.
Nella denunzia ribadii ancora una volta che:
- il 19 luglio 1992, di pomeriggio, nelle ore della strage, ero in alto
mare, su una imbarcazione con dieci persone;
- che né il 1° luglio, né il 16, né il 17 luglio,
né in qualsiasi altro giorno del mese di luglio del 1992 mi ero
incontrato, per appuntamento programmato o casualmente, col dott. Borsellino;
- che nel 1992 mai mi ero incontrato col Capo della Polizia Parisi;
- che mai mi ero incontrato col dott. Borsellino, insieme al Capo della
Polizia Parisi;
- che avevo saputo delle propalazioni di Mutolo nei miei confronti dopo
la strage di Via D'Amelio, ed esattamente il 26.7.1992.
Indicai elementi, circostanze, dati di fatto, testimoni, documenti a dimostrazione
e prova della verità di quanto asserito, così come avevo
già fatto il 7.4.1994, quando fui sentito dal P.M. di Caltanissetta.
dott. C. Petralia (v. all.n.18).
Con la mia denunzia chiesi il perseguimento, previo ogni ulteriore, opportuno
e utile accertamento, di tutti coloro che si erano resi responsabili di
calunnia, diffamazione, violazione del segreto investigativo, e di ogni
altro reato eventualmente commesso.
In seguito a tale mia iniziativa giudiziaria, il maggiore CC. Sinico Umberto,
in data 29 maggio 1998, fu nuovamente interrogato dal P.M. di Caltanissetta,
Sost. Proc. dott. A. Di Matteo e dal Sost. Proc. Nazionale Antimafia dott.
C. Petralia.
Nella circostanza, all'ufficiale fu reso noto dai Magistrati che il ten.CC
Canale, assunto a verbale poco prima (non sono in possesso di questo verbale),
aveva dichiarato che la persona che aveva riferito della mia presenza
in Via D'Amelio, nelle circostanze più volte riportate, era stato
il dott. Roberto Di Legami, funzionario della P.S., e che di ciò
era a conoscenza perché glielo aveva detto lo stesso Sinico.
Il magg. Sinico negò che la sua fonte fosse stato il predetto,
pur ammettendo di avere con lo stesso un buon rapporto di amicizia, e
ritenendo di aver anche a quest'ultimo confidata la notizia della mia
presenza sul luogo della strage. Ancora una volta ribadì di ritenere
suo preciso dovere morale, nonché facoltà derivante dall'art.
203 c.p.p., di non rivelare il nominativo della persona, nominativo non
rivelato a nessuno e, quindi, neanche al ten. Canale (v. all. n. 44).
Pertanto, i Magistrati sottoposero a confronto il magg. Sinico e il ten.
Canale, i quali, però, sostennero la propria versione dei fatti:
il primo negando che la sua fonte fosse stata il dr. Roberto Di Legami,il
secondo insistendo nel dire che il magg. Sinico gli aveva detto essere
appunto il Di Legami (v. verb. di confronto del 29.5.1998 Sinico-Cnale,
all. n.45).
Il magg. CC Sinico, nonostante la rilevanza e gravità della notizia
(presenza di un alto funzionario dei Servizi sul luogo della strage al
momento della deflagrazione), da lui riferita all'Autorità Giudiziaria
e ad altri Ufficiali dell'Arma, nonostante più volte sollecitato
dai Magistrati della Procura di Caltanissetta, non ha per anni, dal luglio-agosto
1992 a maggio 1998, mai voluto rivelare il nome di chi tale notizia gli
aveva dato, tra la fine di luglio e l'inizio di agosto del 1992. Anzi,
all'evidente scopo di sviare le indagini sulla sua identificazione, si
era determinato a dare false informazioni al P.M. , assumendo trattarsi
di un suo occasionale informatore, non appartenente alle Forze dell'Ordine,
impiegato dipendente da Pubblica Amministrazione, e addirittura di essere
stato lui a confidare al Di Legami la notizia della mia presenza sul luogo
della strage, come rilevasi dai verbali su richiamati.
Lo stesso giorno, 29 maggio 1998, fu interrogato a Caltanissetta dai Sostt.
Procc. Dott.ri C. Petralia , A.M. Palma e A. Di Matteo, il funzionario
di P.S. dott. Roberto Di Legami, allora in servizio alla Squadra Mobile
di Palermo.
Egli ammise di essere amico dell'allora cap. CC. Umberto Sinico e di essersi
incontrato con lui, circa dirci giorni dopo la strage Borsellino, in un
locale pubblico di Palermo, in compagnia anche del cap. CC. Raffaele Del
Sole. Nell'occasione avevano parlato della stage e delle prospettive investigative
che si presentavano. Escluse, però, con fermezza, di avere nella
circostanza, o comunque in altro momento, riferito all'ufficiale della
mia presenza non istituzionale in Via D'Amelio immediatamente dopo l'esplosione,
nonché di essere stato mai a conoscenza della soppressione di una
relazione di servizio attestante la mia presenza nel luogo della strage
(v. proc. verb. Di Legami 29.5.1998 - all. n.46).
Il 14 luglio 1998, il dott. Roberto Di Legami fu nuovamente interrogato
a Caltanissetta dai Sostt. Procc. Rep. dott. A Di Matteo e dott.a A.M.
Palma. In questa occasione fu interrogato, però, quale persona
sottoposta alle indagini per il reato di cui all'art. 371 bis c.p., perché
"sentito nella sua qualità di persona informata dei fatti,
nell'ambito di procedimento penale, lo scorso 29.5.1998, richiesto da
noi di fornire informazioni ai fini delle indagini sulla strage di Via
D'Amelio, rendeva delle dichiarazioni che noi riteniamo false, affermando
di non avere mai parlato con il cap. CC. Umberto Sinico, della presenza,
chiamiamola così, non istituzionale del dott. Contrada in Via D'Amelio,immediatamente
dopo l'esplosione dell'autobomba".
Il dott. Roberto Di Legami negò recisamente l'addebito. Affermò
che mai aveva appreso da altri della mia presenza in Via D'Amelio, che
mai aveva riferito siffatta cosa al magg. Sinico o ad altre persone, che
mai aveva parlato col magg. Sinico o con altri di me, che non mi aveva
conosciuto né mai visto, e che soltanto nel dicembre 1992, per
le mie vicende giudiziarie, aveva sentito parlare di me. Il dott. Di Legami
continuò a negare decisamente anche quando i Magistrati inquirenti
gli resero noto che tre ufficiali dei Carabinieri, il magg. U. Sinico,
il magg. R. Del Sole e il ten. C. Canale, lo avevano indicato come colui
che li aveva informati della mia presenza sul luogo della strage e della
soppressione della relazione di servizio redatta dagli Agenti che ivi
mi avrebbero identificato.
Infatti, il magg. Sinico, finalmente il 6 giugno 1998, si era deciso a
rivelare ai Magistrati il nome di colui che gli aveva riferito la notizia
(il dott. Di Legami), ed il magg. Del Sole aveva dichiarato di essere
presente quella sera dell'incontro nel locale di Via Belmonte, quando
il dott. Di Legami aveva confidato al magg. Sinico, e quindi anche a lui,
che era lì con loro, di aver saputo della mia presenza in Via D'Amelio.
Da parte sua, il ten. Canale aveva riferito il 29.5.1998, ai PP.MM. di
Caltanissetta che aveva saputo dal magg. Sinico che la persona che gli
aveva riferito la notizia della mia presenza in Via D'Amelio era appunto
il dott. Di Legami.
Le dichiarazioni rese dal dott. Di Legami sono contenute nel verbale in
forma riassuntiva e nell'unito verbale di trascrizione integrale dell'interrogatorio
del 14 luglio 1998 (v. all. n.47).
Il cap. CC. Raffaele Del Sole (nell'estate del 1992 aggregato alla Sezione
Anticrimine del Comando Prov. dei CC. di Palermo e, alla data del 31 luglio
1998, Com.t della Sezione Anticrimine del R.O.S. di Reggio Calabria) il
31 luglio 1998 rese dichiarazioni al P.M. di Caltanissetta, dott. Di Matteo,
e, dopo aver chiarito di essere collega e amico del magg. Sinico, nonché
di conoscere bene il dott. Roberto Di Legami, già sottoufficiale
dei CC. e, nel 1992, funzionario di P.S. in servizio alla Squadra Mobile
di Palermo, ha rivelato il nome di chi, pochi giorni dopo la strage del
19.7.1992, aveva dato la notizia della mia presenza in Via D'Amelio, notata,
rilevata e documentalmente accertata: il funzionario di Polizia dott.
Roberto Di Legami.
Evidentemente, questo nome lo aveva in precedenza già fatto ai
Magistrati, in quanto, nel corso dell'interrogatorio del Di Legami del
14 luglio 98, i PP.MM. avevano contestato al funzionario di P.S. che anche
il magg. Del Sole lo aveva indicato quale fonte della notizia.
Dichiarò, infatti:
- che, dieci-quindici giorni dopo la strage (quindi, tra la fine di luglio
e gli inizi di agosto del 1992), si trovavano insieme in un ristorante
di Via Principe Di Belmonte a Palermo, lui, il cap. Sinico e il dott.
Roberto Di Legami;
-che, in quella occasione, il Di Legami aveva fatto la confidenza: aveva
saputo che il dott. Contrada era in Via D'Amelio "immediatamente
dopo la esplosione". Lo aveva appreso da "qualche suo dipendente"
che, a sua volta, l'aveva appreso da "una pattuglia della Polizia
intervenuta immediatamente sul posto";
- che tale notizia poco dopo era stata portata a conoscenza del Sost.
Proc. dott. Ingroia e che, in tale circostanza, probabilmente era lui
stesso (Del Sole) presente;
- che era stato presente ad un incontro tra Sinico e Di Legami e che in
tale occasione il primo aveva chiesto al secondo se era il caso di rivelare
la fonte originaria della notizia, ricevendone risposta negativa, sia
perché non c'era l'assenso di quest'ultima, sia, soprattutto, perché
riteneva che si trattasse di una notizia priva di fondamento;
- che, all'epoca (cioè, subito dopo la strage), c'era il m.llo
Canale che "era molto accanito nei confronti del dott. Contrada,
nei discorsi che andava facendo lo riteneva quasi coinvolto nei fatti!".
Quanto sopra è contenuto nel verbale delle informazioni testimoniali
rese dal cap. CC. Del Sole alP.M. in data 31.7.1998 (v. all. n.48 e 49).
In data 26 gennaio 1999, la Procura della Repubblica di Caltanissetta
(Sostt. Procc. Rep. dott.ri A.M. Palma e A.Di Matteo), data la discordanza
delle dichiarazioni rese, da una parte dagli ufficiali CC Sinico e Del
Sole, e dall'altra, dal funzionario P.S. Di Legami, dispose confronti
tra i predetti.
L'esperimento non ebbe alcun risultato, poiché tutti confermarono
le dichiarazioni precedentemente e rispettivamente rese (v. verbali confronto
Sinico-Di Legami e Del Sole-Di Legami, 26.1.99 - allegati nn.50 e 519.
Il magg. CC. Sinico, quando fu interrogato dai Magistrati di Caltanissetta,
il 20 dicembre 1992 dichiarò: "Ribadisco, inoltre, che il
mio amico mi ha riferito che la presenza di Contrada è stata notata
dal personale della prima "Volante" intervenuta sul luogo della
strage" (v. all. n.2).
L'ufficiale, nel precedente interrogatorio dell'11 dicembre 1992, aveva
infatti dichiarato: "E' vero che ho detto al dott. Ingroia di aver
saputo che la prima "Volante" della Polizia sopraggiunta in
Via D'Amelio pochissimo tempo dopo l'esplosione avrebbe fermato e generalizzato
una persona che si trovava sul posto e rispondente al nome di Bruno Contrada.
Di questa persona sarebbero stati esaminati proprio i documenti di identità.
Confermo di aver detto al dott. Ingroia che di tali accertamenti il personale
della "Volante" avrebbe redatto una nota di servizio" (v.
all. n.1).
L'equipaggio della "Volante" della Polizia, che, trovandosi
nei pressi del luogo della strage, era per prima intervenuta, è
stato accertato essere composto da:
- l'Ispettore P.S. Alberghino Vincenzo;
-l'Agente sc. P.S. Compagno Rosario;
- l'Agente sc. P.S. Poliacheni Vincenzo.
I tre, interrogati il 26 gennaio 1999 dal Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta
dott. A. Di Matteo, hanno concordemente, decisamente e inequivocabilmente
dichiarato che:
- erano stati i primi ad intervenire sul posto nella immediatezza della
strage, perché si trovavano in servizio a breve distanza;
- non avevano notato la presenza del dott. Contrada sul posto, né
avevano visto alcuna persona allontanarsi;
- non avevano, quindi, redatto alcuna relazione di servizio attestante
la rilevata presenza sul posto del dott. Contrada e la sua identificazione
previa richiesta dei documenti;
- avevano redatto una relazione di servizio circa il loro intervento sul
luogo della strage, consegnata, poi, al rientro, all'Ufficio da cui dipendevano;
- non avevano mai detto ad alcuno di aver visto il dott. Contrada in Via
D'Amelio o nei pressi, né da alcuno avevano mai saputo una siffatta
cosa;
- mai nessuno dei loro superiori aveva loro chiesto notizie dell'eventuale
presenza del dott. Contrada sul luogo della strage (v. allegati nn. 52,53
e 54).
Analoghe dichiarazioni ha reso al P.M. di Caltanissetta il 26 gennaio
1999 l'atro Ispettore P.S., Almetta Roberto, intervenuto sul posto della
strage con il suo equipaggio subito dopo l'arrivo della "Volante
21", composta dal personale sopra nominato (v. all. n.55).
Tutti i predetti erano stati già assunti a verbale dai Magistrati
di Caltanissetta il 1992 (evidentemente, sin da allora erano state poste
loro le stesse domande, in seguito alla notizia riferita dal magg. Sinico
circa la mia presenza e identificazione sul luogo della strage). Allora
avevano riferito le stesse cose, poi confermate nei verbali del 26 gennaio
1999.
Il 14 dicembre 1999, veniva nuovamente interrogato dal P.M. di Caltanissetta
(dott.a A.M. Palma) Elmo Francesco, il quale dichiarò di avere
inviato a gennaio e agosto 1999 al Sost. Proc. Rep. di Caltanissetta,
dott. A. Di Matteo, a al Procuratore Repubblica di Trapani, due memoriali
con i quali, a suo dire, " mi sono sforzato di fornire tutti gli
elementi che ritengo possano essere utilmente valorizzati a conferma delle
mie dichiarazioni, ed in particolare di quelle riguardanti la presenza
da me constatata dal dr. Bruno Contrada in Via D'Amelio a distanza di
qualche minuto dalla deflagrazione del 19 luglio 1992" (v. all. n.
56).
Non ho saputo nulla dell'inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica
di Caltanissetta, in seguito e inesito alla ia denunzia del 18.1.1998
sino al 14 marzo 2000 giorno in cui il Giornale di Sicilia pubblicava
un articolo, siglato G.M. , intitolato. " Su Contrada ha detto il
falso ai PP.MM. - Un poliziotto indagato a Caltanissetta - L'ex numero
3 del Sisde era in Via D'Amelio dopo la strage? Due carabinieri: "ce
lo disse un suo collega". Che però nega"
Il giorno dopo, 15 marzo 2000, l'argomento è stato ripreso dallo
stesso Giornale di Sicilia e dal quotidiano locale Oggi Sicilia (v. asll.
n.57).
Il 26 maggio 2000, mi è stato notificato l'avviso della richiesta
di archiviazione dle procedimento penale n°102/98 nei confronti di
Mutolo Gaspare e altri, fatta l'11.5.2000 dal P.M. di Caltanissetta, dott.
A.M. Palma (v. all. n.58).
Presa visione del provvedimento, ho rilevato che la richiesta di archiviazione
per Elmo Francesco, indagato per il reato di calunnia ex art. 368 c.p.,
era così motivata:
"
In merito ,poi, alle dichiarazioni rese da Elmo, che oggettivamente
considerate, sia per la tardività delle stesse sia per l'inverosimiglianza
di alcune circostanze, potrebbero indurre ad ipotizzare il rato di calunnia,
si rileva che tale certezza di risultato è messa in dubbio proprio
dalla contestuale acquisizione di elementi concernenti l'asserita presenza
in Via D'Amelio del dott. Contrada, provenienti da fonti diverse (magg.
Sinico, magg. Del Sole)" (v. rich. archiv. pag.3 - all. n.59).
Per quanto riguarda il magg. CC Umberto Sinico, la richiesta di archiviazione
è stata motivata dalla "insussistenza di un dolo di calunnia"
in quanto l'Ufficiale "ha rilevato la fonte dell'acquisita notizia
relativa alla presenza sul luogo della strage del dott. Contrada, ed in
tal senso la sua dichiarazione è stata riscontrata da quella di
identico contenuto resa dal magg. Del Sole" (v. rich. archiv. pagg.
2-3-all.n.59).
In proposito, non si può non rilevare che le dichiarazioni di Elmo
non solo sono tardive e inverosimili, ma incontestabilmente false, menzognere,
calunniose e addirittura farneticanti. Ciò è stato dimostrato
e provato non solo da me (al momento della strage ero lontano, in alto
mare, con dieci persone), ma accertato dalle indagini svolte da più
Magistrati, dal 1992 ad oggi.
D'altra parte, non si può sostenere che la menzogna calunniosa
di Elmo non sia più tale, perché la medesima menzogna calunniosa
è stata prima riferita e propalata dagli ufficiali Sinico e Del
Sole, o dal funzionario di P.S. Di Legami, o da altri.
Chiunque abbia detto che io reo in Via D'Amelio il 19 luglio 1992 al momento
o subito dopo la deflagrazione, ha mentito.
Si pone, inoltre, l'ineludibile interrogativo: perché indagare
sulle dichiarazioni di Sinico, Del Sole, Calnale, Elmo, Di Legami, Agenti
della Volante, e di altri, per accertare se io fossi lì, in Via
D'Amelio, mentre scoppiava la bomba o qualche momento prima o dopo, se
era già stato accertato in modo incontrovertibile e sicuro che
io a quell'ora, da molto tempo prima e molto tempo dopo la deflagrazione,
ero lontano, in alto mare, su una barca con dieci persone?
Lo scopo dell'indagine sarebbe potuto essere solo quello di individuare
chi per primo avesse mentito o diffusa la menzogna, e non certo quello
di stabilire se io ero lì o altrove, se già era stato accertato
che ero altrove.
Per quanto riguarda, infine, il ten. CC Carmelo Canale e il pentito Gaspare
Mutolo, la richiesta di archiviazione è stata motivata dal fatto
che "non è possibile espletare attività di riscontro
a causa del decesso dei testi chiave, e cioè del dotto. Borsellino
e del Capo della Polizia di Stato Prefetto Parisi", e che tutte le
indagini svolte non hanno consentito di acquisire alcun elemento utile
a riscontrare l'asserito carattere calunnioso e diffamatorio delle dichiarazioni
rispettivamente rese dal Mutolo e dal Canale, smentendole sulla loro essenza"
(v. rich. arch. pag.2- all.n.59).
Nel provvedimento si fa cenno "ad un separato procedimento penale
che, a seguito dell'istruzione espletata, è stato definito con
richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di un funzionario della Polizia
di Stato" (evidentemente il dott. Roberto Di Legami - v. rich. archiv.
pag.2 all. n.-59).
Ho saputo successivamente che, appunto il dott. Di Legami era stato rinviato
a giudizio per il reato di false dichiarazioni a P.M. (art. 371 c.p.)
perché, "sentito nella sua qualità di persona informata
dei fatti nell'ambito di procedimento penale, richiesto dal P.M. di fornire
informazioni ai fini delle indagini, rendeva dichiarazioni false, e affermato
di non avere mai parlato con il cap. CC. Umberto Sinico della presenza
"non istituzionale" del dott. Contrada in Via D'Amelio immediatamente
dopo l'esplosione dell'autobomba, e taciuto ciò che sapeva in relazione
ai fatti sui quali veniva sentito".
Di tale processo e dell'esito di esso si tratterà più avanti.
In data 5 giugno 2000, ho proposto al G.I.P. di Caltanissetta opposizione
avverso la richiesta di archiviazione del P.M. (dott. A. M. Palma) dell'11.5.2000,
chiedendo la prosecuzione delle indagini preliminari.
A sostegno dell'opposizione ho richiamato gli esiti delle indagini svolte
dalla stessa Procura di Caltanissetta sino alla data dell'11.5.2000 e,
specificamente:
- gli accertamenti svolti in ordine alla presunta mia presenza in Via
D'Amelio al momento della strage, che hanno portato al risultato della
infondatezza e falsità della notizia propalata dal magg. Sinico
o dal dott. Di Legami e da Elmo Francesco, in un momento successivo;
- gli accertamenti svolti in ordine al presunto mio incontro col dott.
Borsellino, da solo o con il Capo della Polizia, che hanno portato al
risultato della infondatezza e falsità della notizia propalata
dal ten. CC. Carmelo Canale e da Mutolo Gaspare;
- gli accertamenti svolti in ordine al momento e alle circostanze in cui
sono venuto a conoscenza, per la prima volta, delle accuse che aveva enunciato
o preannunciato nei miei confronti il collaborante Mutolo Gaspare al dott.
Borsellino (v. all. n.60).
Mentre ero in attesa della decisione del G.I.P. di Caltanissetta sulla
richiesta di archiviazione del P.M. della mia denunzia del 18.1.1998 e
dell'atto di opposizione a tale archiviazione, la vicenda giudiziaria
ha avuto un ulteriore sviluppo.
Infatti, in data 10 ottobre 2000 il quotidiano La Stampa di Torino ha
pubblicato una rticolo, a firma Guido Ruotolo, intitolato "Fallito
attentato a Falcone, sospetti su Contrada" (v. all. n.63).
Nell'articolo sono riportate testualmente alcune gravissime accuse coinvolgenti
la mia persona, enunciate dal P.M. Sostituto Procuratore della Repubblica
dott. Luca Tescaroli, nel corso della sua requisitoria nel processo clebrato
dinanzi la Corte di Assise di Caltanissetta per l'attentato del 21 giugno
1989 nella villa dell'Addaura di Palermo in danno del dott. Giovanni Falcone.
Nel processo in argomento erano imputato: Salvatore Riina, Antonino Madonna,
Salvatore Biondino, Francesco Onorato, Giovanbattista Ferrante, Vincenzo
e Angelo Galatolo, i primi cinque condannati a varie pene detentive, gli
ultimi due assolti.
Nel procedimento penale io non ero imputato, né sono stato mai
indagato o interrogato in ordine all'episodio criminoso quale indiziato,
testimone, persona informata dei fatti o a qualsiasi altro titolo.
Nell'articolo di che trattasi sono riportate, tra virgolette, alcune espressioni
pronunziate dal dott. Tescaroli nei miei confronti, cioè: "E'
giocoforza ritenere che le accuse nei confronti del dott. Contrada si
collochino, a pieno titolo, nel contesto ideativi dei tre delitti: l'Addaura,
la strage di Capaci e quella di Via D'Amelio", e poi, "prende
corpo, pertanto, la tesi che il fallito attentato all'Addaura sia stato
posto in essere anche per condizionare le dichiarazioni di accusa nei
confronti di Bruno Contrada" E ancora: "Mutolo segnalò
a Falcone che era in possesso di conoscenze relative a rapporti intercorrenti
tra alcuni funzionari e, quindi, il dott. Contrada, e appartenenti a Cosa
Nostra. Dopo la strage di Capaci, Mutolo viene sentito da Paolo Borsellino
e, nel suo primo interrogatorio, racconta dell'incontro con Falcone. Mentre
stava interrogando Mutolo, Borsellino viene chiamato al Viminale e, una
volta al Ministero, trova il Capo della Polizia Parisi e il dott. Contrada"
In proposito il giornalista Ruotolo ha scritto nel suo articolo che "il
dott. Contrada, nella requisitoria Tescaroli, è chiamato in causa
anche per le stragi di Capaci e di Via D'Amelio".
In sintesi, dalla lettura del servizio giornalistico de La Stampa, si
evinceva senza ombra di dubbio che io venivo indicato, additato e accusato
quale responsabile delle tre stragi. Ancora una volta, e questa volta
da un Magistrato nel corso di un processo in cui ero del tutto estraneo.
A questo punto, ho ritenuto necessario verificare l'esattezza delle notizie
riportate dalla stampa con l'acquisizione e la lettura della requisitoria
scritta del P.M. dott. Luca Tescaroli, depositata alla Corte di Assise
di Caltanissetta nel corso del dibattimento per l' attentato all'Addaura,
così intitolata: "N.298/93 R.G.N.R. - N.23/98 R.C. Assise
- Luca Guido Tescaroli Proc. Sost. Appl.to - Fallito attentato all'Addaura
del 20 giugno 1989. Prolusione. L'individuazione della strategia criminale
destabilizzante nella quale il fallito attentato si inserisce. Il movente".
Le pagine 136-181 dell'elaborato trattano le vicende e le indagini in
ordine al riciclaggio del denaro provento del traffico di stupefacenti,
le rogatorie del dott. Falcone in Svizzera nel 1898, la fuga e latitanza
dell'industriale bresciano Oliviero Tognoli, la presenza a Palermo nel
giugno 1898 dei magistrati svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lhemann,
le accuse del collaborante Gaspare Mutolo nei confronti di uomini delle
istituzioni (tra cui il magistrato Signorino e il funzionario P.S. Contrada)
e altri argomenti connessi.
In particolare, a pag.173 della menzionata requisitoria, è scritto:
"Orbene, ci si deve chiedere allora se possa esistere un unico filo
conduttore che accompagna i tre episodi stragisti dell'Addaura, di Capaci
e di Via D'Amelio, vale a dire se nel contesto ideativi sia dato individuare
un minimo comune denominatore rappresentato dal proposito di incidere
sulle dichiarazioni di accusa nei confronti di Bruno Contrada. E infatti,
come si è già detto, le accuse del Tognoli non venivano
mai formalizzate e quelle di Mutolo venivano notevolmente ritardate nel
tempo. Si tratta di dati che non possono trovare una adeguata giustificazione
nella mera accidentalità. E' gioco forza ritenere, perciò,
che le accuse nei confronti del dott. Contrada si collochino, a pieno
titolo, nel contesto ideativi dei tre delitti: è dato inferire
una comune finalità preventiva nell'eliminazione di questi obiettivi
di questi fatti stragisti: neutralizzare o, comunque, condizionare le
fonti di accusa nei confronti del dott. Contrada, colpendo gli interlocutori
istituzionali deputati o comunque nelle condizioni di creare le basi per
la rituale acquisizione di quegli elementi di accusa. E' peraltro evidente
che siffatta ipotesi investigativa accreditata dalle suddette risultanze
probatorie, se, per un verso, dovrà essere ulteriormente approfondita
nell'ambito di separato procedimento, dall'altro consente di arricchire
la causale dell'assassinio del dott. Falcone" (v. all. n.65).
Contestualmente, venivo a conoscenza che di recente era stato messo in
vendita un libro dalla "Rubbettino Editore" con sede a Soveria
Mannelli (Cosenza) dal titolo "Perché fu ucciso Giovanni Falcone"
autore Luca Tescaroli, sostituto procuratore della Repubblica di Caltanissetta
(v. all. n.64).
L'autore è stato P.M. nel processo celebratosi a Caltanissetta
per la strage di Capaci (23.5.1992) sia in primo grado conclusosi con
sentenza del 26.9.1997, sia in appello, conclusosi con sentenza del 7.4.2000,
nonché nel processo terminato a ottobre 2000 per l'attentato all'Addaura.
Il volume in argomento riporta la requisitoria pronunciata dal dott. Luca
Tescaroli, nel corso delle udienze del 26-28 gennaio e 2 febbraio 2000,
quale rappresentante del Procuratore Generale di Caltanissetta, nel processo
dinanzi la Corte di Assise di Appello.
In detto processo erano imputati, in numero di 41, i componenti della
cosiddetta "Commissione Regionale", quasi tutti i condannati,
e, di essi, 30 all'ergastolo.
Le pagg. da 50 a 79 del libro del dott. Tescaroli sono dedicate ad un
capitolo così intitolato: "L'ulteriore concausa di natura
preventiva dell'eliminazione di Giovanni Falcone: impedire la formalizzazione
delle accuse di collusione nei confronti del funzionario di polizia Bruno
Contrada da parte di Oliviero Tognoli, prima, e di Gaspare Mutolo, poi".
Il Tescaroli, dopo aver riportato nel libro alcuni brani delle testimonianze
rese nel corso del processo in questione da Carla Del Ponte (18.3.1999)
Clemente Gioia (18.3.1999), Giuseppe Ayala (11.10.1999), Francesco Onorato
(16.3.1999), Gaspare Mutolo (21.3.1996), Giovanni De Gennaro (15.11.1999),
ha delineato in termini chiari ed univoci l'ipotesi della mia responsabilità
o corresponsabilità non soltanto nella strage di Capaci, ma anche
in quella di Via D'Amelio e nell'attentato dell'Addaura.
Si legge, infatti, a pag. 78 del volume: "Prende corpo, pertanto,
l'ipotesi che esista un filo conduttore che accompagna i tre episodi stragisti
dell'Addaura, di Capaci di Via Mariano D'Amelio: di incidere sulle dichiarazioni
di accusa nei confronti di Bruno Contrada. Un obiettivo che, di fatto,
è stato raggiunto dal momento che le accuse di Tognoli non venivano
mai formalizzate, avendo nel corso del mese di maggio 1989, fornito una
versione diametralmente diversa sulle modalità della sua fuga,
e quelle di Mutolo notevolmente ritardate nel tempo. Si tratta di molteplici
coincidenze che non possono trovare un'adeguata giustificazione nella
mera accidentalità. E' gioco forza ritenere, infatti, che le accuse
nei confronti del dott. Bruno Contrada si collochino, a pieno titolo nel
contesto ideativi dei tre delitti, in quanto è dato inferire una
comune finalità preventiva sull'eliminazione degli obiettivi dei
fatti stragisti che ci occupano: neutralizzare o, comunque, condizionare
le fonti di accusa nei confronti del dott. Contrada, colpendo gli interlocutori
istituzionali deputati o, comunque, nelle condizioni di creare le basi
per la rituale acquisizione di quegli elementi di accusa".
Come si evince dalla lettura dei passi su riportati delle requisitorie
di gennaio-febbraio 2000 (processo appello strage di Capaci) e di ottobre
2000 (processo attentato Addaura), di analogo e identico tenore, il libro
"Perché fu ucciso Giovanni Falcone" è stato edito
e diffuso (maggio-giugno 2000) nel periodo intercorrente tra le requisitorie
medesime. In esso è trascritta la parte della requisitoria concernente
me, già pronunziata nel processo conclusosi a febbraio 2000,nonché
la parte della requisitoria, sempre concernente la mia persona, che sarebbe
poi stata detta e scritta a ottobre 2000, nel processo dell'Addaura.
Il libro, mentre della prima ha diffuso il testo, della seconda ha invece
preannunciato il testo stesso, cioè, prima che venisse fatta in
sede dibattimentale (ottobre 2000).
Da quanto sopra enunciato dal Sost. Proc. Rep. dott. Tescaroli nelle requisitorie
al processo per la strage di Capaci e per l'attentato all'Addaura, riportate
nelle indicate pagine del libro, io mi sarei reso responsabile o corresponsabile,
o avrei avuto comunque una parte a livello ideativi volitivo od organizzativo,
in crimini efferati, e precisamente:
a) nell'attentato all'Addaura del 21.6.1989, tendente all'eliminazione
fisica del giudice Falcone e dei magistrati e funzionari svizzeri, nonché
di altre perone eventualmente presenti sul luogo della deflagrazione,
onde impedire che Oliviero Tognoli formalizzasse l'accusa che avrebbe
rivolto al dr. Contrada di averlo favorito per sottrarsi nel 1984 alla
cattura;
b) nella strage di Capaci del 23.5.1992, in cui persero la vita il dott.
Falcone, la consorte e tre agenti di polizia, per impedire o ritardare
la formalizzazione delle accuse di collusione con la mafia rivoltegli
dal collaborante Mutolo Gaspare;
c) nella strge di Via D'Amelio del 19.7.1992, in cui rimasero uccisi il
giudice Borsellino e cinque agenti di polizia, per lo stesso motivo di
cui sopra al punto b).
Il dott. Tescaroli, nell'enunciare siffatte incredibili e gravissime ipotesi
accusatorie, nelle requisitorie pronunziate nel corso del processo per
la strage di Capaci e per l'attentato dell'Addaura, e riportate poi nel
libro "Perché fu ucciso Giovanni Falcone", non ha considerato
e valutato la fondamentale circostanza che io ero del tutto estraneo ai
due processi, non essendo né imputato né accusato di alcunché
né testimone.
Ha omesso, altresì, di considerare - e ciò vale per l'attentato
all'Addaura e per la strage di Capaci - che il Tognoli Oliviero in data
8.5.1989, cioè oltre un mese prima del rinvenimento dell'ordigno
esplosivo dinanzi alla villa del dott. Falcone, avvenuto il 21.6.1989,
aveva formalizzato l'accusa a carico di chi, in un modo o nell'altro,
l'aveva favorito nel sottrarsi all'arresto. Infatti, in sede di commissione
di rogatoria internazionale, aveva dichiarato ai Magistrati Italiani (dott.
Falcone, allora G.I. e dott. Ayala, allora P.M.), nonché a quelli
svizzeri (Lhemann e Del Ponte) che il suo amico e compagno di scuola,
funzionario di polizia a Palermo era il dott. Cosimo Di Paola e non certo
il dott. Contrada, del tutto estraneo a lui e alla sua vicenda personale
e giudiziaria, con particolare riferimento alla sua sottrazione all'arresto
del 1984 (v. all. n.66).
E' da ricordare, inoltre, che la Procura della Repubblica di Caltanissetta
(specificamente i Sostt. Procc. Rep. dott.ri Boccassini e Cardella), negli
anni 1992-1993 avevano svolto una intensa e approfondita attività
investigativa per stabilire eventuali connessioni tra l'attentato all'Addaura
e l'inchiesta giudiziari concernente il riciclaggio di droga in cui aveva
avuto un ruolo il Tognoli Oliviero,e per individuare, quindi, conseguenti
possibili responsabilità e causali del crimine.
Tale attività investigativa-giudiziaria, come del resto anche quella
precedente svolta nel 1989, nei mesi successivi al fatto criminale, ha
escluso qualsiasi, seppur ipotetica, mia responsabilità. Infine,
è da sottolineare che di recente, cioè nei giorni 29-30-31
maggio 2000, la Corte di Assise di Caltanissetta, nell'ambito del processo
n°298/93 R.G.P.M. e 22/98 r.g.c Ass. a carico di Riina Salvatore,
Biondino Salvatore, Madonna Antonino, Galatolo Vincenzo, Galatolo Angel,
Onorato Francesco e Ferrante G. Battista, imputati dell'attentato dell'Addaura
(21.6.1989), ha effettuato una rogatoria internazionale in Svizzera, nel
corso della quale sono stati interrogati il giudice svizzero Claudio Lhemann
e l'avv. Franco Giannoni, difensore del Tognoli, i quali hanno dichiarato
che il Tognoli Oliviero non ha mai fatto il nome del dott. Contrada, ma
soltanto quello del dott. Cosimo Di Paolo, quale suo amico, compagno di
scuola e funzionario di polizia a Palermo. Alla requisitoria ha partecipato
il dott. Luca Tescaroli, nella qualità di P.M. del processo in
questione" (v. allegg. nn.67 e 68).
Non si comprende, quindi, in base a quale dato di fatto, risultanza investigativa,
argomentazione logica e giuridica, il dott. Tescaroli abbia potuto enunciare
la ipotesi di una mia responsabilità nei fatti criminosi dell'Addaura
e di Capaci, che, senza motivo alcuno, avrei compiuto o contribuito in
un modo qualsiasi a compiere.
Per quanto riguarda, poi, l'altra causale enunciata dal dott. Tescaroli,
secondo cui io sarei responsabile delle stragi Falcone e Borsellino, o
avrei avuto, comunque, una parte in esse per evitare, neutralizzare o
ritardare la fonte di accusa costituita dal collaborante Mutolo Gaspare,
"colpendo gli interlocutori istituzionali deputati o, comunque, nelle
condizioni di creare le basi per la rituale acquisizione di quegli elementi
di accusa" (v. pag.78 del libro) è sufficiente leggere il
decreto di archiviazione del G.I.P. di Caltanissetta, in data 7.3.1996
(v. all. n.20), da cui risulta, con tutta evidenza che le notizie in base
alle quali ero stato allora iscritto nel registro degli indagati, si sono
rivelate del tutto infondate, false e menzognere.
Tali notizie, portate a conoscenza dell'Autorità Giudiziari, si
riferivano, come innanzi più volte rappresentato, alla presunta
rilevata presenza dello scrivente sul luogo della strage in Via D'Amelio
qualche istante dopo la deflagrazione (a quell'ora ero su una imbarcazione,
a largo della costa di Palermo, in compagnia di dieci persone tra cui
due ufficiali dei CC., come ampiamente dimostrato e provato), nonché
ad un presunto incontro a Roma tra il sottoscritto, l'allora Capo della
Polizia Prefetto Vincenzo Parisi ed il dott. Paolo Borsellino il 17.7.1992,
giorno in cui il Magistrato aveva interrogato il pentito Gaspare Mutolo
(quel giorno lo scrivente era a Palermo, in ferie, come provato con certezza
assoluta).
In merito, si richiama ancora il decreto di archiviazione del G.I.P. di
Caltanissetta del 7.3.1996, emesso su conforme richiesta del P.M., e tutti
gli altri atti e documenti di volta in volta richiamati nel corso della
esposizione dei fatti in argomento.
A questo punto, non si può non rilevare che se il dott. Tescaroli,
nell'espletamento del suo ufficio di P.M. al processo d'appello per la
strage Falcone e al processo per l'attentato all'Addaura, si è
determinato ad enunciare, in termini non equivoci, siffatte gravissime
accuse o ipotesi accusatorie sulla base della conoscenza da parte sua
della esistenza di nuova attività investigativa su elementi di
responsabilità dello scrivente, non v'è dubbio alcuno che
in tal caso sarebbe stata posta in essere una palese violazione del segreto
istruttorio o investigativo.
Se, viceversa, tale attività investigativa non esistesse, non vi
è, parimenti, dubbio alcuno che è stata realizzata una condotta
di gravità rilevante per le circostanze e le modalità di
diffusione delle accuse di responsabilità in efferati crimini,
avvenuta sia con le requisitorie in processi di risonanza ed eclatanza
straordinaria, sia con la pubblicazione di un libro destinato ad ampia
distribuzione, e ad opera di Magistrato dello stesso Ufficio Giudiziario
che ha già ampiamente accertato l'estraneità del sottoscritto
a questi e a qualsiasi altro fatto criminoso del genere.
Comunque, non risulta che io sia indagato né per l'attentato dell'Addaura
né per le stragi di Capaci e Via D'Amelio; per quest'ultima lo
sono stato per notizie non vere, false, calunniose, riferite all'A.G.,
e tali riscontrate dalla Procura e dal G.I.P. di Caltanissetta, come si
evince dal decreto di archiviazione del 7.3.1996, sopra richiamato e allegato
al n.20.
Ritornando, ora, al procedimento penale a carico del funzionario di Polizia
dott. Roberto Di Legami, di cui si è sopra fatto cenno, esso si
è concluso con sentenza n.408/05, emessa il 12.5.2005 e depositata
il 7.11.2005 del Tribunale di Caltanissetta - sezione penale in composizione
monocratica - dott. Paola Proto Pisani (v.all.n.69).
Il Di Legami è stato assolto dal reato a lui ascritto ai sensi
dell'art.530, 2° comma, c.p.p. Nella sentenza il Tribunale spiega
l'adozione della formula assolutoria perché "ritiene che all'esito
della istruttoria espletata - essendo contraddittoria la prova che sia
stato Di Legami a fornire a Sinico la confidenza circa la presenza non
istituzionale di Contrada in Via D'Amelio subito dopo l'esplosione dell'autobomba
- l'imputato debba essere assolto dal reato a lui ascritto ai sensi del
2° comma dell'art.530 c.p.p. non essendo sufficiente la prova della
sussistenza del fatto" (v. pag.19 sentenza all. n.69).
Nell'affermare che è ben lontano da me ogni intendimento critico
o polemico nei confronti della sentenza, anche per la consapevolezza di
non avere legittimazione alcuna a svolgere un'attività del genere,
non posso, però, omettere di fare alcune considerazioni, basate
su dati di fatto, utili ai fini del presente esposto-denunzia, tendente
esclusivamente ad avere giustizia.
1- La sentenza, una volta assolto il De Legami, non ha permesso di individuare
il soggetto che per primo ha diffuso la notizia calunniosa sulla mia presenza
sul luogo della strage al momento o subito dopo l'esplosione: calunnia
di estrema gravità, dalle imponderabili conseguenze, di eclatanza
straordinaria, deleteria e devastante, considerato anche le funzioni che
all'epoca rivestivo negli appartai informativi e di sicurezza (SISDe).
Notizia che, diffusa negli ambienti giudiziari nisseni e palermitani,
ha avuto senza dubbio una rilevante influenza sull'inizio e sviluppo della
ben nota mia vicenda giudiziaria che mi ha poco dopo coinvolto.
2- Nel corso del processo a carico del dott. De Legami, durato più
di due anni (dal 7.2.2003 al 12.5.2005), è stata svolta una complessa
attività istruttoria per stabilire se effettivamente era stata
rilevata e documentata la mia presenza in Via D'Amelio al momento della
strage. Ciò, nonostante le approfondite indagini svolte per anni
(dal 1992 in poi) dall'Autorità Giudiziaria di Caltanissetta (Procura
e G.I.P.) che avevano escluso il fatto.
In proposito, nella sentenza, a pag. 17 si legge: "
non sono
emersi elementi rilevanti che si possano aggiungere a quelli già
valutati dal G.I.P. circa la presenza o meno dell'ex funzionario del Sisde
in Via D'Amelio subito dopo l'esplosione dell'autobomba che resta un fatto
non provato".
Osservo e asserisco che la mia presenza in quel luogo e in quel momento
non è "un fatto che resta non provato". La mai non -presenza
in quel luogo e in quel momento "è un fatto provato"
. E ciò semplicemente perché è stata provata in maniera
certa,incontestabile, incontrovertibile, inconfutabile, la mia presenza
in altro luogo a notevole distanza (in alto mare),in quel giorno, a quell'ora.
A meno che non si ritenga che abbia o abbia avuto il "dono dell'ubiquità".
Sembra quasi che, per motivi che non riesco, nonostante ogni sforzo a
comprendere o che non si vuole che io comprenda, si persista nel lasciare
in atti giudiziari il dubbio (si veda, ad esempio, l'espressione "forte
valenza probatoria" utilizzata dal G.I.P.) della mia presenza in
Via D'Amelio.
Comunque, anche in questo ultimo processo a carico del dott. De Legami,
è stata svolta un'ulteriore attività istruttoria con l'esame
in dibattimento di numerosi appartenendi alla Polizia: i funzionari P.S.
Montana, Palermo Patera, Soluri, Savona, Montalbano; gli ispettori P.S.
Alberghino, Armetta, Angelo; gli agenti P.S. Polichini, Compagno, Mazzone.
La maggior parte di questi credo fossero stati già sentiti in precedenza
dia magistrati delle Procure di Caltanissetta e Palermo.
Tutti, concordemente e decisamente, hanno escluso di avere notato, rilevata
o accertata la mia presenza in Via D'Amelio in quel giorno, a quell'ora,
o di aver mai redatto, esamina, trattata o perlomeno saputo di una relazione
di servizio attestante la mia presenza e poi distrutta.
Nessuno mi ha visto, nessuno sa nulla della relazione di servizio. L'unico
soggetto che ha dichiarato all'A.G. di avermi visto lì, il pentito,
o presunto tale, Elmo Francesco, manifestamente mentitore, non risulta
essere stato escusso nel corso del processo Di Legami, e non ne conosco
di certo il motivo. A questo punto, mi pongo la domanda che ritengo più
che giustificata e legittima, del perché il Giudice del Tribunale,
ritenendo necessario o utile accertare la mia presenza o meno in Via D'Amelio
nella immediatezza del fatto, non abbia esaminato anche le dieci persone
che erano in mia compagnia il giorno 19 luglio 1992, nelle ore precedenti
e successive alla strage, su una imbarcazione in alto mare. Avrebbe avuto
la prova sicura che cercava per l'accertamento della "maggiore verosimiglianza
alla tesi alla tesi accusatoria", cioè la mia non presenza
in Via D'Amelio in quel tragico momento, appunto, per la mia presenza
altrove.
3- dall'esame delle dichiarazioni provenienti dai vari testimoni del processo
in specie, gli ufficiali dei Carabinieri Canale, Sinico e Del Sole, si
rilevano in modo manifesto, contraddizioni, discordanze, perplessità,
ambiguità, inesattezze, reticenze, errori di fatto, inverosimiglianze,
cose non vere.
Tutto ciò è stato messo in evidenza dallo stesso Giudice
del Tribunale e, in proposito, è opportuno riportare qualche sua
considerazione.
"Questo Tribunale, oltre a quelli già evidenziati sulle dichiarazioni
di Canale, nutre anche dubbi sull'attendibilità delle dichiarazioni
di Sinico e Del Sole" (v. pag. 15, sentenza, all. n.69).
"Del tutto inattendibile appare la giustificazione fornita al riguardo
da Canale nel suo confronto con Sinico
" (v.pag.15 sentenza
all. n.69).
"E allora non si comprende perché mai Canale - che aveva collegato
tra loro i fatti sopra indicati e che, come ha detto in dibattimento,
era ossessionato dalla scomparsa dell'agenda, non abbi riferito ai P.M.
di Caltanissetta la notizia appresa da Sinico
" (v. pag.14 sentenza
all. n.69).
"La scelta di Sinico di non riferire l'identità della fonte
al dott. Ingroia, in cui nutriva assoluta fiducia,per mantenere la parola
data a Di Legami e contemporaneamente di tradire l'amico riferendo a Canale
(nei cui confronti non nutriva fiducia)che era stato lui a dargli la notizia,
appare priva di qualsiasi fondamento razionale, e pertanto inverosimile"
(v. pag.14 sentenza all. n.69).
"Le dichiarazioni di Canale appaiono inattendibili anche in relazione
alla circostanza che Sinico, oltre alla notizia, gli abbia indicato in
Di Legami colui che gliela aveva fornita" (v. pag.13 sentenza all.
n.69).
"La dichiarazione di Canale, quindi, con riferimento al momento temporale
in cui Sinico gli avrebbe riferito la notizia e la fonte non appare attendibile
"
(v. ibidem).
E così via
Dal contesto della vicenda processuale Di Legami, e principalmente dalla
lettura della sentenza, si evince un solo dato certo e nel contempo di
estrema gravità: che dopo la strage Borsellino, Ufficiali dei Carabinieri,
di cui alcuni del R.O.S. di Palermo (Sinico e Del Sole), avevano diffuso
la notizia falsa e di portata devastante per la mia persona, del mio coinvolgimento
nell'efferato crimine.
Notizia portata a conoscenza dei Magistrati, del P.M. di Palermo e di
Caltanissetta, e poi fatta trapelare su tutti gli organi di informazione.
In detto operato ha avuto una parte prevalente e determinante l'allora
m.llo dei CC. Carmelo Canale,poi promosso Tenente per meriti speciali.
Nono sono in grado di dire da cosa si astato determinato siffatto comportamento
comunque disdicevole, deprecabile, inescusabile. Eppure, questi soggetti
sono stati definiti nel testo della sentenza di che trattasi, di "eccellente
esperienza di ufficiali di P.G.", di notevole livello culturale e
intellettuale", di indiscussa moralità", "con perfetta
conoscenza dei criteri di valutazione della prova testimoniale" (v.
pagg. 6-7- ibidem).
Certo è che da tale loro modo di agire ho subito ingiustamente
un danno enorme e irreparabile sul piano morale e giudiziario e, sinora,
ogni mia iniziativa per ottenere giustizia è risultata vana. Non
posso non ribadire ancora una volta che in specie l'ex Maresciallo Carmelo
Canale è stato uno dei principali artefici di questo vero e proprio
gioco al massacro, ponendo in essere una condotta improntata quasi a rancore
o addirittura odio nei miei confronti. Ciò senza un plausibile
motivo, dato che, nei miei lunghi anni di sevizio a Palermo, non ricordo
di aver mai avuto alcun genere di rapporti con il predetto, né
di averlo conosciuto.
Per il riferimento e la correlazione con gli avvenimenti sopra prospettati,
appare utile accennare ad un ulteriore e recente capitolo dell'inchiesta
giudiziaria sulla strage di Via D'Amelio.
Mi riferisco alle numerose e ripetute notizie che, specie nei giorni 6-7-8-9-
febbraio 2006, hanno trovato ampio spazio in servizi televisivi e giornalistici:
notizie concernenti la borsa di pelle con all'interno un'agenda rossa
di proprietà del dott. Borsellino.
Il 6 febbraio 2006, il TG7 ha trasmesso un servizio sulla strage con la
notizia eclatante di un ufficiale dei Carabinieri, il cap. Giovanni Arcangioli,
allora in servizio a Palermo,venuto in possesso della borsa.
Il successivo servizio del TG2 delle ore 20,30 ha ripetuto la notizia
e trasmesso anche un'intervista sull'argomento del Procuratore aggiunto
della Repubblica di Caltanissetta.
Il TG1 delle ore 20 del 7 febbraio successivo ha dato ulteriori notizie
sui fatti e trasmesso un filmato da cui appariva l'Ufficiale dei Carabinieri
Arcangioli, avente tra le mani la borsa del dott. Borsellino.
Anche la stampa quotidiana ha dato ampio risalto alla vicenda.
Si riportano qui di seguito alcuni titoli di giornali:
La repubblica del 6.2.2006: Borsellino, il video dell'agenda sparita-
Un carabiniere prese la borsa del Giudice e il caso si riapre- I flmati,
girati subito dopo la strage di Via D'Amelio, mostrano un capitano allontanarsi
con la valigetta: mai ritrovati gli appunti segreti.
Il Giornale di Sicilia del 6.2.2006: Caltanissetta, il procuratore aggiunto
Di Natale: la mafia non c'entra- L'agenda di Borsellino fu sottratta.
Gazzetta del Sud del 7.2.2006:Caltanissetta- La sparizione dell'agenda
"rossa" di Borsellino - Convocato colonnello dei Carabinieri.
La Repubblica del 7.2.2006: Borsellino, tutti i misteri dell'agenda- La
famiglia: c'erano i segreti della trattativa tra Stato e Cosa Nostra -
Caltanissetta: sarà interrogato il carabiniere filmato, dopo la
strage, con la borsa del Giudice.
Il Corriere della Sera dell'8.2.2006: Ayala: diedi a un colonnello la
valigetta di Borsellino - Il contenitore di pelle venne rimesso nell'auto,ma
sparì l'agenda. Oggi l'ex P.M. sarà interrogato - Il caso
riaperto grazie a un video.
La Repubblica del 9.2.2006: L'inchiesta sul mistero della borsa - Agenda
Borsellino -Ayala e Arcangioli confronto a Roma.
L'Unità del 9.2.2006: Agenda di Borsellino: scontro tra comandante
dei Carabinieri e Ayale (v. allegati n.70)
Nulla so naturalmente di tali indagini, se non ciò che è
stato pubblicato e diffuso dagli organi di informazione.
In particolare, non sono in grado di esprimere opinioni o giudizi sulla
parte avuta nella vicenda "de quo" dal colonnello dei Carabinieri
Giovanni Arcangioli e dall'ex p.m. di Palermo dott. Giuseppe Ayala.
Non posso, però, non pormi l'inquietante, direi sconvolgente interrogativo,
su una più che evidente relazione tra questi ultimi elementi emersi
dalle indagini sulla strage di Via D'Amelio,in particolare sull'episodio
della borsa e dell'agenda del dott. Borsellino, d correlativo comportamento
del col. Arcangioli e del dott. Ayala, o di altri ancora, e tutta una
intensa, lunga e pervicace attività disinformativi e calunniatrice
posta in essere dai soggetti da me indicati nel corso della presente esposizione
(specie gli ufficiali dei Carabinieri Canale, Sinico e Del Sole, ed il
pentito Elmo), tendente a far sorgere perlomeno il sospetto della mia
presenza sul luogo della strage -poco prima, durante e poco dopo l'esplosione
- data l'impossibilità di darne la prova, per l'accertata mia presenza
altrove, in quel tragico momento.
Non si può non porsi la domanda se chi, con tanta pervicacia, ha
tentato di dar sostanza ad una così infamante calunnia, non volesse
frami ritenere come colui che aveva messo le mani sulla borsa e sull'agenda
del Magistrato.
Infatti, negli anni passati, qualche organo di stampa aveva delineato
una simile ipotesi. Valga per tutti l'articolo di Saverio Lodato su l'Unità
del 3 dicembre 1997,intitolato: Contrada in Via D'Amelio dopo la strage
- Lo 007 fece sparire l'agenda di Borsellino? (v. all.n.42).
In proposito, non possono non ricordarsi le illazioni e allusioni del
ten. CC. Carmelo Canale alla mia presenza sul luogo della strage di Via
D'Amelio , messa in relazione alla sparizione dell'"agenda rossa"
che era in possesso del dott. Borsellino.
Infatti, nella sentenza del Giudice monocratico del Tribunale di Caltanissetta
del 12.5.2005 (processo Di Legami) di cui si è parlato nelle pagine
precedenti si legge: "
Il m.llo Furia chiese a Canale notizie
circa la scomparsa dell'agenda rossa di Borsellino, e Canale gli disse
che l'agenda non era stata rinvenuta nonostante che la borse del procuratore
fosse stata trovata quasi intatta: quindi, nello stesso contesto, Canale
gli raccontò che sul posto era stato notato Contrada ed era stata
redatta anche una relazione di servizio che poi era stata soppressa"
(v. pag.8 sentenza all. n.69).
Non è più che chiaro che il Canale volesse mettere in relazione
la mia presenza in Via D'Amelio con la scomparsa dell'agenda?
E ancora: "
Canale rispose: però se questo fatto fosse
vero (la presenza di Contrada in Via D'Amelio, n.d.r.), perché
io, dunque io c'ho sempre in testa l'agenda rossa che scompare, non è
una cosa che è normale
" (v. pag.11 sentenza - all. n.
69).
Non intendo fare dietrologia o esprimere giudizi che non mi competono,
ma anche per questi ultimi avvenimenti riguardanti la strage di Via D'Amelio
mi sono limitato ad esporre i fatti nella loro sequenza logica e cronologica.
Non è chi non veda, però, che i motivi di inquietudine non
sono di certo pochi o irrilevanti.
Onde dare una ulteriore prova della persistenza e pervicacia di mantenermi
invischiato, in qualsiasi modo, nelle indagini sulle stragi Falcone-Borsellino,occorre
ora riferire un altro episodio di rilevante gravità.
Il 9 luglio 2001 - poco dopo la sentenza di assoluzione emessa a mio favore
il 5.5.2001 dalla 2° Sezione della Corte di Appello di Palermo - tale
Pulci Calogero, delinquente di Sommatino (CL), pentito, ha enunciato palesi
e calunniose menzogne nei miei riguardi, tra cui la principale: a settembre-ottobre
del 1991 mi sarei incontrato a Roma con il capomafia nisseno Giuseppe
(Piddu) Madonia e con il mafioso palermitano Gioè Antonino, per
trattare della eliminazione del dr. Falcone, che avrebbe dovuta essere
perpetrata a Roma. Ciò detto nel verbale n°778/00 R.G.N.R.-
-CL e n°20027/00 R.G.N.R. PA del 9.7.2001 (v. all. n.71), dal quale
si evince che il Pulci ha dichiarato ai Sostt. Procc. Rep. dott. A Di
Matteo della D.D.A. di Palermo e dott. S. Leopardi della D.D.A. di Caltanissetta
quanto segue: "
Ritengo opportuno prendere le mosse dall'incontro
avvenuto a Roma nel settembre-ottobre 1991 tra Giuseppe Madonia, Antonino
Gioè e Bruno Contrada
(pag.2 verb.9. "
Già
prima dell'incontro, Madonia mi aveva rappresentato, pur non facendone
il nome, che si sarebbe dovuto incontrare con uno "sbirro importante"
e che la conversazione avrebbe investito la eliminazione del dr. Falcone"
(pag.3 verb.) "
Che la eliminazione del dr. Falcone era stata
sollecitata anche da persone estranee a Cosa Nostra e riconducibili ad
apparati istituzionali (i Servizi Segreti, il Sisde,
n.d.r. - pag.3
verb.)
"Che il movente ultimo e più significativo della
decisione di eliminare il magistrato deve essere individuato nei contatti,
anche informali, che il dott. Falcone continuava ad avere, anche dopo
il suo trasferimento al Ministero, con il magistrato svizzero dott.a Carla
Del Ponte, e le indagini che quest'ultima stava conducendo sui conti bancari
"
(MA non aveva detto qualcosa sulla dott.a Del Ponte e sulle sue indagini
sin dal 1992 anche il pentito Mutolo? n.d.r. - pag.3 verb.). "
Il
progetto iniziale prevedeva che l'agguato dovesse essere compiuto a Roma;
anzi,il programma originario prevedeva altresì che l'agguato doveva
essere compiuto da una persona di origini medio orientali, procuratoci
sempre dal turco, che oltretutto avrebbe dovuto fasi arrestare
"
(pagg.3 e 4 verb.). "
Contatti anche telefonici che Giuseppe
Madonia ha intrattenuto in quel periodo
con una persona dei Servizi
che gli ha fornito dati preziosi relativi alle abitudini del dott. Falcone
e del dott. Borsellino. Tenga presente che anche Gioè Antonino
aveva contatti conpersone dei Servizi
" (pag.5 verb.)
"
Madonia ebbe a dirmi che il dott. Contrada faceva parte di quella struttura
che io chiamo "club" della quale anch'io, come vi ho già
spiegato, avrei dovuto far parte
Madonia mi rispose : è uno
sbirro ma è anche un nostro fratello (E' chiaro che allude alla
massoneria, di cui io sono stato infondatamente indicato di far parte
n.d.r. pag.7 verb.).
"Il Contrada e il MadonIa si incontrano
anche a Palermo
accompagnai Madonia presso il bar Collica di Via
Notarbartolo, dove incontrò il dott. Contrada
(Evidentemente
nessuno aveva informato il Pulci che all'epoca dei fatti inventati,il
Sisde era ancora in Via Roma e non nello stabile sopra il bar Collica
n.d.r. pag.7 verbale).
Io non so quali conseguenze giudiziarie abbiano prodotto siffatte dichiarazioni,
anzi farneticazioni del Pulci. Può darsi che, in forza di esse
io sia stato iscritto nuovamente nel registro degli indagati delle stragi
oppure che esse non siano state prese sul serio o ritenute false dai Magistrati
che le hanno recepite; ma in questo caso avrebbero prodotto l'effetto,
se non altro, di un'azione penale per calunnia a carico del propalatore.
A me non è stato mai contestato o chiesto nulla, nonostante gli
anni trascorsi, sui fatti di cui ha parlato il Pulci, collaboratore di
giustizia o presunto tale.
Sul Pulci Calogero devo, però, rappresentare qualcosa che darà,
credo, la spiegazione plausibile della sua palese e gravissima azione
calunniosa nei miei confronti. Non è, infatti, cosa di poco conto
che un dirigente generale della Polizia di Stato, in servizio allora al
Sisde a Roma si incontrasse con esponenti di mafia quali Giuseppe Madonia
e Antonino Gioè per discutere e concordare l'omicidio del dott.
Falcone, da perpetrarsi nella Capitale.
Ebben, è accaduto che tale Giuga Giuseppe di Sommatino, collaboratore
di giustizia - circa tre anni prima delle propalazioni di Pulci e all'inizio
del mio processo di appello dinanzi la 2° sez. pen. della Corte di
Appello di Palermo - mi accusasse di gravi fatti,con dichiarazioni rese:
a) - con verbale di interrogatorio del 5.11.1998 ai PP.MM. della Procura
di Caltanissetta (dott.ri Paolo Giordano, Santi Condorelli e Salvatore
Leopardi) v. all.n.72;
b) - con verbale di interrogatorio del 24.4.1999 al P.M. della Procura
di Palermo (dott. Gaetano Paci9mv. all. n.73.
In sostanza, il Giuga aveva detto:
- che io ero amico del pregiudicato mafioso Pulci Calogero di Sommatino;
- che il Pulci si era recato a Roma, agli inizi del 1991, per portarmi
un regalo;
- che nella stessa epoca era giunta al telefono verde dell'Alto Commissariato
per la lotta alla mafia di Roma una telefonata anonima che indicava il
rifugio del noto latitante mafioso catanese Nitto Santapaola;
- che io avevo fatto venire in possesso del Santapaola la bobina contenente
la registrazione della telefonata anonima, onde dargli la possibilità
di individuare la persona che aveva indicato il suo rifugio, e di farne,
oggetto di rappresaglia.
I verbali venivano inviati alla Procura Generale della Repubblica di Palermo
ed il Sost. Proc. Gen. Dott. A. Gatto, in data giugno 1999 delegava la
D.I.A. di svolgere ogni utile indagine per acquisire i riscontri alle
accuse.
Mentre, tra giugno e ottobre del 1999 la D.I.A. svolgeva le indagini delegate
dalla Procura Generale (riferite,poi, con rapporti 16 agosto e 12-22-26
ottobre 1999 - tutte con esito negativo) è accaduto che il Giuga
dichiarasse ai Magistrati della Procura della Repubblica di Caltanissetta
(dott. Giovanni Tenebra e Sost. Proc. Rep. dott. Santi Condorelli) con
verbali del 18 agosto e del 1° settembre 1999 che tutte le accuse
a me rivolte erano state a lui suggerite dal Pulci con il quale era stato
detenuto nel carcere di Enna (v. all. nn.74 e 75).
Il Giuga ha dichiarato specificamente:
- "Tutti i fatti relativi dal 1991 in poi mi sono stati detti dal
Pulci
che dovevo dire queste cose per rendermi credibile" (pagg.
11 verb. 18.8.1999).
-"
Tutte queste cose... questo me lo ha detto lui (Pulci) così
dice ti credono una persona che eri in alto nella famiglia che avevi una
certa responsabilità" (pag.12 verb. 18.8.1999).
Si riportano qui di seguito alcuni passi dei verbali su richiamati:
- "Giuga rende dichiarazioni riferendo che dal 1990 è fuori
confidenza e che le sue dichiarazioni in ordine al Giudice Carnevale,
al dott. Contrada, gli sono state suggerite dal Pulci, in occasione della
comune detenzione nel carcere di Enna nel 1998
" (pag.27 verb.
interr. 18.8.1999).
- "Giuga riferisce in particolare che tutti i contenuti delle dichiarazioni
che avrebbe dovuto rendere quale collaboratore gli erano stati suggeriti
dal Pulci, che li aveva scritti e glieli aveva fatti ricopiare in un memoriale"
(v.pag. 1 verb. 1.9.1999).
La Procura della repubblica di Caltanissetta in data 11.9.1999 trasmetteva
alla Procura di Palermo i verbali del Giuga, precisando: "
Si
ritiene attendibile la sua dichiarazione sulla esistenza di un progetto,
concepito da Pulci Calogero, di depistare e influenzare i processi in
corso, mediante una serie di accuse false e calunniose, concepite dallo
stesso Pulci e propalate dal Giuga
" (v. all. n.77).
Nel corso del mio processo di appello, mentre il P.M. dichiarava di non
voler più utilizzare gli elementi di accusa forniti dal Giuga,
la mia Difesa, alla udienza del 13.1.2000, chiedeva l'acquisizione agli
atti del processo di tutta la documentazione di che trattasi (verbali
di Giuga contenenti le accuse e successive ritrattazioni, corrispondenza
tra le Procure di Caltanissetta, Palermo e Procura Generale,indagni svolte
dalla D.I.A., etc
) e la Corte di Appello - 2° sez. pen. , con
ordinanza emessa il 20.1.2000 accoglieva la richiesta (v. all. n.78).
A questo punto ho ritenuto utile e necessario sporgere denunzia nei confronti
di Giuga Giuseppe e Pulci Calogero per il reato di calunnia e/o per quegli
altri reati di cui si fossero resi responsabili, anche in concorso con
altre persone allo stato non individuate.
Ciò ho fatto con formale atto presentato alla Procura della Repubblica
di Caltanissetta in data 27 marzo 2000, costituendomi parte civile nel
processo con successivo atto del 13 luglio 2001 (v. allegato n.79).
A seguito di tale denuncia Giuga e Pulci sono stati rinviati a giudizio
innanzi al Tribunale di Catania - 2° sez. pen. - Giudice monocratico
dott.a Cinzia Sgrò - perché imputati del reato di cui agli
artt. 81 cpv 110 e 368 c.p.(calunnia continuata e aggravata) "per
avere in concorso tra loro, il Pulci agendo come istigatore e determinatore
della altrui condotta illecita, e il Giuga rendendo in più occasioni
false dichiarazioni alle AA.GG. di Caltanissetta e Palermo, incolpato
il funzionario della Polizia di Stato Contrada Bruno, che pure ad essi
risultava innocente, di collegamenti con l'organizzazione mafiosa denominata
"Cosa Nostra", accusa dalle quali potevano scaturire a carico
del predetto Contrada, oltre alla più grave imputazione di concorso
esterno in associazione di tipo mafioso (per la quale, in relazione ad
altre fonti di prova, si è proceduto) anche quelle di corruzione
(in relazione all'accusa di avere lo stesso ricevuto regali dall'organizzazione)
e di rivelazione di segreti d'ufficio (in relazione alle notizie riservate
che egli avrebbe rivelato, con particolare riferimento alle ricerche del
noto Santapaola Benedetto, latitante all'epoca dei fatti narrati) - In
Catania e Roma il 5.11.1998 e 24.4.1999 (v. all. n.80).
Il processo di che trattasi, iniziato nel 2001, è tuttora in corso,
dopo avere subito una sospensione di circa due anni (febbraio 2004-maggio
2006) per una pretestuosa questione di illegittimità costituzionale
dell'art.203 comma 1 c.p.p. sollevata dalla difesa degli imputati. Infatti,
la Corte Costituzionale con ordinanza n°193 del 3.5.2006 ha dichiarato
la manifesta inammissibilità della questione di illegittimità
costituzionale in argomento (v. all. nn.81 e 82).
Ciò che ho rappresentato nelle pagine di cui innanzi, in ordine
al comportamento di Giuga e Pulci costituisce una significativa, paradigmatica,
emblematica e illuminante pagina, oltre che del pentitismo in generale
di quello che in specie ha trovato invadente, determinante e devastante
spazio nella mia vicenda processuale che iniziata nel 1992 perdura tuttora
dopo 14 anni.
Se Giuga non avesse ritrattato, rivelando la trama nei miei confronti
le sue accuse avrebbero dato nuova linfa anche se avvelenata dalla palese
menzogna al quadro accusatorio del mio processo basato fondamentalmente
su analoghe propalazioni di altri pentiti che purtroppo non hanno ritrattato.
Premesso tutto quanto innanzi rappresentato e documentato non posso non
osservare e sottolineare che per le notizie false menzognere infamanti
e calunniose, inventate o propalate, ripetute o diffuse dal maggi. Sinico
Umberto, dal ten. CC. Carmelo Canale dai collaboratori di giustizia Mutolo
Gaspare e Elmo Francesco e da altri in uno stillicidio e gioco al massacro
senza fine e limiti io sono stato non solo sottoposto ad indagini, che
forse durano tuttora, per reati da ergastolo espletate da numerosi Magistrati
delle Procure di Palermo e di Caltanissetta e della Direzione Nazionale
Antimafia ma additato ed esposto al disprezzo della pubblica opinione
da una contestuale e devastante diffusione di siffatte notizie, da parte
di tutti i mezzi di informazione: quotidiani, settimanali, radio, televisione
e anche opere cinematografiche come il film "Giovanni Falcone"
del regista Giuseppe Ferrara.
In proposito, appare utile accennare al fatto che il film, tra le cui
sequenze era inserito anche l'episodio della mia presenza in Via D'Amelio
e conseguente intimazione agli Agenti della "Volante" di sopprimere
la relazione di servizio, fu programmato e ultimato nel 1993 e presentato
alla stampa in anteprima nell'ottobre dello stesso anno cioè alcuni
mesi dopo la prima "rivelazione" del magg. CC Sinico. La proiezione
era stata preceduta dalla pubblicazione di numerosi articoli di stampa
in cui, riportando il contenuto del film, si metteva in risalto l'odiosa
figura dell'"agente dei servizi segreti" (era più che
palese il riferimento a me) coinvolto nei più nefandi crimini perpetrati
a Palermo tra cui le stragi Addaura-Capaci-Via D'Amelio.
In esito ad azione civile di risarcimento dei danni da me intentata il
3 dicembre 1993 contro il regista gli autori della sceneggiatura e il
produttore del film la 1° Sez. Civ. del Tribunale di Roma con sentenza
n.12147 dell'8 aprile 1998, ritenuto che dal film avevo subito una grave
lesione dell'onore e del decoro, e "considerata la gravità
dei fatti diffamatori accertati, nonché la capacità di diffusione
insita nella proiezione cinematografica,peraltro preceduta e accompagnata,
come di abitudine, da recensioni e commenti giornalistici" , ha condannato
i convenuti in solido al pagamento di una congrua somma di denaro a titolo
di risarcimento danni (v. sentenza Trib. Roma 8.4.1998 e uniti articoli
di stampa all. nn.61 e 62).
La Corte di Appello di Roma- 1° Sez. Civ. - con sentenza del 3 luglio
2002 depositata il 23 settembre 2002 ha confermato sostanzialmente la
sentenza del Tribunale riducendo soltanto il "quantum" della
somma da corrispondere allo scrivente a titolo di risarcimento per il
danno subito. Di analogo avviso è stata la Cassazione (v. dispositivo
sentenza -all. n.61).
Ritengo che in uno "Stato di diritto" non sia possibile che
un cittadino sia per anni indicato e additato, accusato e indagato di
efferati crimini, quali stragi di magistrati e polziotti, sulla base di
meri sospetti, arbitrarie supposizioni, vaghe illazioni, pure invenzioni,
rivelatisi tutti infondati in modo certo e incontrovertibile.
Non è possibile che restino impuniti comportamenti che mi hanno
ingiustamente procurato un enorme e irreversibile danno sotto ogni aspetto.
Per qualsivoglia motivo o finalità siano stati essi posti in essere:
per ingenuità o credulità, per superficialità o stoltezza,
per insensatezza o insipienza, per suggestione o mitomania, per ambizione
o protagonismo,per rancore o perfidia,per istigazione o errore.
Sarebbe, a mio avviso, di notevole rilievo e utilità chiarire e
stabilire perché, e come, per quali motivazioni,per quali fini,
da opera di chi, per istigazione o inspirazione di chi, si sia potuto
creare un siffatto contesto, in cui sono stato coinvolto in modo così
grave.
A questo proposito assume valore sintomatico l'affermazione del magg.
CC. Del Sole nel corso delle dichiarazioni rese il 31 luglio 1998 ai PP.MM
di Caltanissetta:
" c'era all'epoca (subito dopo la strage di
Via D'Amelio n.d.r.) il maresciallo Canale che era molto accanito nei
confronti del dott. Contrada, nei discorsi che andava facendo lo riteneva
quasi coinvolto nei fatti. Questo me lo ricordo perché se ne parlò
diffusamente, penso che ci siano state anche dichiarazioni in tal senso
del maresciallo Canale" (v. pag. 9 trascr. interr. verb. 31.7.1998
magg. Del Sole - all. n. 49).
Analogamente dicasi per l'affermazione del Magistrato dott. De Francisci,
riportata dal magg. CC. Sinico nel verbale del 20.12.1992 (all. n.2).
Chiedo, pertanto, che - sulla scorta di quanto rappresentato e documentato,
previo ogni opportuno e utile accertamento - siano perseguiti e puniti,
a norma di legge, tutti coloro che si sono resi responsabili di azioni
e comportamenti integranti estremi di reato, quali calunnia e diffamazione,
falsa testimonianza e false dichiarazioni a P.M. , violazione del segreto
investigativo e sviamento delle indagini, favoreggiamento personale e
omissione di atti di ufficio, o altri illeciti penali che verranno eventualmente
riscontrati.
Con riserva di procurare ogni altro elemento di prova che si rendesse
utile o necessario, di produrre documenti e indicare testimoni, e di ogni
altra azione o iniziativa anche in sede civile per la tutela dei miei
diritti e interessi.
Chiedo,infine, di essere avvisato ai sensi dell'art. 408 comma 2 c.p.p.
, 126 D.L. 271/89.
Palermo lì 27/3/2007
Allegati nn. 82
F.to Dott. Bruno Contrada
DEPOSITATO IN SEGRETERIA PERSONALMENTE DAL DOTT. CONTRADA BRUNO IDENTIFICATO
CON TESSERA
..
Caltanissetta 27/03/2007
IL CANCELLIERE
F.TO IGNAZIA PESCE
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